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Omesso versamento IVA: la crisi non scusa l’imprenditore

Un imprenditore, legale rappresentante di una S.r.l., è stato condannato per l’omesso versamento IVA di oltre 342.000 euro. In sua difesa, ha sostenuto di non aver potuto pagare a causa di una grave crisi di liquidità dovuta a crediti non riscossi. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che la crisi di liquidità rientra nel normale rischio d’impresa e che la scelta di pagare altri creditori anziché il Fisco configura il dolo richiesto per il reato.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Diritto Tributario, Giurisprudenza Penale

Omesso versamento IVA: la crisi di liquidità non basta a escludere il reato

L’omesso versamento IVA è una delle sfide più complesse per gli imprenditori che affrontano difficoltà economiche. Molti si chiedono se una grave crisi di liquidità, causata magari da clienti che non pagano, possa giustificare il mancato pagamento dell’imposta allo Stato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 21570/2025) ha fornito una risposta chiara e rigorosa, ribadendo che la crisi finanziaria rientra nel normale rischio d’impresa e non esclude, di per sé, la responsabilità penale.

Il caso: un debito IVA non saldato per mancanza di fondi

La vicenda riguarda l’amministratore di una società a responsabilità limitata, condannato in primo e secondo grado per non aver versato l’IVA dovuta per l’anno d’imposta 2016, per un importo di oltre 342.000 euro. La scadenza per il pagamento era fissata al 27 dicembre 2017.

L’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di non aver potuto adempiere all’obbligo tributario a causa di una profonda crisi di liquidità. In particolare, la società non aveva incassato rilevanti crediti dai propri clienti, trovandosi così senza le risorse necessarie per versare l’IVA corrispondente alle fatture emesse. La difesa ha argomentato che questa situazione, che ha portato la società al fallimento pochi anni dopo, configurava una vera e propria impossibilità oggettiva, non una scelta deliberata.

Le argomentazioni della difesa e la richiesta di non punibilità

La linea difensiva si è concentrata su due punti principali:

1. Vizio di motivazione: Secondo il ricorrente, i giudici di merito non avrebbero adeguatamente considerato le prove della crisi, come i bilanci aziendali e le testimonianze che confermavano i mancati incassi.
2. Causa di forza maggiore: Si sosteneva che la situazione di illiquidità, non dipendente dalla volontà dell’imprenditore, dovesse escludere la sua colpevolezza, assimilandosi a una causa di forza maggiore (art. 45 c.p.).

L’imprenditore ha inoltre evidenziato i tentativi fatti per salvare l’azienda, come la negoziazione di un accordo con le banche e l’impiego di risorse personali, sostenendo che queste azioni dimostravano la sua buona fede e l’intento di preservare l’attività e i posti di lavoro.

La responsabilità per l’omesso versamento IVA secondo la Corte

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno chiarito diversi principi fondamentali in materia di reati tributari.

L’obbligo di versare l’IVA, hanno sottolineato, prescinde dall’effettiva riscossione del corrispettivo dal cliente. La crisi di liquidità derivante da inadempimenti altrui è considerata parte integrante del normale rischio d’impresa, che ogni imprenditore accetta di assumere. Pertanto, non può essere invocata come scusante automatica.

La Corte ha inoltre affermato che la colpevolezza (il dolo) nel reato di omesso versamento IVA è provata dalla scelta consapevole dell’imprenditore di destinare le scarse risorse disponibili al pagamento di altri debiti, come quelli verso fornitori e dipendenti, sacrificando il credito dello Stato. Questa non è un’impossibilità oggettiva, ma una precisa scelta di politica aziendale.

le motivazioni

La Corte Suprema ha basato la sua decisione su un orientamento giurisprudenziale consolidato. Per escludere la colpevolezza, l’imprenditore deve fornire una prova rigorosa che la crisi economica non gli sia in alcun modo addebitabile e che abbia adottato tutte le iniziative possibili per onorare il debito fiscale.

Nel caso specifico, è stato evidenziato che l’imputato non aveva documentato azioni concrete per recuperare i crediti o per accedere a strumenti alternativi di finanziamento finalizzati al pagamento delle imposte. La scelta di privilegiare la continuità aziendale e gli altri creditori, pur comprensibile da un punto di vista imprenditoriale, è stata interpretata dalla legge penale come la volontà di non adempiere al debito tributario. I giudici hanno ribadito che l’imprenditore ha l’onere di ripartire le risorse residue in modo da soddisfare, almeno in parte, anche il debito erariale.

le conclusioni

La sentenza conferma un principio chiave: la responsabilità penale per l’omesso versamento IVA non viene meno di fronte a una generica crisi di liquidità. L’imprenditore è chiamato a una gestione prudente che consideri il debito tributario come un’obbligazione prioritaria. Solo in circostanze eccezionali, imprevedibili e non imputabili, e a condizione di aver tentato ogni strada per adempiere, è possibile invocare una causa di non punibilità. La decisione di quali debiti saldare quando le risorse sono scarse ha dirette conseguenze penali, e il Fisco non può essere sistematicamente sacrificato.

La crisi di liquidità di un’azienda giustifica l’omesso versamento dell’IVA?
No, secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, la crisi di liquidità rientra nel normale rischio d’impresa e non è di per sé una causa di giustificazione sufficiente. L’obbligo di versare l’IVA prescinde dall’effettiva riscossione dei crediti dai clienti.

Cosa deve dimostrare un imprenditore per non essere condannato per omesso versamento IVA in caso di crisi?
L’imprenditore deve dimostrare rigorosamente che la crisi economica non sia a lui addebitabile, che fosse imprevedibile e che abbia adottato tutte le iniziative possibili e concrete per provvedere al pagamento del tributo, come azioni legali per il recupero crediti o la ricerca di finanziamenti specifici.

Pagare i dipendenti e i fornitori invece dell’IVA è considerato una scelta che prova la colpevolezza?
Sì. La Corte di Cassazione ritiene che la scelta di destinare le risorse disponibili alla soddisfazione di altri creditori (dipendenti, fornitori) a discapito dell’Erario sia una decisione imprenditoriale che dimostra la coscienza e la volontà di non versare l’imposta, integrando così il dolo richiesto per la configurazione del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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