Omesso Versamento IVA: Quando il Ricorso è Inammissibile
L’omesso versamento IVA è una delle fattispecie di reato tributario più comuni, ma le cui fondamenta giuridiche sono spesso oggetto di interpretazioni errate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 31016/2024) offre un chiaro promemoria sui principi che regolano questo illecito, confermando la consolidata giurisprudenza in materia e sanzionando con l’inammissibilità i ricorsi basati su pretese infondate.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dalla condanna di un imprenditore, emessa prima dal Tribunale e poi confermata dalla Corte di Appello di Brescia, per il reato di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000. L’imputato era stato ritenuto colpevole di non aver versato, entro il termine previsto, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale. Contro la sentenza di secondo grado, l’imprenditore ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a un unico motivo di impugnazione.
Il Motivo del Ricorso: Principio di Cassa vs. Competenza
Il ricorrente lamentava un presunto vizio di motivazione della sentenza impugnata. Nello specifico, la sua difesa si basava su un’argomentazione di natura ermeneutica: a suo dire, l’imposta sul valore aggiunto dovrebbe essere pagata secondo un principio ‘di cassa’ (ovvero, solo dopo l’effettivo incasso dei corrispettivi) e non ‘per competenza’ (ovvero, in base a quanto dichiarato, a prescindere dall’incasso).
Secondo questa tesi, la mera omissione del versamento relativo alla dichiarazione non sarebbe stata sufficiente a integrare il reato, se non accompagnata dalla prova dell’effettiva riscossione delle somme da parte dell’imprenditore.
La Decisione della Corte sull’Omesso Versamento IVA
La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno qualificato il motivo di ricorso come manifestamente infondato, sottolineando come l’interpretazione proposta dal ricorrente si ponga in netto contrasto sia con il dato normativo sia con la consolidata giurisprudenza di legittimità.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha chiarito che il reato di omesso versamento IVA è un reato di natura omissiva istantanea, che si perfeziona con il mancato versamento dell’imposta risultante dalla dichiarazione annuale entro la scadenza fissata dalla legge. Il presupposto del reato non è l’effettivo incasso delle somme, ma l’esistenza di un debito IVA cristallizzato nella dichiarazione presentata dal contribuente.
L’argomento del ‘principio di cassa’ è stato ritenuto un ‘preteso enunciato ermeneutico’ privo di qualsiasi fondamento giuridico in relazione a questa specifica fattispecie. Di conseguenza, vista la palese infondatezza del ricorso e l’assenza di elementi che potessero far presumere una colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la Corte ha applicato l’art. 616 del codice di procedura penale. L’imputato è stato quindi condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per tutti i contribuenti titolari di partita IVA: l’obbligo di versamento dell’imposta sorge con la presentazione della dichiarazione e non è subordinato all’effettivo incasso delle fatture. Tentare di difendersi in giudizio sostenendo il contrario costituisce una strategia destinata al fallimento, che può comportare, come in questo caso, ulteriori conseguenze economiche. La decisione serve da monito sulla serietà degli adempimenti fiscali e sulla necessità di basare eventuali impugnazioni su motivi solidi e giuridicamente pertinenti, per non incorrere in una declaratoria di inammissibilità e nelle relative sanzioni pecuniarie.
Per quale reato è stato condannato l’imputato?
Per il reato di omesso versamento di IVA previsto dall’art. 10-ter del D.Lgs. 74 del 2000, per aver omesso di versare l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale.
Qual era l’argomento principale del ricorso presentato alla Corte di Cassazione?
Il ricorrente sosteneva che il reato non sussistesse perché l’IVA andrebbe pagata ‘per cassa’ (cioè solo dopo aver incassato il denaro) e non ‘per competenza’ (cioè in base alle fatture emesse), un’interpretazione che la Corte ha ritenuto manifestamente infondata.
Quali sono state le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La Corte di Cassazione ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale per i ricorsi inammissibili.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31016 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31016 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a LOVERE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/06/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che con sentenza depositata il 28 giugno 2023 la Corte di appello di Brescia confermava la precedente sentenza del giorno 14 settembre 2022 con cui il Tribunale di Brescia aveva condannato NOME alla pena di anni 1 di reclusione avendolo ritenuto colpevole del reato di cui al capo a) dell’imputazione;
che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il prevenuto articolando un unico motivo di impugnazione con cui eccepiva il vizio di motivazione con riferimento all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato; più in particolare il ricorrente censurava la decisione impugnata nella parte in cui i Giudici del merito avevano ritenuto integrata la fattispecie reato dì cui all’art. 10 ter del D.Lgs. 74 del 2000 con la mera omissione della dichiarazione relativa all’I.V.A.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che il motivo in esso contenuto risulta manifestamente infondato in quanto si fonda su un preteso enunciato ermeneutico, ovvero che l’imposta sul valore aggiunto sia pagata per cassa e non per competenza, in contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità;
che il ricorso devo perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa dì inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente a pagamento delle spese processuali nonché della somma equitativamente fissata in C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2024 Il Consigliere este sore
il Presidente