Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2057 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2057 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/01/2023 della Corte d’appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito, per il ricorrente, l’AVV_NOTAIO, che ha insisti l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 16 gennaio 2023, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Monza, confermato la dichiarazione di penale responsabilità di NOME COGNOME pe reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 ed ha rideterminato la pena,
riducendola, in un anno di reclusione, con esclusione della recidiva e concessione del beneficio della sospensione condizionale.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, NOME COGNOME, nella sua qualità di liquidatore e legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE“, avrebbe omesso di versare, entro il termine del 27 dicembre 2016, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale dei redditi relativa all’anno 2015, ed ammontante alla somma di 328.109,00 euro.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe NOME COGNOME, con atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO, articolando due motivi, preceduti da una descrizione dei fatti e dello svolgimento del processo in primo grado e in appello.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 431, 191 e 234 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta utilizzabilità della comunicazione della notizia di reato e degli atti ad essa allegati.
Si deduce che gli atti acquisiti – comunicazione della notizia di reato, visura camerale della società, certificazione 770 della “RAGIONE_SOCIALE” e dichiarazione IVA del 2016 in relazione all’anno 2015 – sono inutilizzabili perché non rientrano tra quelli previsti dall’art. 431 cod. proc. pen., e sono stati inolt ammessi dal giudice al fascicolo per il dibattimento nonostante la tempestiva opposizione del difensore all’udienza del 6 luglio 2021. Si precisa che la nota di comunicazione della notizia di reato deve essere qualificata come denuncia e si aggiunge che nessun teste è stato citato o escusso a dibattimento.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 40, secondo comma, 42 e 43 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del dolo del reato di omesso versamento di IVA.
Si deduce che la sentenza impugnata ha omesso di considerare l’impossibilità per l’imputato di adempiere, segnalata dalla difesa. Si segnala che, come rappresentato alla Corte d’appello, la società “RAGIONE_SOCIALE” era in stato di RAGIONE_SOCIALE da oltre un anno, precisamente dal 23 giugno 2015, e che l’imputato era stato nominato liquidatore solo nel luglio 2016, ossia a ridosso della scadenza dell’obbligo di pagamento penalmente sanzionato. Si rappresenta, poi, che l’omesso accantonamento delle somme dovute a titolo di IVA al momento della percezione dei corrispettivi per le prestazioni non era riferibile al liquidatore: corrispettivi erano relativi al 2015, mentre l’imputato era stato nominato liquidatore nel luglio 2016; di conseguenza, egli non aveva mai avuto a disposizione le somme necessarie per effettuare i versamenti all’Erario. Si
aggiunge, quindi, che, nel momento in cui l’imputato ha assunto la carica di liquidatore, la società era del tutto priva di liquidità e non aveva accesso al credito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
Manifestamente infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano l’utilizzabilità degli elementi acquisiti, deducendo che gli stessi non appartengono alle tipologie previste dall’art. 431 cod. proc. pen.
2.1. Innanzitutto, va precisato che, secondo un principio AVV_NOTAIO, espresso sin da epoca risalente, di poco successiva all’entrata in vigore del codice di rito del 1988, ai fini dell’ammissione delle prove documentali sono necessarie due condizioni: a) che il documento risulti materialmente formato fuori, ma non necessariamente prima, del procedimento; b) che lo stesso oggetto della documentazione extra-processuale appartenga al contesto del fatto oggetto di conoscenza giudiziale e non al contesto del procedimento (così Sez. 5, n. 6887 del 13/04/1999, COGNOME, Rv. 213606-01).
In applicazione di questo principio AVV_NOTAIO sono da ritenersi acquisibili come prove documentali sia le dichiarazioni fiscali rese dal contribuente (cfr., in questo senso, implicitamente, ma inequivocabilmente, anche Sez. U, n. 24782 del 22/03/2018, Macerata, Rv. 272801-01, con riferimento al NUMERO_DOCUMENTO), sia gli atti amministrativi di accertamento compiuti dai competenti uffici finanziari (così, tra le tantissime, in AVV_NOTAIO, Sez. 4, n. 4705 del 15/11/2016, dep. 2017, De Vanni, Rv. 268999-01, nonché, con riguardo al processo verbale di constatazione, Sez. 3, n. 54379 del 23/10/2018, G., Rv. 274131-01).
2.2. Nella specie, la sentenza impugnata ha fondato il suo giudizio sulla dichiarazione ai fini IVA presentata per conto della società “RAGIONE_SOCIALE” relativamente all’anno 2015, dal cui quadro VL risulta il debito in contestazione, pari a 328.109,00 euro, e sugli accertamenti dell’Amministrazione finanziaria, tra i quali la comunicazione alla precisata società dell’accertamento, da parte degli uffici dell’Erario, del mancato versamento dell’IVA alla data del 3 aprile 2018 (data di elaborazione del documento).
Gli atti indicati, per quanto esposto in precedenza al § 2.1, sono sicuramente qualificabili come documenti a norma dell’art. 234 cod. proc. pen., e quindi, sono stati legittimamente acquisiti al fascicolo per il dibattimento ed utilizzati per decisione.
Per completezza, deve aggiungersi che gli atti indicati sono sicuramente idonei, anche in concreto, a dare dimostrazione dell’imposta dovuta e dell’omesso versamento della stessa, stante l’assenza di qualunque specifico elemento di
segno diverso o comunque tale da ingenerare dubbi sulla loro genuinit attendibilità e concludenza.
Manifestamente infondate sono anche le censure formulate nel secondo motivo, che contestano l’affermazione di sussistenza del dolo, deducendo che sentenza impugnata ha omesso di considerare l’impossibilità di adempiere d parte dell’imputato, in particolare perché lo stesso era stato nominato rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE” in prossimità della scadenza, e allora la stessa era priva di liquidità e non aveva accesso al credito.
Innanzitutto, va premesso che, come precisato da una recente decisione risponde del delitto di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 il liquidatore di società di capitali subentrato dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e p della scadenza del versamento, che ometta di versare all’Erario le somme dovu sulla base della dichiarazione, non trovando applicazione le limitazioni fi dall’art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che fa espresso riferiment sole imposte sui redditi e non esclude implicitamente la riferibil liquidatore dell’art. 10-ter citato, disciplinando esclusivamente la fase della riscossione tributaria dell’obbligazione solidale, di natura civilistica, di que per il pagamento dei tributi non versati (così Sez. 3, n. 20188 del 12/02/ Gianotti, Rv. 281340-01).
Ciò posto, va data applicazione al principio costantemente affermato dal giurisprudenza di legittimità, secondo cui risponde del reato di omesso versame di IVA (art. 10-ter, d.lgs. 74 del 2000), quanto meno a titolo di dolo eventuale, soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o liquidato una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e della scadenza del versamento, omette di versare all’Erario le somme dovute su base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di nat puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso condotta lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che posso derivare da pregresse inadempienze (così, tra le tante, Sez. 3, n. 3492 24/06/2015, COGNOME, Rv. 264882-01, e Sez. 3, n. 38687 del 04/06/201 COGNOME, Rv. 260390-01; cfr. inoltre, Sez. 3, n. 3636 del 09/10/2013, dep. 2 COGNOME, Rv. 259092-01, la quale ha escluso che tale tipo di addebito ab carattere “colposo”, attesa la particolare semplicità delle verifiche che avr consentito di appurare l’incombenza dell’obbligo tributario).
Nella specie, peraltro, l’attuale ricorrente non ha nemmeno allegato di assunto la carica senza aver effettuato le verifiche in ordine ai debiti fiscal inadempimento dipende la sua penale responsabilità.
Né, d’altro canto, egli, a fronte della assenza di liquidità e del r i ..) ! concessione di crediti da parte delle banche, può ritenersi impossibil
prendere iniziative utili ad escludere la propria responsabilità, perché a potuto anche, ben prima della scadenza penalmente sanzionata, chiedere dichiarazione di fallimento della società. Invero, come già precisato giurisprudenza, non risponde del reato di omesso versamento di IVA persino ch pur avendo presentato la dichiarazione annuale, non è poi tenuto, anche per sopravvenuti, al pagamento dell’imposta nel termine previsto dall’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, salvo che il pubblico ministero non dimostri che il soggetto inequivocabilmente preordinato la condotta rispetto all’omissione del versame (così, ad esempio, Sez. 3, n. 53158 del 02/07/2014, Lombardi, Rv. 261596-01 con specifico riguardo alla sopravvenienza di una dichiarazione di fallimento).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profi colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a fa della cassa delle ammende, della somma di euro tremila, così equitativamen fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa ammende.
Così deciso in data 14/11/2023
Il Consigliere estensore
Il PreSídente