Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 31255 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 31255 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Lonato del Garda (Bs) il 11 settembre 1964;
avverso la sentenza n. 304/2024 della Corte di appello di Brescia del 24 maggio 2024;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata ed il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentito, altresì, per il ricorrente l’avv. NOME COGNOME GLYPH foro di Roma, anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME del foro di Roma, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOMECOGNOME assistito dal proprio difensore fiduciario, ha interposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 24 maggio 2024 con la quale la Corte di appello di Brescia, in sostanziale riforma della sentenza in precedenza emessa dal Tribunale di tale medesima città in data 23 giugno 2023, ha dichiarato la penale responsabilità di quello in ordine al reato di cui all’art. 10ter del dlgs n. 74 del 2000 e lo ha, pertanto, condannato, riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche, alla pena ritenuta di giustizia, disponendo, altresì, a carico dell’imputato le pene accessorie previste dalla legge nonché la confisca del profitto, residuo avendo il COGNOME in parte estinto il debito in esecuzione di un piano di rateizzazione dell’imposta evasa, conseguito attraverso la commissione del reato oggetto di contestazione.
Nel ribaltare il giudizio assolutorio formulato nella sentenza di primo grado – che era stato argomentato sulla base della ritenuta carenza dell’elemento soggettivo del reato in contestazione, posto che l’omesso versamento delle imposte era dovuto per un verso all’avvenuto inaridimento della principale fonte di reddito alimentante le finanze della impresa gestita dal Roncadori (cioè un contratto per la gestione della logistica di un importante gruppo imprenditoriale) che aveva determinato una grave crisi di liquidità di quest’ultima e per altro verso alla generale crisi economica derivante dalla diffusione della pandemia da Covid-19 – la Corte di appello ha ritenuto che l’interruzione del ricordato rapporto commerciale per la gestione della logistica, oltre ad essere un evento che nella pratica degli affari non può essere definito eccezionale, era comunque intervenuto a distanza di oltre un anno rispetto al momento in cui il Roncadori avrebbe dovuto versare le somme da lui dovute a titolo di Iva, di tal che quello avrebbe avuto il tempo di fare fronte alla difficoltà verificatasi; ha, altresì, aggiunto la Corte di appello che l’imputato anche in passato aveva utilizzato la tecnica di non versare l’Iva dovuta alle opportune scadenza, chiedendo successivamente di rateizzare il debito tributario in tal modo contratto.
Deve, pertanto, ritenersi che la omissione di cui ora si tratta sia da intendersi quale frutto di una precisa scelta imprenditoriale da lui assunta.
Nessun rilievo ha la circostanza che anche in questo caso il prevenuto avesse stipulato con l’amministrazione tributaria un piano di rientro, avendo egli poi omesso, successivamente al pagamento delle prime rate (e quindi ben prima del dilagare della dianzi ricordata pandemia da Covid-19), di onorarlo.
Avverso la sentenza della Corte di appello ha, come detto, interposto ricorso per cassazione il Roncadori, affidando le proprie lagnanze ad un unico motivo di doglianza con il quale il ricorrente ha lamentato il fatto che la Corte di appello di Brescia nel ribaltare il giudizio formulato dal giudice di primo grado abbia diversamente apprezzato le dichiarazioni rese dal consulente di parte NOME senza procedere, sebbene nulla impedisse siffatto adempimento processuale, alla nuova assunzione della sua testimonianza, in tale modo violando la previsione contenuta nell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., ed omettendo di stendere una motivazione rafforzata rispetto alla motivazione assolutoria resa dal Tribunale in primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è basato su argomenti impugnatori palesemente infondati e, pertanto, lo stesso deve essere dichiarato inammissibile.
Il motivo di impugnazione presentato dalla difesa del ricorrente può essere inteso come sostanzialmente bipartito; da una parte, infatti, ci si duole che la sentenza di appello, con la quale è stata ribaltata la decisione assolutoria assunta dal giudice di primo grado, non sia dotata di quella che la pratica definisce “motivazione rafforzata” e, per altro, sia pur connesso, verso si deduce la avvenuta violazione dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. per avere il giudice del gravame provveduto alla integrale modifica della sentenza di primo grado, nel senso di affermare la penale responsabilità del prevenuto, senza aver provveduto alla rinnovazione istruttoria, in particolare senza aver proceduto alla riassunzione dell’esame testimoniale del consulente tecnico della difesa ascoltato nel corso del giudizio svoltosi di fronte al Tribunale di Brescia.
Entrambi i profili della impugnazione appaiono privi di pregio.
Quanto al primo: è, ovviamente, ben vero che allorché il giudice del gravame intenda discostarsi dagli approdi decisori cui era pervenuto il giudice di primo grado, egli è tenuto a stendere una cosiddetta “motivazione rafforzata”, nella quale, onde rimuovere gli effetti logici derivanti dal contenuto argomentativo della sentenza assolutoria di primo grado, egli dovrà non solo esporre le ragioni che lo hanno indotto ad assumere la decisione presa, ma anche indicare i motivi per i quali, invece, la sentenza emessa nel precedente grado di giudizio, non è soddisfacente.
Mei definire il concetto di “motivazione rafforzata” questa Corte ha chiarito che essa, richiesta, come detto, nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore di quella di cui era dotata la sentenza di primo grado (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 23 dicembre 2019, n. 51898, rv 278056).
Evidentemente un tale sforzo dimostrativo tanto più ingente dovrà essere, quanto più argomentata e logicamente convincente era stata la sentenza in precedenza emessa nel grado di giudizio oggetto di riforma.
Precisato che l’obbligo in questione non comporta quale derivazione necessitata anche quello di rinnovazione della attività istruttoria, laddove non ricorrano le specifiche condizioni di cui all’art. 603, comma 3 – bis, cod. proc. pen. (si veda, infatti, nel senso esposto: Corte di cassazione, Sezione II penale, 26 settembre 2018, n. 41784, rv 275416, oltre alla già citata Corte di cassazione n. 51989 del 2019; non tragga in inganno, a tale proposito, la sintesi di Corte di cassazione, Sezione III penale, 17 aprile 2023, n. 16131, rv 284493, contenuta nella relativa massima ufficiale, da intendersi correttamente nel senso che – precisata la non alternatività di essi – la concorrenza dei due oneri processuali non è assoluta ma ricorre solo nel caso in cui si siano verificati i diversi presupposti per il loro contestuale sussistere), si rileva che, quanto al caso in esame, la Corte di appello cidnea, dopo avere puntualmente individuato le ragioni che avevano spinto il giudice di primo grado ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in contestazione in capo al prevenuto, ha, invece, con altrettale precisione, individuato le ragioni per le quali quelle (cioè: la interruzione della continuità del rapporto contrattuale con un importante gruppo imprenditoriale nazionale; le difficoltà commerciali connesse al verificarsi della pandemia da Covid-19; il tentativo, peraltro abortito, di definizione negoziale della pendenza tributaria) non erano tali da costituire un fattore idoneo ad escludere la piena e volontaria consapevolezza in capo al Roncadori di evadere le imposte risultanti dalla dichiarazione fiscale da lui presentata quanto all’anno di imposta 2016.
Infatti, al di là della non dimostrata sussistenza degli elementi di fatto che, in presenza di una crisi di liquidità finanziaria, quale quella allegata dal
ricorrente, avrebbero potuto giustificare la esclusione della responsabilità penale derivante dall’omesso versamento delle imposte oggetto di dichiarazione tributaria (al riguardo si rimanda, per la indicazione degli stringenti fattori rilevanti al fine di cui sopra secondo la condivis giurisprudenza di questa Corte, a Corte di cassazione, Sezione III penale, 29 maggio 2019, n. 23796, rv 275967), va ribadita la piena condivisibilità della tesi esposta dalla Corte di appello secondo la quale la circostanza che un cliente, sebbene importante e persino esclusivo, interrompa il rapporto di collaborazione contrattuale con il contribuente – in tale modo privandolo degli apporti finanziari continuativi che il sinallagma esistente fra prestazione e controprestazione fornita fra le parti assicurava – rientra nell’ordinario rischio di impresa per l’eventuale verificarsi del quale l’accorto operatore commerciale deve, preventivamente, predisporre, ove non preferisca accollarsi il rischio di un difault finanziario, gli opportuni strumenti, anche monetari, per farvi fronte, tanto più ove, come nel caso in esame, la omissione abbia ad oggetto il versamento di somme da quello già incassate a titolo di Iva – e dal medesimo non accantonate – in quanto rimessegli dal soggetto che aveva goduto del servizio prestato in suo favore dal contribuente inadempiente (in giurisprudenza sulla solo parziale rilevanza anche dell’inadempimento contrattuale del fruitore del servizio resogli, e non, come in questo caso, della mera interruzione del rapporto commerciale: Corte di cassazione, Sezione III penale, 10 agosto 2021, n. 31352, rv 282237).
AiV
Quanto agli effetti della pandemia da Covid-19, la ampiezza dello scarto temporale, evidenziata dalla Corte di merito, fra il verificarsi dell’inadempimento tributario ed il successivo insorgere dell’evento globale giustifica la irrilevanza causale del secondo sul primo, mentre il fatto che, sempre ampiamente prima all’intervento della predetta circostanza sanitaria, il COGNOME abbia interrotto il versamento delle rate relative al piano di rientro concordato con l’Agenzia delle entrate rende scarsamente significativa, ai fini della esclusione dell’elemento soggettivo del reato, l’avvenuto tentativo di definizione negoziale della vicenda, essendo palese che la interruzione dei pagamenti da parte dell’imputato è stata il frutto di un suo deliberato intento e non la conseguenza di una qualche costrizione incidente sul libero determinarsi della sua volontà.
Sotto il profilo della carenza della motivazione rafforzata, pertanto, la sentenza impugnata è immune dal vizio dedotto.
Quanto al successivo profilo, afferente alla lamentata violazione dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., si osserva quanto segue: la previsione contenuta nella disposizione di riferimento, in base alla quale – in sintesi – ove la sentenza di proscioglimento pronunziata in primo grado sia stata appellata dal Pm per motivi inerenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice del gravame, ove si tratti di prova assunta nel contraddittorio fra le parti, ne dovrà disporre la rinnovazione in sede di giudizio di secondo grado, appare essere esulante rispetto alla presente fattispecie, nella quale, essendo pacifici sotto il profilo naturalistico i fatti per i quali è processo, non è stata opera alcuna rivalutazione in termini di sindacato sulla attendibilità di quanto riferito dai testi escussi nel corso della istruttoria dibattimentale svolta di fronte a giudice di primo grado né è stata operata alcuna rivalutazione interpretativa degli elementi di fatto accertati dal Tribunale di Brescia, essendo stato esclusivamente operato un riesame, sotto il profilo schiettamente giuridiconormativo, della rilevanza penale dei fatti accertati, esclusa in sede di giudizio di primo grado ed, invece, affermata, con plausibili argomentazioni, da parte del giudice del gravame.
In una tale contingenza, in cui non è in discussione la valutazione della prova dichiarativa (significativamente neppure evocata nei suoi contenuti dalla Corte di appello cidnea) ma solamente la rilevanza penale dei fatti per come pacificamente accertati, la disposizione la cui violazione, data la sua mancata applicazione, è stata lamentata dalla parte ricorrente appare estranea al novero di quelle rilevanti nel giudizio di appello, di tal che la doglianza formulata da parte ricorrente è destituita di qualsivoglia fondamento.
Anche il secondo profilo della impugnazione presentata dalla difesa del Roncadori è, pertanto, inammissibile.
La impugnazione proposta deve, in conclusione, essere, a sua volta, dichiarata inammissibile ed il ricorrente, visto l’art. 616 cod. proc. pen., va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di 3.000,00 euri in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente