Omesso versamento IVA: la crisi di liquidità non esclude il reato
L’omesso versamento IVA rappresenta una delle fattispecie di reato tributario più comuni, spesso legata a difficoltà economiche dell’impresa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la mancata riscossione delle fatture emesse non è una scusante valida per evitare la condanna. Analizziamo insieme questa importante decisione per capire le ragioni giuridiche e le implicazioni per gli imprenditori.
I Fatti del Caso: il mancato incasso e il ricorso
Un imprenditore è stato condannato in primo e secondo grado per il reato di omesso versamento IVA per due periodi d’imposta. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su quattro punti principali:
1. Assenza di dolo: sosteneva di non aver agito con l’intenzione di evadere, ma di trovarsi nell’impossibilità di pagare a causa del mancato incasso dei crediti da un cliente.
2. Diniego della messa alla prova: lamentava il rifiuto di sospendere il procedimento per consentirgli di accedere a un percorso di messa alla prova.
3. Mancata concessione delle attenuanti generiche: riteneva ingiusto il diniego delle circostanze attenuanti.
4. Rifiuto della pena sostitutiva: contestava la mancata applicazione di una sanzione alternativa alla detenzione.
Il cuore della sua difesa risiedeva nell’idea che la crisi di liquidità, causata da un debitore inadempiente, dovesse escludere l’elemento soggettivo del reato, ovvero la volontà colpevole di non versare l’imposta.
La Decisione della Cassazione sull’omesso versamento IVA
La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso, dichiarandolo inammissibile. I giudici hanno chiarito che le argomentazioni dell’imprenditore erano ripetitive e infondate, confermando la solidità della decisione della Corte d’Appello.
La Questione del Dolo e il Rischio d’Impresa
Sul punto centrale del dolo, la Corte ha specificato che l’omesso versamento IVA richiede solo il dolo generico. Questo significa che è sufficiente la coscienza e la volontà di non versare l’imposta dovuta. La Corte ha osservato che la mancata riscossione di un credito è un evento che rientra nel normale rischio d’impresa. L’imprenditore avrebbe potuto e dovuto adottare misure alternative, come:
* Sospendere i rapporti commerciali con il cliente inadempiente.
* Emettere note di storno per i corrispettivi non riscossi, secondo le procedure contabili.
* Ricorrere al credito bancario per far fronte agli obblighi fiscali.
La scelta di non adottare alcuna di queste cautele e di proseguire l’attività, omettendo il versamento dell’IVA, è stata interpretata come una decisione volontaria e, di conseguenza, dolosa.
Il Diniego della Messa alla Prova e delle Pene Sostitutive
Anche le censure relative al diniego dei benefici sono state respinte. La Corte ha ritenuto la decisione della Corte d’Appello corretta, poiché basata su una prognosi negativa circa la rieducazione dell’imputato. Gli elementi considerati sono stati:
* La mancata riparazione del danno economico (il pagamento del debito).
* La presenza di tre precedenti penali.
* L’aver già beneficiato in passato della sospensione condizionale della pena, senza che questa avesse avuto un’efficacia deterrente.
Per queste ragioni, né la messa alla prova né la pena sostitutiva sono state considerate idonee.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale. L’obbligo di versare l’IVA sorge con l’emissione della fattura e la conseguente dichiarazione, a prescindere dall’effettiva riscossione del corrispettivo. Affermare il contrario significherebbe far ricadere sullo Stato, e quindi sulla collettività, il rischio del mancato pagamento da parte dei clienti privati. L’imprenditore ha a disposizione strumenti civilistici e fiscali per gestire l’insolvenza dei debitori, ma non può semplicemente scegliere di non adempiere ai propri obblighi tributari. L’omissione diventa, in questo contesto, una scelta consapevole di finanziare la propria attività a scapito dell’Erario.
Le conclusioni
Questa ordinanza conferma che la responsabilità penale per l’omesso versamento IVA è rigorosa. Gli imprenditori devono essere consapevoli che la crisi di liquidità, anche se incolpevole, non costituisce una giustificazione automatica. È essenziale adottare una gestione finanziaria e contabile prudente, utilizzando tutti gli strumenti legali per tutelarsi dal rischio di insolvenza dei clienti. In caso di difficoltà, ignorare gli obblighi fiscali non è una soluzione, ma l’inizio di un percorso che può portare a gravi conseguenze penali. La decisione della Cassazione serve come monito: il rischio d’impresa non può essere trasferito allo Stato.
Non aver incassato una fattura giustifica l’omesso versamento dell’IVA?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’obbligo di versare l’IVA prescinde dall’effettiva riscossione delle somme, che rientra nel normale rischio d’impresa. L’omissione è considerata volontaria e quindi dolosa.
Perché è stato negato il beneficio della messa alla prova all’imputato?
Il beneficio è stato negato a causa di una prognosi negativa sulla rieducazione dell’imputato, basata sui suoi tre precedenti penali, sul fatto che non avesse riparato il danno e che una precedente sospensione condizionale della pena non aveva avuto efficacia deterrente.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta, secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9496 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9496 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESAGNE il 18/04/1978
avverso la sentenza del 07/03/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
RG 26051/24
Rilevato che NOME COGNOME è stato condannato alle pene di legge per il reato dell’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 per i periodi di imposta 2016 e 2017;
Rilevato che l’imputato lamenta con il primo motivo il vizio di motivazione in merito all’esiste dell’elemento soggettivo; con il secondo la violazione di legge per il diniego della sospension del procedimento con messa alla prova; con il terzo il vizio di motivazione per il diniego del generiche e con il quarto la violazione di legge per mancata applicazione della pena sostitutiva della pena detentiva dell’art. 58 legge n. 689 del 1981;
Ritenuto che il ricorso contenga censure ripetitive di quelle già vagliate e disattese con adeguat motivazione giuridica dalla Corte di appello;
Rilevato, quanto al primo motivo sul dolo, che il ricorrente non si confronta con la sentenz impugnata che ha accertato il dolo generico della violazione tributaria perché il ricorrente avev dichiarato di non aver versato VIVA perché non incassata, ma non aveva sospeso i rapporti commerciali con la debitrice inadempiente, non aveva effettuato storni né aveva fatto ricorso al credito bancario, per cui in definitiva l’omissione era volontaria e quindi dolosa;
Ritenuto di dover dare continuità all’indirizzo interpretativo di questa Sezione secondo c l’omesso versamento dell’IVA, dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale, non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, atteso che l’obbligo del predetto versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all’ordinario rischio di impresa, evitabi anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi (Sez. 27202 del 19/05/2022, Natale, Rv. 283347 – 01);
Rilevato che il diniego della sospensione del procedimento con messa alla prova è stato motivato in modo ineccepibile con la formulazione di una prognosi negativa, perché il ricorrente non aveva pagato, non aveva riparato il danno, aveva tre precedenti penali e aveva già usufruito del beneficio della sospensione condizionale della pena, che evidentemente non aveva sortito alcuna efficacia deterrente;
Rilevato che immune da censure è anche la motivazione relativa al diniego delle generiche, anche avuto riguardo alla notevole entità delle imposte evase;
Rilevato che del pari immune da censure è la motivazione in merito al diniego della pena sostitutiva, non ricorrendo i presupposti dell’art. 58 I. 689 del 1981, per l’impossibil considerare la pena sostitutiva in siffatta situazione “più idonea alla rieducazione” e l’impossibilità di formulare una prognosi favorevole all’ottemperanza delle prescrizioni di legg frati
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile e rilevato che al declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1’8 novembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente