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Omesso versamento ritenute: appello inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un datore di lavoro condannato per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali. L’imprenditore aveva tentato di contestare la propria responsabilità penale, nonostante tale punto fosse già stato deciso in via definitiva (giudicato). La Corte ha ribadito che, in caso di annullamento parziale di una sentenza, le parti non annullate diventano irrevocabili e non possono essere nuovamente messe in discussione. L’appello, essendo incentrato su questioni già coperte da giudicato, è stato quindi respinto.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Omesso versamento ritenute: quando l’appello è inammissibile

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 3404 del 2024, offre un importante chiarimento sui limiti dell’appello in caso di omesso versamento ritenute previdenziali e assistenziali. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un datore di lavoro, sottolineando come non sia possibile rimettere in discussione aspetti di una condanna già coperti da giudicato, ovvero resi definitivi da precedenti decisioni.

I Fatti del Caso

Un imprenditore era stato condannato in primo grado per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali relative a sette mensilità dell’anno 2013. La pena iniziale era di otto mesi di reclusione e 500 euro di multa.

In un precedente giudizio di Cassazione, la Corte aveva dichiarato la prescrizione del reato per una delle mensilità contestate (aprile 2013) e aveva rinviato il caso alla Corte d’Appello con il solo compito di ricalcolare la pena, escludendo la condotta prescritta. La Corte d’Appello, quindi, aveva ridotto la pena a sei mesi di reclusione e 400 euro di multa, confermando nel resto la responsabilità dell’imputato.

Nonostante ciò, la difesa dell’imprenditore ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione, sollevando questioni che non riguardavano il mero ricalcolo della pena, ma che miravano a contestare nuovamente la sua responsabilità penale nel suo complesso.

I Motivi del Ricorso e l’omesso versamento ritenute

La difesa ha basato il suo ricorso su tre motivi principali:
1. Erronea applicazione della legge penale: si contestavano gli elementi costitutivi del reato di omesso versamento ritenute.
2. Vizio di motivazione: si criticava la Corte d’Appello per non aver considerato elementi che, a dire della difesa, avrebbero potuto escludere la responsabilità dell’imputato.
3. Errata determinazione della pena: si lamentava un calcolo sproporzionato della sanzione e il mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna.

In sostanza, i primi due motivi tentavano di riaprire una discussione sulla colpevolezza dell’imprenditore, un tema già definito e coperto da giudicato.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nel principio del giudicato parziale. La Corte ha spiegato che quando una sentenza di Cassazione annulla una decisione precedente solo in parte (in questo caso, per rideterminare la pena), tutte le altre parti della sentenza non toccate dall’annullamento diventano definitive e irrevocabili.

Nel caso specifico, la responsabilità penale dell’imputato per le mensilità da luglio a dicembre 2013 era già stata accertata in via definitiva. Il compito del giudice del rinvio (la Corte d’Appello) era limitato esclusivamente al ricalcolo della sanzione alla luce della prescrizione della prima mensilità. Di conseguenza, i motivi di ricorso che contestavano nuovamente la responsabilità penale erano inammissibili, poiché vertevano su un thema decidendum ormai precluso.

Per quanto riguarda la critica sulla dosimetria della pena, l’unico motivo potenzialmente ammissibile, la Corte lo ha ritenuto generico e infondato. I giudici di merito avevano infatti giustificato adeguatamente la pena inflitta, basandosi sulla gravità del fatto, sull’entità delle somme non versate e sull’intensità del dolo, esercitando correttamente la loro discrezionalità.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: non si può continuare a dibattere all’infinito su questioni già decise in via definitiva. L’inammissibilità del ricorso ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Questa decisione serve da monito: le strategie difensive devono tenere conto dei limiti imposti dal giudicato. Insistere nel riproporre doglianze su punti già stabiliti non solo è inutile, ma può anche comportare ulteriori conseguenze economiche per l’imputato.

Perché il ricorso del datore di lavoro è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché sollevava questioni relative alla responsabilità penale dell’imputato, argomenti che erano già stati decisi in via definitiva e quindi coperti da “giudicato”. L’appello poteva vertere solo sul ricalcolo della pena, non sulla colpevolezza.

Cosa significa “giudicato parziale” in un processo penale?
Significa che quando la Corte di Cassazione annulla una sentenza solo per una parte specifica (ad esempio, per ricalcolare la pena), tutte le altre parti della sentenza non annullate diventano definitive e non possono più essere messe in discussione nei successivi gradi di giudizio.

È possibile contestare in Cassazione il ricalcolo della pena effettuato dalla Corte d’Appello?
Sì, è possibile, ma solo se si dimostra che la determinazione della pena è frutto di un ragionamento palesemente illogico o arbitrario. Non è sufficiente sostenere genericamente che la pena sia sproporzionata se il giudice di merito ha fornito una motivazione adeguata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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