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Omesso versamento IVA: la responsabilità del liquidatore

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un liquidatore di società, condannato per omesso versamento IVA per oltre 300.000 euro. L’imputato sosteneva di non avere colpa, essendo stato nominato poco prima della scadenza del pagamento e trovando la società già priva di liquidità. La Corte ha ribadito che il liquidatore subentrante ha il dovere di verificare la situazione fiscale e risponde del mancato pagamento, anche a titolo di dolo eventuale, poiché la crisi di liquidità non costituisce una scusante valida.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Omesso versamento IVA: la responsabilità del liquidatore anche con casse vuote

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 2057 del 2024, torna su un tema cruciale per amministratori e liquidatori di società: la responsabilità penale per l’omesso versamento IVA. La pronuncia conferma un orientamento rigoroso, stabilendo che il liquidatore subentrato in una società già in crisi di liquidità non può invocare la mancanza di fondi come scusante per il mancato pagamento dell’imposta. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda il liquidatore di una società a responsabilità limitata, condannato per non aver versato l’IVA relativa all’anno d’imposta 2015 per un importo di circa 328.000 euro. La particolarità della vicenda risiede nel fatto che l’imputato era stato nominato liquidatore nel luglio 2016, a pochi mesi dalla scadenza per il versamento (fissata al 27 dicembre 2016). Al momento della sua nomina, la società era già in stato di liquidazione da oltre un anno e, secondo la difesa, versava in una grave crisi finanziaria, senza liquidità e senza possibilità di accesso al credito. Di conseguenza, il liquidatore si trovava nell’impossibilità materiale di adempiere all’obbligo tributario.

La Difesa dell’Imputato

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Inutilizzabilità delle prove: La difesa sosteneva che gli atti acquisiti nel processo, come la comunicazione della notizia di reato e la dichiarazione IVA, non fossero utilizzabili come prova documentale ai sensi del codice di procedura penale.
2. Assenza di dolo: Il motivo centrale del ricorso era la presunta impossibilità di adempiere. Il liquidatore affermava di non aver mai avuto a disposizione le somme necessarie per pagare l’IVA, poiché i corrispettivi erano stati incassati nel 2015, ben prima della sua nomina. La mancanza di fondi e l’impossibilità di ottenere credito rendevano, a suo dire, inevitabile l’omissione.

Le Motivazioni della Cassazione e la Responsabilità per omesso versamento IVA

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, rigettando entrambe le argomentazioni della difesa e confermando la responsabilità penale del liquidatore.

Sull’utilizzabilità degli atti fiscali

In primo luogo, i giudici hanno chiarito che le dichiarazioni fiscali presentate dal contribuente e gli atti di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria sono a tutti gli effetti prove documentali, pienamente utilizzabili nel processo penale. Si tratta di documenti formati al di fuori del procedimento e che rappresentano fatti rilevanti per la decisione, quindi la loro acquisizione è stata ritenuta legittima.

Sulla sussistenza del dolo e la crisi di liquidità

Il punto cruciale della sentenza riguarda la responsabilità del liquidatore subentrante. La Cassazione ha ribadito il suo consolidato orientamento: chi assume la carica di amministratore o liquidatore di una società ha il dovere di effettuare un controllo sulla contabilità e sugli adempimenti fiscali pregressi. Omettendo tale verifica, il nuovo rappresentante legale accetta volontariamente il rischio di tutte le conseguenze che possono derivare da inadempienze passate, rispondendone penalmente almeno a titolo di dolo eventuale.

La Corte ha specificato che la crisi di liquidità non è, di per sé, una causa di forza maggiore che esclude la colpevolezza. Per non essere ritenuto responsabile, l’imputato avrebbe dovuto dimostrare un’impossibilità assoluta di adempiere, non riconducibile a sue scelte gestionali. Secondo i giudici, di fronte all’assenza di fondi, il liquidatore avrebbe potuto e dovuto intraprendere iniziative alternative per escludere la propria responsabilità, come, ad esempio, chiedere la dichiarazione di fallimento della società prima della scadenza del termine per il versamento.

Conclusioni

La sentenza in commento rafforza un principio fondamentale per chiunque assuma cariche societarie: la responsabilità penale per i reati tributari non ammette facili scusanti. La tesi difensiva basata sulla “mancanza di soldi” si rivela quasi sempre inefficace di fronte al dovere di garantire gli adempimenti fiscali. La decisione sottolinea che l’assunzione di una carica gestoria comporta un onere di diligenza e controllo che non può essere ignorato, nemmeno in contesti di grave crisi aziendale. Per gli amministratori e i liquidatori, la lezione è chiara: prima di accettare un incarico, è indispensabile una rigorosa due diligence contabile e fiscale per non ereditare responsabilità penali insidiose.

Un liquidatore nominato poco prima della scadenza del versamento IVA è responsabile se non paga a causa della mancanza di fondi?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, chi subentra nella carica di liquidatore ha il dovere di verificare la situazione fiscale della società. Se omette di versare l’IVA dovuta, ne risponde penalmente, anche se è stato nominato dopo la presentazione della dichiarazione e prima della scadenza del pagamento, e anche se la società era già priva di liquidità.

La crisi di liquidità di una società può essere usata come scusa per non versare l’IVA dovuta?
No, di regola la crisi di liquidità non esclude la responsabilità penale per l’omesso versamento IVA. La responsabilità viene meno solo se si dimostra un’impossibilità assoluta di adempiere, non causata da scelte precedenti dell’amministratore. Di fronte a tale situazione, il liquidatore deve attivarsi con altre iniziative, come la richiesta di fallimento, per evitare conseguenze penali.

Gli atti dell’Amministrazione Finanziaria, come la dichiarazione IVA, possono essere usati come prova in un processo penale?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che le dichiarazioni fiscali, così come gli atti di accertamento degli uffici finanziari, sono pienamente utilizzabili come prove documentali nel processo penale, in quanto rappresentano fatti rilevanti ai fini della decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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