Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20070 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20070 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Montevarchi (AR) 1’11/07/1957, avverso la sentenza del 17/09/2024 della Corte di appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria rassegnata dal Pubblico Ministero, in persona del Sost Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigett ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 01/12/2021, il Tribunale di Arezzo, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, condannava NOME COGNOME alla pena di mesi quattro di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui all’art. 10-te d.lgs. n. 74 del 2000, per aver omesso, in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, di versare l’imposta sul valore aggiunto, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, dovuta per euro 278.425,00 in base alla dichiarazione annuale del 2016, applicando le pene accessorie di legge con durata minima e disponendo confisca diretta nei confronti della società e per equivalente nei confronti dell’imputato fino alla concorrenza del valore di euro 245.597,96.
Con sentenza del 17/09/2024, la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, NOME COGNOME tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui tenere conto nell’applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. e connessa insufficienza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
In sintesi, lamenta la difesa l’assenza di motivazione della sentenza impugnata che conferma l’assunto del giudice di primo grado che aveva ritenuto la responsabilità del ricorrente mera conseguenza del mancato pagamento dell’imposta nel termine di legge, senza considerare l’effettiva volontà dell’imputato, come risultante dalla presentazione di istanza di rateizzazione all’Agenzia delle entrate già nell’anno 2018, con rate decorrenti dal 31/10/2018, prima dell’avvio del procedimento penale, di cui veniva a conoscenza il 08/02/2019 in seguito alla notifica dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen., e con il pagamento delle rate dovute fino al marzo 2020, data in cui il pagamento veniva sospeso a seguito dei provvedimenti adottati dal Governo.
Aggiunge la difesa che, durante il dibattimento, erano stati acquisiti elementi indubbi per ritenere non integrato o non punibile il reato, ovverosia a) l’effetto negativo sull’andamento aziendale avuto dalla crisi economica, cha affligge il settore calzaturiero da anni, b) l’improvviso decesso del socio NOME COGNOME il cui ruolo nell’ambito della compagine societaria e dell’attività lavorativa era fondamentale, c) le difficoltà determinate dalla definizione di aspetti
successori, d) i rapporti con gli Istituti bancari resi maggiormente difficoltosi dal decesso di uno dei soci che aveva prestato garanzie.
Diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale che aveva addebitato al ricorrente di aver autofinanziato l’impresa con il mancato pagamento delle imposte, il ricorrente aveva invece privilegiato il pagamento dei salari dei propri dipendenti, dei fornitori e delle utenze nella speranza di superare il periodo di difficoltà, sapendo che il pagamento dell’imposta omesso avrebbe potuto essere oggetto di istanza di rateizzazione e quindi di successiva sanatoria.
2.2 Con il secondo motivo, deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui tenere conto nell’applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. e connessa insufficienza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in riferimento all’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.
La difesa deduce che il ricorrente non è delinquente abituale e i precedenti risultanti dal casellario giudiziale rappresentato omissioni di scarso rilievo, oggetto di depenalizzazione e tutte relative al medesimo arco temporale interessato dalla crisi aziendale: il ricorrente non aveva mai contravvenuto la legge se non per i fatti aventi carattere fiscale tutti successivi alla grave cris economica, nonostante svolgesse la funzione di legale rappresentato dell’impresa sin dall’anno 1981.
Lamenta, inoltre, la difesa che la Corte territoriale aveva ritenuto che il discostamento dalla soglia di punibilità non fosse minimo, nonostante l’importo eccedente la soglia di punibilità fosse di 27.800,00 euro, con un superamento pari al 10% rispetto alla soglia, differenza destinata a venire meno considerando i pagamenti intervenuti a seguito della presentazione e dell’accoglimento dell’istanza di rateizzazione.
E’ pervenuta memoria dell’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente, con la quale si insiste nell’accoglimento del ricorso e si chiede che, in caso di conferma della sentenza impugnata, venga applicata al ricorrente la sanzione pecuniaria sostitutiva ai sensi degli artt. 53 e 56-quater I. n. 689 del 1981.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Sostiene la difesa ricorrere l’esimente della crisi di liquidità, determinata dall’effetto negativo sull’andamento aziendale avuto dalla crisi economica che
affligge il settore calzaturiero da anni, nonché dall’improvviso decesso del socio NOME COGNOME con le difficoltà determinate dalla definizione di aspetti successori e dai rapporti con gli Istituti bancari per la riduzione delle garanzie conseguenti al decesso di uno dei soci.
1.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di reato di omesso versamento dell’IVA, la colpevolezza del contribuente non è esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrata la non addebitabilità all’imputato della crisi economica che ha investito l’impresa e che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l’omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell’IVA per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo (Sez. 3, n. 23796 del 29/05/2019, Rv. 275967).
Dunque, sotto il profilo psicologico, secondo la giurisprudenza, nel reato di omesso versamento di Iva (art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000), ai fini dell’esclusione della colpevolezza, è irrilevante la crisi di liquidità del debitore all scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (Sez. 3, n. 2614 del 21/01/2014, Rv. 258595).
Nella fattispecie, diversamente da quanto rappresentato in ricorso, la Corte territoriale, la cui decisione si salda con la sentenza di primo grado in unico corpo motivazionale ricorrendo una ipotesi di doppia conforme, ha, senza vizi logici, evidenziato che il ricorrente aveva preferito la continuità aziendale, sacrificando l’Erario, pagando dipendenti, fornitori e banche e confidando sulla possibilità di pagare VIVA in forma rateale: in tal modo, con la scelta di non pagare VIVA dovuta, doveva essere esclusa la forza maggiore, integrata da un evento imponderabile tale da annullare la signoria del soggetto sui propri comportamenti.
L’affermazione dei giudici di secondo grado è conforme agli insegnamenti di questa Corte, secondo i quali, in tema omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263128).
E’ stato, inoltre, affermato in proposito che, anche in conseguenza della riscossione delle somme e dell’obbligo di accantonamento, la scelta di non pagare l’imposta dovuta prova il dolo: soprattutto quando risulti che al contempo
si siano pagati altri debiti o che le somme, che avrebbero dovuto essere accantonate, siano state impiegate in altro; infatti, la scelta imprenditoriale attiene ai motivi a delinquere e non può pertanto escludere la sussistenza del dolo (Sez. 3, n. 30677 del 24/06/2021, COGNOME; Sez. 3, n. 12906 del 13/11/2018, COGNOME; Sez. 3 n. 43599 del 09/09/2015, COGNOME, Rv. 265262).
Per escludere la volontarietà della condotta è, dunque, necessaria la dimostrazione della riconducibilità dell’inadempimento alla obbligazione verso l’Erario a fatti non imputabili all’imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 263128; conf. Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, COGNOME; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, COGNOME, Rv. 258055; Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014), posto che, altrimenti, la crisi di liquidità costituisce elemento che rientra nell’ordinario rischio di impresa e che non può certamente comportare l’inadempimento dell’obbligazione fiscale contratta con l’erario (v., ex multis, Sez. 3, n. 5804 del 08/01/2025, Novelli, n.m.; Sez. 3, n. 2613 del 02/12/2022, dep. 2023, Consoli, n.m.; Sez. 3, n. 12906 del 13/11/2018, COGNOME, Rv. 276546, non massinnata sul punto).
Nel caso in esame, deve allora escludersi la forza maggiore, posto che non risulta che VIVA non sia stata incassata, essendo invece emerso che le relative somme non siano state accantonate, ma impiegate per altri scopi imprenditoriali, circostanza quest’ultima che, oltre a provare il dolo, dimostra che l’autore dell’omesso versamento si sia posto volontariamente nelle condizioni di non uniformarsi alla legge, con la conseguenza che non è invocabile la forza maggiore.
1.2 Né la situazione così descritta può essere diversamente considerata alla luce delle modifiche normative introdotte dal d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 (“Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell’articolo 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111”), il quale ha modificato l’articolo 13 del d.lgs. n. 74 del 2000 mediante l’inserimento di un comma 3-bis, secondo cui «i reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autor dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi», giacché, in tutta evidenza, non sussistono nel caso di
specie i presupposti affinché possa dedursi una crisi di liquidità quale cau non punibilità dovuta alle cause normativamente indicate.
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
L’art. 131-bis cod. pen. prevede la «non punibilità del fatto quando, per modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai dell’art. 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risult abituale».
E, dunque, oltre allo sbarramento del limite edittale (la pena detentiva superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta al predetta pena), la norma richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare ten dell’offesa e la non abitualità del comportamento (Sez. 3, n. 5804 08/01/2025, Novelli; Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta)
Il primo degli “indici-criteri” (così li definisce la relazione allegata al legislativo che ha introdotto l’istituto) appena indicati, ossia la particolare dell’offesa, si articola a sua volta in due «indici-requisiti» (sempre secon definizione della relazione), che sono la «modalità della condotta» e «l’esig del danno o del pericolo», da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’a 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni al modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla pers offesa dal reato, intensità del dolo o grado della colpa, nonché alla luce condotta successiva al fatto, a seguito della modifica introdotta dal d.lgs. n del 2022).
Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due «in requisiti» della modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del peri valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell’articolo 133 pen., sussista l’«indice-criterio» della particolare tenuità dell’offes questo, coesista l’«indice-criterio» della non abitualità del comportamento. S in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed esclu conseguentemente, la punibilità.
Tanto premesso, la Corte territoriale chiarisce non irragionevolmente che nonostante il modesto discostamento dalla soglia di punibilità, l’istituto inv ex art. 131-bis cod. pen. non fosse applicabile, ostandovi la non abitualità condotta, poichè il ricorrente – diversamente da quanto rappresentato in rico – è gravato da reati della stessa indole che precludono la causa di non punibi rendendo insussistente l’«indice-criterio» della occasionalità della cond
rispetto al quale è da considerarsi recessivo il criterio del comportamento successivo al reato.
Va rammentato in proposito che, in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il presupposto ostativo del comportamento abituale ricorre quando l’autore abbia commesso altri reati della stessa indole, oltre quello preso in esame (ex multis, Sez. U., n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266591; Sez. 6, n. 6551 del 09/01/2020, Rv. 278347; Sez. 1, n. 9858 del 24/01/2024, Rv. 286154), e, nel caso in esame, la condotta del ricorrente che risulta aver commesso reati della stessa indole (omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali ex art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463 del 1983 negli anni 2007, 2009 e 2010; omesso versamento delle ritenute certificate ex art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000 negli anni 2008 e 2011; omesso versamento IVA ex art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 nel 2012), con applicazione per due volte dell’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen., non può ritenersi occasionale ed è, dunque, ostativa al riconoscimento dell’invocata causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
La richiesta di applicazione della pena pecuniaria sostitutiva ai sensi degli artt. 53 e 56-quater I. n. 689 del 1981 è inammissibile, essendo stata, per la prima volta, avanzata in questa sede.
3.1 La giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 34091 del 21/06/2023, COGNOME, Rv. 285154) ha chiarito che la sede fisiologica destinata alla valutazione della possibilità di sostituzione della pena detentiva breve è il giudizio di primo grado in relazione al quale il legislatore della riforma introdotta con il d.lgs. n. 150 del 2022 – ha previsto, per il giudizio ordinario, meccanismo processuale bifasico descritto dall’art. 545-bis c.p.p. (connotato dalla lettura del dispositivo cui segue, in caso di istanza di sostituzione da parte dell’imputato, la successiva decisione, nel corso della medesima udienza o di un’udienza successiva, in ordine alla sostituzione della pena detentiva). /
3.2 Sul presupposto della loro natura sostanziale e del contenuto favorevole al reo del più elevato limite edittale che consente la sostituzione della pena detentiva, il d.lgs. n. 150 del 2022 ha tuttavia previsto una disciplina transitoria che ne consente l’applicazione retroattiva in bonam partem anche nei giudizi di impugnazione pendenti alla data di entrata in vigore della riforma.
L’art. 95, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2022, contenente le disposizioni transitorie in materia di pene sostitutive delle pene detentive brevi, prevede, infatti, che le nuove disposizioni introdotte al Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali
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pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. (30 dicembre 2022).
Con riferimento al giudizio di legittimità, la norma prevede, invece, che il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni, all’esito di un procedimento pendente innanzi la Corte di cassazione all’entrata in vigore del presente decreto, può presentare istanza di applicazione di una delle pene sostitutive al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’articolo 666 cod. proc. pen., entro trenta giorni dalla irrevocabilità della sentenza. In caso di annullamento con rinvio provvede il giudice del rinvio.
Ebbene, nel caso in esame, alla data di entrata in vigore della riforma attuata con il d.lgs. n. 150 del 2022 (30/12/2022), il procedimento era pendente in grado di appello, dal momento che la sentenza di primo grado è stata emessa in data 01/12/2021, l’atto di appello è datato 11/04/2022 e la sentenza di secondo grado è stata pronunciata il 17/09/2024. Ne consegue che l’istanza di sostituzione della pena detentiva breve, secondo le cadenze previste dalla normativa transitoria del d.lgs. n. 150 del 2022, doveva essere avanzata, nel caso di specie, durante il giudizio di secondo grado, dove pendeva il procedimento al momento di entrata in vigore della riforma.
Sebbene la giurisprudenza di legittimità più recente (Sez. 6, n. 8215 del 11/02/2025, Pesare, Rv. 287610) abbia ritenuto che, a prescindere dalla disciplina transitoria di cui al d.lgs. n. 150 del 2022, sia possibile avanzare detta richiesta per la prima volta anche con l’atto d’appello, quando, cioè, essa non sia stata formulata, neppure in sede di conclusioni, al giudice di primo grado, e che, conseguentemente, l’imputato possa dolersi della mancata determinazione in tal senso da parte del giudice di secondo grado, è comunque da escludere che tale richiesta possa essere avanzata per la prima volta in sede di legittimità.
A differenza di quanto accade per il giudizio di appello in cui non vi è alcuna disposizione che vincoli l’appellante a circoscrivere i motivi del gravame ai soli capi e punti oggetto delle richieste conclusive da lui rassegnate al giudice di primo grado o, comunque, alle questioni già sottoposte a tale giudice, per il ricorso per cassazione l’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. prevede, infatti, il divieto di proporre doglianze non avanzate con i motivi di appello. Ne consegue che la richiesta di pena sostitutiva avanzata per la prima volta in sede di legittimità è inammissibile.
4. All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare
equo determinare in euro tremila, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione
prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 15/04/2025.