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Omesso versamento IVA: la crisi non è una scusa

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20070/2025, ha confermato la condanna di un imprenditore per omesso versamento IVA. La Corte ha ribadito che la crisi di liquidità aziendale non costituisce una valida giustificazione, in quanto rientra nel normale rischio d’impresa. La scelta di pagare dipendenti e fornitori anziché l’IVA dovuta dimostra la volontà di commettere il reato. È stata inoltre respinta la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto a causa dei precedenti specifici dell’imputato.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Omesso versamento IVA: la crisi aziendale non esclude il reato

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato il tema dell’omesso versamento IVA in un contesto di crisi aziendale, confermando un orientamento ormai consolidato. La pronuncia stabilisce che le difficoltà economiche di un’impresa non sono sufficienti, da sole, a escludere la responsabilità penale dell’imprenditore. Analizziamo i dettagli del caso e le motivazioni della Corte.

I fatti del caso

Il legale rappresentante di una società operante nel settore calzaturiero veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di omesso versamento IVA, previsto dall’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, per un importo di oltre 278.000 euro.

L’imprenditore presentava ricorso in Cassazione, sostenendo che l’inadempimento fosse dovuto a una grave e incolpevole crisi di liquidità, aggravata da fattori esterni come la crisi del settore, il decesso improvviso di un socio fondamentale e le conseguenti difficoltà con gli istituti di credito. La difesa evidenziava che l’imprenditore aveva privilegiato il pagamento di stipendi e fornitori per garantire la continuità aziendale, nella speranza di poter sanare successivamente il debito con l’Erario, tanto da aver richiesto una rateizzazione prima ancora dell’avvio del procedimento penale.

L’omesso versamento IVA e la crisi di liquidità secondo la Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Secondo gli Ermellini, la crisi di liquidità rientra nel normale rischio d’impresa e non può essere invocata come causa di forza maggiore per giustificare il mancato pagamento delle imposte.

La colpevolezza, e in particolare il dolo, non viene meno se l’imprenditore, di fronte a risorse scarse, sceglie deliberatamente di destinare i fondi al pagamento di altri debiti (come quelli verso dipendenti o fornitori) piuttosto che al versamento dell’IVA. Tale imposta, infatti, non è un costo per l’impresa, ma una somma che l’azienda incassa per conto dello Stato e che ha l’obbligo di accantonare e versare.

La scelta di “autofinanziarsi” utilizzando l’IVA non versata, anche se finalizzata a salvare l’azienda, integra la volontà di commettere il reato. Per escludere la responsabilità, l’imprenditore avrebbe dovuto dimostrare che la crisi era dovuta a eventi imprevedibili e non imputabili a sue scelte gestionali, e di aver adottato ogni iniziativa possibile per adempiere all’obbligazione tributaria.

La non applicabilità della “particolare tenuità del fatto”

La difesa aveva anche richiesto l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), sostenendo che l’importo evaso superasse di poco la soglia di punibilità.

Anche questa richiesta è stata respinta. La Corte ha sottolineato che, per applicare tale istituto, il comportamento dell’autore non deve essere abituale. Nel caso di specie, l’imprenditore aveva commesso in passato altri reati della stessa indole (omesso versamento di ritenute previdenziali, assistenziali e certificate). Questa “abitualità” nel commettere illeciti fiscali è stata considerata ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, rendendo recessivo il criterio del modesto superamento della soglia.

Le motivazioni

La sentenza si fonda su un principio cardine della giurisprudenza in materia di reati tributari: l’obbligo di versare le imposte è un dovere inderogabile per l’imprenditore. Le somme incassate a titolo di IVA sono di proprietà dello Stato e l’azienda agisce come mero “sostituto d’imposta”. La decisione di utilizzare tali fondi per altri scopi, pur se comprensibile in un contesto di difficoltà economica, costituisce una scelta consapevole che integra l’elemento soggettivo del dolo richiesto per il reato di omesso versamento IVA.

La Corte ha inoltre precisato che la richiesta di rateizzazione, sebbene lodevole, non elimina il reato, che si perfeziona al momento della scadenza del termine per il versamento. Infine, è stata dichiarata inammissibile la richiesta di applicazione di pene pecuniarie sostitutive, poiché presentata per la prima volta in Cassazione, in violazione delle norme procedurali che ne impongono la formulazione nei gradi di merito.

Le conclusioni

Questa pronuncia ribadisce la linea dura della Cassazione sull’omesso versamento IVA. Gli imprenditori in difficoltà economica non possono contare sulla crisi di liquidità come scudo contro la responsabilità penale. La sentenza invia un messaggio chiaro: la gestione finanziaria deve sempre includere l’accantonamento delle somme dovute all’Erario, la cui omissione costituisce una precisa scelta illecita e non una fatalità inevitabile. La continuità aziendale non può essere perseguita sacrificando gli obblighi fiscali.

Una crisi di liquidità aziendale può giustificare il mancato pagamento dell’IVA?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la crisi di liquidità è considerata parte del normale rischio d’impresa e non esclude la responsabilità penale. La scelta di utilizzare i fondi per pagare altri debiti anziché l’IVA dimostra la volontà di commettere il reato.

Quando non si applica la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)?
Non si applica quando il comportamento dell’autore è considerato “abituale”. Nel caso esaminato, l’imprenditore aveva precedenti condanne per reati fiscali della stessa indole, e questa abitualità ha impedito il riconoscimento del beneficio, anche se l’importo evaso superava di poco la soglia di punibilità.

È possibile chiedere l’applicazione di pene sostitutive per la prima volta in Cassazione?
No. La richiesta di applicazione di una pena sostitutiva (come la pena pecuniaria) deve essere avanzata nei giudizi di merito (primo grado o appello). Se presentata per la prima volta durante il ricorso per cassazione, la richiesta è considerata inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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