Omesso Versamento IVA: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
L’omesso versamento IVA è uno dei reati tributari più comuni contestati agli imprenditori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti della difesa in sede di legittimità, sottolineando il valore probatorio della documentazione fiscale e i criteri per l’applicazione della non punibilità per tenuità del fatto. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un imprenditore, legale rappresentante di una ditta individuale, condannato sia in primo grado dal Tribunale di Terni che in secondo grado dalla Corte di Appello di Perugia. L’accusa era quella di aver omesso il versamento dell’IVA dovuta per l’anno d’imposta 2016, per un importo complessivo superiore a 445.000 euro. La condanna inflitta era di sei mesi di reclusione.
Contro la sentenza d’appello, l’imprenditore ha proposto ricorso per Cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali.
I Motivi del Ricorso e la Tesi Difensiva
La difesa dell’imputato si è articolata su due fronti:
1. Vizio di motivazione e insufficienza della prova: Secondo il ricorrente, la condanna si basava esclusivamente sulla documentazione proveniente dall’Agenzia delle Entrate, senza un’adeguata valutazione della sua colpevolezza e dell’elemento psicologico del reato.
2. Mancata applicazione della non punibilità: L’imprenditore sosteneva che i giudici di merito avrebbero dovuto applicare l’art. 131-bis del codice penale, che prevede la non punibilità per i reati di “particolare tenuità del fatto”.
L’Analisi della Cassazione sull’Omesso Versamento IVA
La Corte di Cassazione ha rigettato entrambe le argomentazioni, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile.
La Valenza Probatoria della Documentazione Fiscale
Sul primo punto, la Corte ha affermato che la motivazione della Corte d’Appello era esente da vizi logici o giuridici. I giudici di merito avevano correttamente ritenuto che la documentazione fornita dall’Agenzia delle Entrate fosse prova idonea ed efficace del reato contestato. La Cassazione ha sottolineato un aspetto cruciale: l’imputato non aveva fornito alcun elemento concreto o prova a discarico per contestare le risultanze fiscali o per dimostrare l’assenza di dolo. In assenza di prove contrarie, la documentazione dell’ente impositore è stata considerata sufficiente a fondare il giudizio di colpevolezza.
L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto
Anche il secondo motivo è stato ritenuto manifestamente infondato. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito di non applicare l’art. 131-bis c.p. La ragione è puramente quantitativa: l’importo dell’IVA non versata (oltre 445.000 euro) era quasi il doppio della soglia di punibilità prevista dalla legge per questo reato (pari a 250.000 euro). Un’evasione di tale portata non può in alcun modo essere considerata di “particolare tenuità”.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi proposti erano privi di fondamento giuridico evidente. La decisione della Corte d’Appello è stata considerata ben argomentata e immune da censure. La Suprema Corte ha ribadito che, di fronte a una prova documentale chiara fornita dall’accusa (in questo caso, l’Agenzia delle Entrate), spetta alla difesa fornire elementi concreti per metterla in discussione, cosa che nel caso di specie non è avvenuta. Inoltre, il superamento significativo della soglia di punibilità costituisce un ostacolo insormontabile all’applicazione del beneficio della particolare tenuità del fatto. Per queste ragioni, il ricorso è stato respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Le Conclusioni
Questa ordinanza offre due importanti spunti pratici. In primo luogo, nei procedimenti per reati tributari come l’omesso versamento IVA, la documentazione proveniente dagli organi fiscali ha un peso probatorio molto forte. Per contrastarla, non è sufficiente una generica contestazione, ma è necessario produrre prove documentali o testimoniali capaci di smentire i dati dell’accusa o di dimostrare l’assenza dell’elemento soggettivo del reato. In secondo luogo, la possibilità di beneficiare della non punibilità per particolare tenuità del fatto è preclusa quando l’importo evaso supera in modo significativo la soglia di rilevanza penale. La decisione riafferma un principio di proporzionalità: maggiore è il danno arrecato all’erario, minore è la possibilità che il fatto venga considerato lieve.
La sola documentazione dell’Agenzia delle Entrate è sufficiente per una condanna per omesso versamento IVA?
Sì, secondo questa ordinanza, la documentazione proveniente dall’Agenzia delle Entrate può essere considerata prova sufficiente ed efficace, soprattutto se l’imputato non fornisce alcun dato o prova contraria per metterne in discussione la validità o per escludere la propria colpevolezza.
La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) si può applicare a un omesso versamento IVA di importo elevato?
No. La Corte ha stabilito che se l’importo dell’imposta non versata supera significativamente la soglia di punibilità prevista dalla legge (nel caso specifico, quasi il doppio), il reato non può essere considerato di ‘particolare tenuità’ e, pertanto, il beneficio della non punibilità non può essere concesso.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta il rigetto del ricorso senza che la Corte esamini il merito della questione. La sentenza di condanna precedente diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2298 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2298 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MONCALIERI il 06/06/1977
avverso la sentenza del 14/11/2023 della CORTE APPELLO di PERUGIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che con sentenza depositata il giorno 6 febbraio 2024 la Corte di appello di Perugia confermava la sentenza del 20 ottobre 2021 con cui il Tribunale di Terni, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato COGNOME NOME alla pena di mesi 6 di reclusione avendolo ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 10 ter del D.Lgs. 74/2000 in quanto, in qualità di legale rappresentante della omonima ditta individuale, ometteva di versare nei termini previsti l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale del periodo d’imposta 2016 per un ammontare complessivo superiore ai 445.000,00;
che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il prevenuto articolando i motivi di impugnazione di seguito sintetizzati;
che con il primo motivo il ricorrente eccepiva il vizio di motivazione e l’erronea applicazione della legge con riferimento alla statuizione di reità censurando la sentenza impugnata per aver valutato sussistente la condotta contestata esclusivamente sulla scorta della documentazione connessa alla denuncia proveniente dalla Agenzia delle Entrate;
che con il secondo motivo il COGNOME eccepiva l’erronea applicazione della legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che il primo motivo in esso contenuto risulta manifestamente infondato in quanto la Corte territoriale, con valutazione esente da vizi logici o giuridici, h adeguatamente argomentato circa l’idoneità/efficacia probatoria della documentazione proveniente dalla Agenzia delle Entrate dando rilevo alla circostanza che in nessun caso il ricorrente ha fornito alcun dato positivo utile a metterne in discussione le risultanze né questi ha documentato circostanze tali da escludere la sussistenza dell’elemento psicologico;
che il secondo motivo è del pari manifestamente infondato atteso che la Corte perugina ha correttamente escluso l’applicabilità dell’invocato art. 131 bis cod. pen. dando rilevo alla misura del versamento omesso, quasi il doppio dela soglia di punibilità;
che il ricorso devo perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionare nonché rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma equìtativamente fissata in C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2024 Il Consigliere estensore
COGNOME il Presidente