Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30099 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30099 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 14/1/1941
avverso !a sentenza del 30/1/2025 della Corte d’appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e I ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito per il ricorrente l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30 gennaio 2025 la Corte d’appello di Torino ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 22 aprile 2024 del Tribunale di Torino con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, lo stesso COGNOME era stato dichiarato responsabile dell’omesso versamento dell’Iva dovuta per anno d’imposta 2016 dalla RAGIONE_SOCIALE amministrata dallo stesso COGNOME, pari a euro 521.251,00, ai sensi dell’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, e condannato alla pena di cinque mesi e dieci giorni di reclusione, con l’applicazione delle pene accessorie di cui all’art. 12 d.lgs. n. 74 del 2000 e la confisca del profitto di tale reato.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo ha lamentato l’errata applicazione dell’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 e un vizio della motivazione, con riferimento alla affermazione di responsabilità, per l’errata considerazione da parte dei giudici di merito della presenza nella società amministrata dal ricorrente di altri soggetti incaricati dell’adempimento delle obbligazioni contributive e assicurative, ai quali, in particolare a COGNOME, era stato affidato anche l’incarico di compiere ogni atto, con ogni più ampio potere, in materia di rapporti di lavoro, collocamento, adempimenti obbligatori, previdenziali e assicurativi, onde assicurare la piena conformità delle attività alle prescrizioni di legge; il soggetto al quale spettava provvedere al versamento dell’imposta sul valore aggiunto entro le scadenze previste era, dunque, COGNOME; ha aggiunto che dagli elementi acquisiti non emergeva che il ricorrente avesse compiuto atti gestori nel corso dell’annualità fiscale 2016 o che fosse consapevole dei flussi economico finanziari sottesi all’imposta evasa e fosse dunque in grado di determinare le imposte dovute; la responsabilità non poteva, infatti, desumersi dalla sola sottoscrizione della dichiarazione Iva 2017, posto che da tale atto non necessariamente deriva la consapevolezza dell’esistenza di un debito tributario superiore alla soglia di rilevanza penale.
2.2. Con il secondo motivo ha denunciato la violazione degli artt. 649 cod. proc. pen., 12-bis, 19, 20 e 21 d.lgs. n. 74 del 2000, 49 e 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, 4, prot. 7, CEDU, 3, 11, 27 e 117 Cost., e 49, par. 3, CDFUE, con riferimento alla conferma della applicazione della confisca per equivalente del profitto del reato ascritto al ricorrente, comportante l’applicazione di una duplicità di sanzioni per il medesimo fatto aventi entrambe natura sostanzialmente penale e delle quali la Corte d’appello aveva giustificato la proporzionalità in modo generico e sostanzialmente assertivo, limitandosi a
sottolineare la sospensione condizionale dell’esecuzione della pena detentiva, senza considerare la mancanza di prevedibilità della applicazione di tali duplici sanzioni, ossia la pena principale e quelle accessorie e la confisca per equivalente del profitto del reato, e senza adeguatamente illustrare la proporzionalità della sanzione globalmente inflitta, né considerare la gravità del reato e le condizioni economiche dell’agente, nonché l’assenza di fraudolenza della condotta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Il primo motivo, relativo alla affermazione di responsabilità del ricorrente per l’omesso versamento dell’Iva dovuta per l’anno d’imposta 2016 dalla società dallo stesso amministrata, che è stato fondato sul rilievo della attribuzione ad altri soggetti, all’interno della società amministrata dal ricorrente medesimo, del compito di provvedere a tale adempimento, è manifestamente infondato, essendo volto, attraverso la deduzione di vizi della motivazione, a censurare un accertamento di fatto, sulla effettiva esistenza di poteri gestori in capo al ricorrente e sul loro concreto esercizio, che è stato giustificato con motivazione sufficiente e concorde da entrambi i giudici di merito, come tale non rivisitabile sul piano dell’apprezzamento e della valutazione delle prove, come invece proposto dal ricorrente.
Va premesso che l’amministratore di una società risponde del reato omissivo contestatogli (che nel caso in esame è quello di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto risultante dalla relativa dichiarazione sottoscritta dallo stesso ricorrente) quale diretto destinatario degli obblighi di legge, finanche se sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale, per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, C., Rv. 273939 – 02; Sez. 3, n. 7770 del 05/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258850 – 01; Sez. 3, n. 22919 del 06/04/2006, COGNOME, Rv. 234474 – 01; v. anche Sez. 3, n. 20050 del 16/03/2022, COGNOME, Rv. 283201 – 01).
Nel caso in esame la Corte d’appello di Torino, nel disattendere il primo motivo di gravame, sostanzialmente replicato con il primo motivo di ricorso per cassazione senza apprezzabili elementi di novità critica, ha sottolineato che il ricorrente era presidente del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE con socio unico sin dal 2013 e legale rappresentante di tale società dal dicembre 2016 e aveva in
tale veste sottoscritto la dichiarazione iva relativa all’anno 2016, indicando l’imposta da corrispondere senza poi provvedervi, così svolgendo, in concreto funzioni gestorie, con la conseguente irrilevanza, stante l’obbligo derivante dall’assunzione della carica di amministratore, dell’affidamento a terzi dell’incarico di curare la tenuta della contabilità e l’assolvimento degli obblighi fiscali.
Si tratta di motivazione idonea, posto che l’affidamento a un professionista dell’incarico di provvedere agli adempimenti fiscali non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per l’omissione degli stessi, dunque anche in relazione al delitto di omesso versamento iva (di cui all’art. 10-ter, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), in quanto, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale e indelegabile il relativo dovere (Sez. 3, n. 9417 del 14/01/2020, Quattri, Rv. 278421 – 01; Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, COGNOME, Rv. 265087 01; Sez. 3, n. 9163 del 29/10/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 246208 – 01, che hanno affermato il principio in relazione al delitto di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, che, però, in ragione dell identità di struttura delle fattispecie, è estensibile a tutti i reati omissivi p posti a carico degli amministratori di società commerciali), che il ricorrente ha censurato con argomenti generici e fondati su una diversa e non consentita valutazione delle risultanze istruttorie, in particolare dei poteri gestori attribuit ricorrente medesimo e delle funzioni in concreto dallo stesso svolte, e, comunque, alla stregua dei criteri interpretativi ricordati, manifestamente infondati.
3. Il secondo motivo, relativo alla confisca per equivalente disposta nei confronti del ricorrente, la cui applicazione determinerebbe violazione del divieto di ne bis in idem interno e convenzionale, è inammissibile, sia perché dedotto per la prima voita con il ricorso per cassazione, sia perché manifestamente infondato.
Dalla non contestata narrativa della sentenza impugnata (sull’obbligo di contestare a pena di inammissibilità tale riepilogo ove non conforme ai motivi di appello si vedano, ex multis, Sez. 3, n. 11830 del 13/03/2024, COGNOME non massimata; Sez. 3, n. 8657 del 15/02/2024, Immobile, non massimata; Sez. 3, n. 33415 del 19/05/2023, COGNOME, non massimata; Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, COGNOME, Rv. 259066), risulta che tale doglianza è stata formulata per la prima volta con il ricorso per cassazione, posto che con il terzo motivo d’appello il ricorrente aveva solamente lamentato l’eccessività della confisca e la sua sproporzione rispetto alla gravità del fatto e non anche la violazione del divieto di ne bis in idem interno e convenzionale, con la conseguente preclusione alla denuncia di un vizio di motivazione sul punto, alla stregua del consolidato principio secondo cui non può essere dedotto con ricorso per cassazione il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il punto non gli
era stata sottoposto e l’eventuale travisamento della prova non gli era stato rappresentato, cfr. Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, COGNOME, Rv. 261438 – 01; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499 – 01).
La doglianza è, comunque, manifestamente infondata.
Va, infatti, rammentato che la giurisprudenza di legittimità ha, da tempo, chiarito che non sussiste la violazione del divieto di ne bis in idem convenzionale nel caso della irrogazione definitiva di una sanzione formalmente amministrativa, della quale venga riconosciuta la natura sostanzialmente penale, ai sensi dell’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nelle cause “COGNOME RAGIONE_SOCIALE contro Italia” del 4 marzo 2014, e “Nykanen contro Finlandia” del 20 maggio 2014, per il medesimo fatto per il quale vi sia stata condanna a sanzione penale, quando tra il procedimento amministrativo e quello penale sussista una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta, tale che le due sanzioni siano parte di un unico sistema, secondo il criterio dettato dalla suddetta Corte nella decisione “RAGIONE_SOCIALE” del 15 novembre 2016 (Sez. 2, n. 5048 del 09/12/2020, dep. 2021, Russo, Rv. 280570 – 01; Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275833 – 04; Sez. 3, n. 6993 del 22/09/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272588 – 01; Sez. 3, n. 35156 del 01/03/2017, COGNOME, Rv. 270913 – 01).
Ora, nel caso in esame, la confisca della cui applicazione il ricorrente si duole è stata disposta nel medesimo procedimento conclusosi con l’affermazione di responsabilità del ricorrente e Vapplicazione della pena principale e di quelle accessorie, con la conseguente certa sussistenza della stretta connessione tra l’applicazione delle sanzioni penali e di quella formalmente amministrativa ma con portata punitiva della confisca per equivalente; quest’ultima, inoltre, come sottolineato dalla Corte d’appello, risulta proporzionata alla condotta realizzata, in quanto corrisponde al profitto del reato ed è contemplata dal medesimo testo normativo, che nel prevederla ha prefigurato un unico sistema sanzionatorio articolato, comprensivo della pena principale, di quelle accessorie e della confisca, che non determina duplicazione di sanzioni per il medesimo fatto, bensì una risposta unitaria ma articolata, corrispondente ai plurimi profili di offensività dell condotta, con la conseguente insussistenza della violazione del divieto di ne bis in idem interno e convenzionale prospettata dal ricorrente.
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza di entrambi i motivi ai quali è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativannente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
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P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 3/7/2025