Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 28364 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28364 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 25/06/2025
TERZA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
Sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza del 24/10/2024 della Corte di appello di Ancona;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
Con sentenza del 24/10/2024, la Corte di appello di Ancona confermava la sentenza di primo grado.
– Relatore –
Sent. n. sez. 1119/2025
UP – 25/06/2025
R.G.N. 9002/2025
In via subordinata, deduce la difesa che la Corte territoriale aveva omesso di considerare la sussistenza della forza maggiore nella forma putativa.
2.4.4. Afferma ancora la difesa che il superamento della soglia di punibilità fissata dal legislatore non fosse ostativo al riconoscimento della esiguità del fatto, dovendosi tener conto anche delle modalità della condotta e dell’entità del pregiudizio o del pericolo.
2.4.5. La Corte di appello aveva omesso di pronunciarsi sulla questione, sebbene espressamente devoluta con i motivi di appello.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso, deduce violazione di legge in relazione agli artt. 240, comma 2, n. 1, cod. pen., 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, e vizio di motivazione sulla confisca.
Lamenta la difesa a) che la sentenza non specifica se si tratti di confisca diretta o per equivalente, b) che in caso di confisca diretta manca qualsiasi dimostrazione del nesso di pertinenzialità tra i beni confiscati ed il reato, c) che in caso di confisca per equivalente la stessa non poteva essere disposta nei confronti dell’imputato, essendo il profitto del reato confluito esclusivamente nel patrimonio della società e non essendovi prova che l’importo oggetto di sequestro sia confluito direttamente e personalmente nel patrimonio della persona fisica, d) che la confisca comprende indebitamente anche le sanzioni tributarie.
2.6. Con il sesto motivo di ricorso, deduce violazione di legge in relazione agli artt. 133, 163 e 164 cod. pen. sulla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
Lamenta la difesa che la Corte territoriale aveva negato il beneficio della pena sospesa, affermando che l’imputato ne aveva già fruito, senza specificare quando e in relazione a quale condanna il ricorrente avrebbe già fruito della sospensione condizionale della pena.
2.7. Con il settimo motivo di ricorso, denuncia mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla violazione dell’art. 597 cod. proc. pen. per omessa pronuncia sui motivi di appello.
2.7.1. Lamenta la difesa che la Corte territoriale aveva omesso di valutare la doglianza concernente la mancanza di prova dell’effettivo incasso dell’I.V.A. da parte della società, elemento essenziale per l’integrazione della fattispecie penale.
2.7.2. Lamenta ancora la difesa che la Corte territoriale aveva omesso di considerare l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 con riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. e all’art. 1 del Protocollo n. 4 alla CEDU, posto che l’art. 10-ter punisce come sanzione penale l’omesso versamento della sola I.V.A. e non anche quello di altre imposte, non Ł conforme all’art. 1 del Protocollo n. 4 alla CEDU secondo cui nessuno può essere privato della sua libertà per il solo fatto di non essere in grado di adempiere ad un’obbligazione contrattuale, consente di punire un soggetto per un fatto in realtà a lui non rimproverabile per inesigibilità della condotta doverosa.
2.7.3. La Corte di merito ha completamento omesso di pronunciarsi sulla richiesta subordinata di sostituzione della pena detentiva con sanzioni sostitutive.
La Corte di appello, inoltre, in tema di trattamento sanzionatorio, non ha fornito una adeguata motivazione in ordine ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., non tenendo conto delle circostanze attenuanti generiche, della situazione di difficoltà economica dell’imputato e dell’assenza di precedenti specifici.
2.8. Con l’ottavo motivo di ricorso, deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla mancata sostituzione della pena detentiva.
2.8.1. La Corte di appello ha respinto la richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche con una motivazione insufficiente.
2.8.2. La Corte territoriale ha omesso di considerare a) l’incensuratezza dell’imputato, la situazione di obiettiva difficoltà economica, la prioritaria finalità di salvaguardia occupazionale, il mancato incasso dell’I.V.A., il comportamento processuale dell’imputato.
2.8.3. La Corte di appello ha violato l’obbligo di motivare adeguatamente il diniego delle circostanze attenuanti generiche, anche quando conferma il giudizio di primo grado, dovendo dimostrare di aver considerato tutte le circostanze dedotte dall’appellante.
2.8.4. La Corte di merito ha omesso di considerare che il giudice di primo grado aveva irrogato una pena superiore al minimo edittale, nonostante la presenza di molteplici elementi favorevoli all’imputato, peraltro confermando una pena detentiva, senza considerare l’opportunità di sostituirla con una sanzione alternativa.
2.8.5. Lamenta la difesa il rigetto della richiesta di sostituzione della pena detentiva con una sanzione sostitutiva, censurando a) la carenza di specificità della motivazione, b) la violazione dei principi di proporzionalità e finalità rieducativa della pena, c) l’omessa considerazione delle finalità specifico-preventive, d) la contraddittorietà della motivazione, e) la violazione dell’art. 53 l. n. 689 del 1981.
E’ pervenuta memoria dell’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente, con la quale si insiste nell’accoglimento del ricorso, ribadendo, con riferimento al primo motivo, che la società aveva sede legale ed effettiva in Ripatransone, dove si svolgeva l’attività amministrativa e direttiva, e che, pertanto, il luogo di consumazione del reato era perfettamente determinabile, sicchŁ il Tribunale di Ascoli Piceno era territorialmente incompetente e la competenza territoriale spettava al Tribunale di Fermo. Ribadiva, con riferimento al secondo motivo di ricorso, che il ricorrente, nel tentativo di tenere in vita l’azienda, aveva operato la scelta necessitata dalle circostanze di non versare l’I.V.A. e pagare i dipendenti, con esclusione del dolo. Ribadiva, ancora, con riferimento al terzo motivo, che sussisteva un’ipotesi di forza maggiore, posto che la crisi aziendale non dipendeva da scelte imprenditoriali sbagliate, ma dall’inadempimento generalizzato dei clienti che aveva azzerato la liquidità, dai pignoramenti bancari e dalla crisi economica generale, sicchŁ la scelta operata del pagamento dei dipendenti era stata razionale e necessitata ed aveva anche rispettato l’ordine legale dei privilegi stabilito dal codice civile. Rimarcava la violazione dell’obbligo motivazionale con riferimento all’invocato istituto della particolare tenuità del fatto, sussistendo i presupposti della non abitualità del comportamento, dello stato di necessità economica e della particolare tenuità dell’offesa. Quanto alla confisca, ribadiva che l’I.V.A. non era stata incassata, essendo rimasta insoluta la maggior parte delle fatture, sicchŁ si andava a confiscare un profitto mai esistito nel patrimonio dell’imputato. Infine, si richiamava la proposta questione di legittimità costituzionale per contrasto dell’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 con gli artt. 3, 25 e 27 Cost.
e con l’art. 1 del Protocollo n. 4 CEDU.
4. E’ pervenuta ulteriore memoria dell’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente, con la quale si precisa che la questione della competenza territoriale investe il nucleo costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, essendo chiaramente determinabile il luogo di consumazione del reato. Con riferimento all’elemento soggettivo del reato, si precisa che la situazione patrimoniale della società non era caratterizzata da una generica difficoltà finanziaria, ma da un vero e proprio status di insolvenza che escludeva qualsiasi margine di manovra dell’amministratore, trovandosi di fronte all’alternativa secca tra il pagamento degli stipendi e il versamento dell’I.V.A., senza la possibilità concreta di una condotta alternativa conforme al precetto, in ragione dell’assoluta mancanza di liquidità e dell’obbligo prioritario di soddisfare i crediti di lavoro secondo l’ordine stabilito dal codice civile. Quanto allo stato di necessità, si precisa che il ricorrente non poteva ricorrere al credito bancario (rapporti preclusi dal 2012), non poteva recuperare liquidità dai crediti (fatture insolute), non poteva accedere a forme di finanziamento straordinario (società già in crisi), per cui la scelta di privilegiare i dipendenti rispetto al fisco non derivava da una valutazione di convenienza, ma dall’impossibilità di soddisfare entrambi i creditori e il danno derivante dal licenziamento di decine di lavoratori appariva manifestamente sproporzionato rispetto al danno temporaneo dell’erario. Si insisteva, inoltre, sulle argomentazioni già prospettate con riferimento all’invocata applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto, alla confisca di un profitto mai esistito nel patrimonio dell’imputato, alla prospettata questione di legittimità costituzionale, sottolineando che non si era trattato di un episodio di evasione fiscale nel senso proprio del termine, ma di una crisi sistemica che aveva costretto un imprenditore a scelte drammatiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso Ł manifestamente infondato, perchØ la competenza territoriale Ł stata esattamente individuata.
Le regole generali per la determinazione della competenza per territorio dei reati tributari sono dettate dall’art. 18 d.lgs. n. 74/2000, secondo cui – fatta eccezione per i c.d. reati in dichiarazione (previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, artt. 2, 3, 4, 5 e 7) e fatta eccezione per il reato di cui all’art. 8, comma 2 (reato di emissione di piø fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) – la competenza per territorio per tutti gli altri reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, compreso quindi il reato di cui all’art. 10ter , si determina a norma dell’art. 8 cod. proc. pen. ed appartiene al giudice competente con riferimento al luogo in cui il reato Ł stato consumato. Solo qualora non sia possibile determinare la competenza sulla base di tale ultima disposizione, Ł competente il giudice del luogo di accertamento del reato.
Il reato di omesso versamento dell’IVA si consuma nel momento in cui scade il termine utile per il pagamento, sicchØ il luogo di consumazione del reato coincide con quello in cui si compie, alla scadenza del termine previsto, l’omissione del versamento imposto dal precetto normativo e, dunque, trattandosi di condotta omissiva, con quello in cui si sarebbe dovuta compiere l’azione doverosa, vale a dire il versamento all’Erario dell’imposta.
Due orientamenti di legittimità si contendono il campo sulla precisa individuazione del locus commissi delicti .
Secondo il primo, l’omissione del versamento del tributo ex art. 8 cod. proc. pen. deve ritenersi coincidente con il luogo ove si trova la sede effettiva dell’azienda, nel senso di centro della prevalente attività amministrativa e direttiva di organizzazione dell’impresa, coincidente o meno con la sede legale, dovendo aversi riguardo al principio di effettività e potendosi ricorrere al criterio suppletivo previsto dall’art. 18, comma 1, del d.lgs. n. 74 del
2000 del luogo di accertamento del fatto, soltanto qualora non sia possibile determinare il luogo di consumazione del reato (Sez. 3, n. 13610 del 14/02/2019, Rv. 275901; Sez. 3, n. 23784 del 16/12/2016, dep. 2017, Rv. 269983; Sez. 3, n. 27701 del 01/04/2014, Rv.260110; Sez. 3, n. 20504 del 19/02/2014, 259783).
Altro maggioritario e ormai prevalente orientamento ritiene, invece, che, essendo impossibile individuare con certezza il suddetto luogo di consumazione, siccome il versamento del tributo può essere effettuato presso qualsiasi concessionario o intermediario operante sul territorio nazionale, va applicato il criterio sussidiario del luogo dell’accertamento del reato, indicato dall’art. 18, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall’art. 9 cod. proc. pen.; criterio che Ł, del resto, funzionale all’opportunità di radicare il processo ove ha sede l’ufficio tributario o di polizia che ha effettuato l’accertamento (Sez. 3, n. 32280 del 16/05/2024, Prisco, Rv. 286710; Sez. 3, n. 23928 del 30/01/2024, Biscu, Rv. 286549; Sez. 3, n. 23535 del 22/03/2023, Borcea; Sez. 3, n. 6529 del 12/12/2019, dep. 2020, Rv. 278597; Sez. 3, 17060 del 10/01/2019, Rv. 275942; nello stesso senso, Sez. 3, n. 40559 del 24/09/2024, Accatino, non mass.).
Il secondo orientamento, che il Collegio condivide, ha fatto leva, ai fini della risoluzione della questione, sulla disciplina fiscale attualmente in vigore, sottolineando come l’art. 37, comma 49, del d.l. n. 223 del 4 luglio 2006, convertito, con modificazioni, nella legge n. 248 del 4 agosto 2006, abbia previsto che, «a partire dal 10 ottobre 2006, i soggetti titolari di partita IVA sono tenuti ad utilizzare, anche tramite intermediari, modalità di pagamento telematiche delle imposte, dei contributi e dei premi di cui all’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 241 del 9 luglio1997, e delle entrate spettanti agli enti ed alle casse previdenziali ex art. 28, comma 1, dello stesso decreto legislativo», traendone la ragionevole conseguenza secondo cui «il delineato quadro normativo ha dunque cristallizzato la definitiva dematerializzazione del pagamento ed ha altresì precluso l’individuazione di un unico luogo in cui l’obbligo penalmente sanzionato vada telematicamente adempiuto».
Per cui, va anche in questa sede ribadito che, in assenza di elementi certi in ordine all’avvenuto principio di pagamento dell’imposta che possa consentirne l’individuazione dell’effettivo locus commissi delicti , non possa farsi riferimento al criterio della sede effettiva, dovendosi piuttosto ricercare il luogo di consumazione del reato ai sensi dell’art. 8 cod. proc. pen.; con la conseguenza che, laddove tale determinazione sia effettivamente impossibile, dovrà farsi riferimento al criterio residuale del luogo dell’accertamento del fatto di reato, sussidiariamente previsto dall’art. 18 del d.lgs. n. 74 del 2000 e prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall’art. 9 cod. proc. pen. Esigenze di certezza del diritto postulano, del resto, la necessaria svalutazione della portata del criterio della sede effettiva, il cui accertamento, in assenza di elementi concreti afferenti all’avvenuto principio di pagamento dell’IVA, comporterebbe un inutile aggravio per l’azione amministrativa, perchØ ancorato al dato fattuale dell’effettività della sede legale (cfr., da ult., Sez. 3, n. 26396 del 03/06/2025, Pietricola, non mass.).
Ebbene, nel caso di specie, se, sulla base di quanto prospettato dallo stesso imputato, la sede legale ed effettiva della “RAGIONE_SOCIALE” Ł in Ripatransone, ricompresa nel circondario del Tribunale di Fermo, non risulta tuttavia fornita alcuna prova dell’esistenza di un elemento sintomatico di un eventuale principio di pagamento dell’imposta presso la relativa circoscrizione; così che, nell’impossibilità di individuare il locus commissi delicti secondo la regola generale di cui all’art. 8 cod. proc. pen., Ł stato correttamente applicato il criterio – richiamato in via sussidiaria dall’art. 18,
comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000 – del luogo di accertamento del fatto di reato, ossia il circondario del Tribunale di Ascoli Piceno.
Il secondo e il terzo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente poichØ incentrati sui connessi argomenti del difetto dell’elemento soggettivo del reato e della sussistenza della scriminante della forza maggiore, sono manifestamente infondati.
2.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di reato di omesso versamento dell’IVA (Sez. 3, n. 23796 del 29/05/2019, Rv. 275967), la colpevolezza del contribuente non Ł esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrata la non addebitabilità all’imputato della crisi economica che ha investito l’impresa e non siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l’omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell’IVA per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo. L’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento dei propri clienti non esclude la sussistenza del dolo generico richiesto dall’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, atteso che l’obbligo del versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore Ł riconducibile all’ordinario rischio di impresa (Sez. 3, n. 33430 del 16/06/2023, COGNOME, non mass.).
Dunque, sotto il profilo psicologico, secondo la giurisprudenza, nel reato di omesso versamento di Iva (art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000), ai fini dell’esclusione della colpevolezza, Ł irrilevante il mancato incasso dei crediti per inadempimento contrattuale e la conseguente crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, atteso che l’obbligo del predetto versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore Ł riconducibile all’ordinario rischio di impresa, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi (Sez. 3, n. 27202 del 19/05/2022, Natale, Rv. 283347; Sez. 3, n. 6506 del 24/09/2019, dep. 2020, Rv. 278909; Sez. 3, n. 2614 del 21/01/2014, Rv. 258595).
Nella fattispecie, la Corte territoriale, la cui decisione si salda con la sentenza di primo grado in unico corpo motivazionale ricorrendo una ipotesi di doppia conforme, ha, senza vizi logici, evidenziato, contrariamente a quanto rappresentato nei motivi di ricorso, l’indubbia sussistenza del dolo generico richiesto dalla norma incriminatrice in capo all’imputato, dal momento che, a fronte di una crisi di liquidità che si protraeva da anni, poichØ gli eventi dedotti dalla difesa erano risalenti agli anni 2011 e 2012 (anni in cui era stato anche omesso il versamento dell’IVA), l’imputato era nelle condizioni di adottare le azioni adeguate a fronteggiare la crisi finanziaria, considerando nelle scelte di politica imprenditoriale la necessità di adempiere all’obbligo tributario. Diversamente, il ricorrente non aveva fornito elementi atti a dimostrare di aver assunto iniziative atte a fronteggiare le difficoltà economiche con misure adeguate, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, avendo offerto argomenti generici, senza concreti tentativi di reperire fonti di finanziamento per fronteggiare la crisi finanziaria. Tanto piø che, nonostante un imponibile tale da generare un notevole debito IVA, e nonostante il pagamento di parte delle fatture da parte dei clienti, il tributo riscosso non era stato riversato all’Erario, preferendo la continuità aziendale: in tal modo, con la scelta di non pagare l’IVA dovuta, doveva essere esclusa la forza maggiore, integrata da un evento imponderabile tale da annullare la signorìa del soggetto sui propri comportamenti.
L’affermazione dei giudici di secondo grado Ł conforme agli insegnamenti di questa Corte, secondo i quali l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263128) (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 263128; conf. Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, COGNOME; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, COGNOME, Rv. 258055; Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014), posto che, altrimenti, la crisi di liquidità costituisce elemento che rientra nell’ordinario rischio di impresa e che non può certamente comportare l’inadempimento dell’obbligazione fiscale contratta con l’erario (v., ex multis, Sez. 3, n. 5804 del 08/01/2025, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 2613 del 02/12/2022, dep. 2023, Consoli, n.m.; Sez. 3, n. 12906 del 13/11/2018, COGNOME, Rv. 276546, non massimata sul punto).
2.2. Proprio perchØ la forza maggiore postula l’individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, la giurisprudenza ha sempre escluso che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, COGNOME, Rv. 238986; nello stesso senso, Sez. 3, n. 3772 del 14/01/2022, COGNOME, non mass.).
E’ stato, inoltre, affermato che, anche in conseguenza della riscossione delle somme e dell’obbligo di accantonamento, la scelta di non pagare l’imposta dovuta prova il dolo: soprattutto quando risulti che al contempo si siano pagati altri debiti o che le somme, che avrebbero dovuto essere accantonate, siano state impiegate in altro; infatti, la scelta imprenditoriale attiene ai motivi a delinquere e non può pertanto escludere la sussistenza del dolo (Sez. 3, n. 30677 del 24/06/2021, Maino; Sez. 3, n. 12906 del 13/11/2018, COGNOME; Sez. 3 n. 43599 del 09/09/2015, COGNOME, Rv. 265262).
Nel caso in esame, deve allora escludersi la forza maggiore, anche putativa, non essendo emerso alcun fatto che possa far ritenere la scriminante come erroneamente supposta ai sensi dell’art. 59 cod. pen. (Sez. 3, n. 49803 del 18/05/2018, COGNOME, non mass.) ed essendo invece risultato che l’IVA sia stata in parte incassata, senza che le relative somme siano state accantonate, ma impiegate per altri scopi imprenditoriali; circostanza quest’ultima che, oltre a provare il dolo, dimostra che l’autore dell’omesso versamento si sia posto volontariamente nelle condizioni di non uniformarsi alla legge, con la conseguenza che neanche Ł invocabile la forza maggiore, dovendosi in proposito richiamare le logiche considerazioni del giudice di primo grado, laddove afferma che ‘il Gruppo societario ben avrebbe potuto regolare l’esposizione dapprima contabile, poi fiscale delle fatture emesse’, sicchŁ ‘non appare razionalmente sostenibile la compatibilità tra la scelta di indicare nella predetta dichiarazione un fatturato rilevante e l’asserita crisi di liquidità derivante anche dal mancato incasso proprio di quelle fatture, che quantomeno era possibile stornare dalla contabilità al fine di evitare un’imposizione fiscale che oggi si assume insostenibile’ (v. pag. 6 della sentenza di primo grado).
2.3. NØ può sostenersi, come fa il ricorrente, che la destinazione delle uniche risorse finanziarie disponibili al pagamento delle retribuzioni ai dipendenti rispetta l’ordine legale dei privilegi stabilito dagli artt. 2777 e 2778 cod. civ. che pongono i crediti da lavoro dipendente in posizione prioritaria rispetto ai crediti erariali, dovendosi ricordare l’insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di reati tributari, non può essere giustificato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che
l’ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l’adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777 cod. civ.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 cod civ.), vige nel solo ambito delle procedure esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della par condicio creditorum, al fine di escludere l’elemento soggettivo del reato (Sez. 3, n. 52971 del 06/07/2018, COGNOME, Rv. 274319).
2.4. NØ, infine, la situazione così descritta può essere diversamente considerata alla luce delle modifiche normative introdotte dal d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 (‘Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell’articolo 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111’), il quale ha modificato l’articolo 13 del d.lgs. n. 74 del 2000 mediante l’inserimento di un comma 3-bis, secondo cui «i reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi», giacchØ, in tutta evidenza, non sussistono nel caso di specie i presupposti affinchØ possa dedursi una crisi di liquidità quale causa di non punibilità dovuta alle cause normativamente indicate.
Sulla base di quanto affermato dalla Corte territoriale, infatti, deve escludersi la sussistenza dei presupposti affinchØ possa dedursi una crisi di liquidità quale causa di non punibilità dovuta alle cause normativamente indicate, trattandosi di crisi aziendale non sopravvenuta, ma conclamata e che si protraeva – aggravandosi progressivamente – dagli anni 2011 e 2012, anni in cui era già stato omesso il versamento dell’IVA.
2.5. In definitiva, dunque, a fronte di un percorso argomentativo privo di incongruenze motivazionali e coerente con gli indirizzi ermeneutici elaborati in questa materia, non vi Ł spazio per l’accoglimento delle censure difensive, volte sostanzialmente a suggerire una non consentita rilettura degli elementi probatori, dovendosi ritenere invece adeguatamente argomentate sia la sussistenza del dolo che l’esclusione della forza maggiore rispetto al mancato versamento delle ritenute. Di qui l’infondatezza delle censure difensive.
Il quarto motivo di ricorso Ł inammissibile perchØ nuovo, non risultando che sia stato proposto con il gravame di appello, tanto che la Corte di merito, nella sentenza impugnata, non ne ha fatto menzione nella parte dedicata al riepilogo dei motivi di appello prospettati dal ricorrente; nØ il riepilogo Ł stato contestato nei motivi di ricorso per cassazione (Sez. 2, n. 9028 del 05/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259066).
Non sono, infatti, deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che, in sede di legittimità, sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione che Ł stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello, con conseguente inconfigurabilità di un vizio di motivazione (Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280306; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316).
Nella motivazione della pronuncia Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, da ultimo citata, Ł stato infatti precisato che “il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità Ł delineato dall’art. 609 cod. proc. pen., comma 1, il quale ribadisce in forma esplicita un principio già enucleato dal sistema, e cioŁ la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti. Detti motivi – contrassegnati dall’inderogabile “indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto” che sorreggono ogni
atto d’impugnazione (art. 581 cod. proc. pen., comma 1, lett. d), e art. 591 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) – sono funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata ed all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione. La disposizione in esame deve infatti essere letta in correlazione con quella dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 3, nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello. Il combinato disposto delle due norme impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, e costituisce un rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, infatti Ł facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perchØ mai investito della verifica giurisdizionale”.
4. Il quinto motivo di ricorso Ł manifestamente infondato.
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, la confisca disposta nei confronti del ricorrente Ł una confisca per equivalente, avendo il giudice di primo grado disposto la confisca di beni nella disponibilità dell’imputato per un importo corrispondente al profitto conseguito, parametrato all’imposta non versata, richiamando l’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, quale presupposto legale della confisca di valore (Sez. 5, n. 31250 del 25/06/2013, Rv. 256360) che non richiede – a differenza della confisca diretta – alcun nesso di pertinenzialità tra i beni confiscati e il reato commesso, che ha pur sempre una funzione recuperatoria perchØ avente ad oggetto beni aventi lo stesso valore del profitto (Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287756) e che Ł consentito disporre nei confronti degli organi della persona giuridica, allorchŁ non sia possibile la confisca diretta, nei confronti della società, del profitto del reato tributario (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258646.), attraverso la dimostrazione, da parte dello stesso legale rappresentante della persona giuridica, che somme equivalenti a quelle sottratte al pagamento all’erario, siano nella disponibilità della società ovvero che un determinato bene sociale costituisca il profitto diretto del reato (Sez. 3, n. 42966 del 10/06/2015, Klein, Rv. 265158; nello stesso senso Sez. 3, n. 21262 del 15/04/2025, RAGIONE_SOCIALE, non mass.).
Nel caso di specie non risulta essere stata fornita dall’interessato alcuna prova, nel corso del giudizio di merito, circa la concreta esistenza di beni nella disponibilità della società.
Del resto, potendo la confisca per equivalente essere materialmente eseguita solo nel caso di mancato reperimento del profitto o del prezzo del reato e trattandosi, pertanto, di misura la cui esecuzione Ł subordinata ad un evento futuro ed incerto, nulla impedisce all’interessato di far valere, in sede esecutiva, le proprie ragioni indicando il luogo nel quale poter trovare il profitto o il prezzo del reato eventualmente non rinvenuto o appreso dal Pubblico ministero (Sez. 3, n. 40362 del 06/07/2016, COGNOME, Rv. 268587, secondo cui Ł legittima la confisca per equivalente quando, successivamente alla materiale imposizione del vincolo, dal soggetto interessato non siano indicati i beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta; nello stesso senso, Sez. 3, n. 2391 del 03/12/2024, dep. 2025, COGNOME, non mass.).
Del tutto generica Ł la doglianza che la confisca comprenderebbe indebitamente anche le sanzioni tributarie: il capo di incolpazione fa, infatti, esplicito riferimento all’importo dell’IVA come risultante dalla dichiarazione presentata nell’anno 2017, senza alcun riferimento alle sanzioni.
5. Il sesto motivo di ricorso Ł manifestamente infondato.
Diversamente da quanto rappresentato in ricorso, la Corte territoriale ha negato il beneficio della pena sospesa, affermando che, avendone l’imputato già fruito in relazione a condanna subita per il reato di cui agli artt. 48, 479 e 476 cod. pen., non poteva formularsi un giudizio prognostico positivo, stante le modalità dei fatti, denotanti spregiudicatezza e connotati da gravità.
Si tratta di valutazione che la Corte territoriale, investita di pieni poteri cognitivi e decisori, ha correttamente assunto ed adeguatamente motivato, senza incorrere nel vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, avendo spiegato come il precedente penale (sentenza di condanna della Corte di appello di Roma del 13/01/2015 alla pena di un anno, due mesi e dieci giorni di reclusione per il reato di cui agli artt. 48, 479 e 476 cod. pen.), con concessione del beneficio, e la gravità dei fatti ostavano alla concessione del beneficio in esame per la seconda volta; tanto in linea con il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la valutazione, da parte del giudice di merito, delle condizioni per la concessione del beneficio della sospensione condizionale non richiede l’esame tutti gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen., ben potendosi questi limitare ad indicare quelli ritenuti prevalenti (Sez. 5, n. 17953 del 7/2/2020, Filipache, Rv. 279206; Sez. 5, n. 57704 del 14/9/2017, P., Rv. 272087; Sez. 3, n. 35852 del 11/5/2016, COGNOME, Rv. 267639; Sez. 2, n. 37670 del 18/6/2015, COGNOME, Rv. 264802).
Il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, incentrati sostanzialmente sul trattamento sanzionatorio e caratterizzati da richieste che vengono, anche confusamente, ripetute, sono manifestamente infondati.
6.1. Priva di alcun fondamento Ł la doglianza relativa alla omessa pronuncia su motivi di appello formulata con il settimo motivo di ricorso, essendosi la Corte territoriale pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale e sulla richiesta di pena sostitutiva alle pagine 15 e 16 della sentenza impugnata, mentre la questione dell’effettivo incasso dell’IVA Ł stata sviluppata nell’esame della crisi di liquidità, richiamando i principi di legittimità sulla irrilevanza della riscossione delle somme, in ragione dell’ordinario rischio di impresa.
6.2. Inconferente Ł la richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, essendo già state concesse dal giudice di primo grado nella loro massima estensione.
6.3. La graduazione del trattamento sanzionatorio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicchŁ nel giudizio di cassazione Ł comunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.), evenienza questa non ricorrente nel caso di specie, avendo la Corte distrettuale, non illogicamente, condiviso il procedimento di calcolo del giudice di primo grado, precisando che la pena era adeguata e congrua in relazione alla gravità della condotta, in termini di importo dell’imposta evasa, personalità e condotta di vita dell’imputato, come desumibili dagli atti del fascicolo e dal certificato del casellario giudiziale. Del resto, la pena base Ł stata determinata ben al di sotto del medio edittale, sicchŁ in presenza di un apparato argomentativo non irrazionale, nØ frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, non vi Ł spazio per l’accoglimento delle obiezioni difensive, che sollecitano differenti apprezzamenti di merito che non possono trovare ingresso in sede di legittimità.
6.4. La doglianza relativa alla mancata applicazione della pena sostitutiva Ł inammissibile e, comunque, manifestamente infondata.
6.4.1. La giurisprudenza di legittimità Ł ferma nel ritenere che, in tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, il giudice d’appello non può disporre la sostituzione “ex officio” nel caso in cui, nell’atto di gravame, non sia stata formulata una specifica e motivata richiesta al riguardo, non rientrando la conversione della pena detentiva nel novero dei benefici e delle diminuenti tassativamente indicati dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., che costituisce disposizione derogatoria, di natura eccezionale, al principio devolutivo dell’appello (Sez. 2, n. 14168 del 25/03/2025, Consoli, Rv. 287820).
Nella fattispecie, il ricorrente si Ł limitato a richiedere, nel gravame di appello, l’applicazione di una delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi previste dalla legge, senza supportare la richiesta con specifiche deduzioni, il mancato assolvimento di tale onere comportando l’inammissibilità originaria della richiesta (Sez. 2, n. 1188 del 22/11/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287460).
Per completezza, deve essere osservato che la sentenza impugnata Ł stata pronunciata in data 24/10/2024, ovvero dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 31 del 2024 che ha introdotto i commi 1-bis, 4-bis e 4-ter all’art. 598 cod. proc. pen., prevedendo che, fermo restando quanto previsto dall’art. 597 cod. proc. pen., e, dunque, sempre che l’applicazione della pena sostitutiva sia stata oggetto di uno specifico motivo di impugnazione, il consenso alla sostituzione della pena detentiva con taluna delle pene sostitutive di cui all’art. 53 l. n. 689 del 1981 può essere espresso, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, nei motivi nuovi e nelle memorie in caso di trattazione scritta del giudizio di appello (comma 1bis) e sino alla data dell’udienza in caso di trattazione orale (comma 4-bis). Dunque, anche nell’ambito di tale disciplina, c.d. correttivo Cartabia, la proposizione della richiesta di pena sostitutiva deve essere collocata nell’atto di impugnazione o in sede di motivi nuovi.
L’unica eccezione a questo schema Ł quella contemplata dal comma 4-ter dell’art. 598 cod. proc. pen., concernente il caso, non ricorrente nella vicenda in esame, in cui debba applicarsi una pena detentiva non superiore a quattro anni per effetto della decisione sull’impugnazione. In tali casi, evidentemente, conseguendo l’applicabilità della pena sostitutiva a una modifica dell’assetto sanzionatorio rispetto alla situazione vigente al momento della presentazione dell’appello e dei motivi nuovi, la possibilità, per la corte, di sostituire la pena detentiva appare svincolata da una specifica doglianza in sede di impugnazione, ferma la necessità di acquisire il consenso dell’imputato.
6.4.2. In ogni caso, la sostituzione delle pene detentive brevi e rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., prendendo in considerazione, tra l’altro, le modalita del fatto per il quale e intervenuta condanna e la personalita del condannato (Sez. 3, n. 19326 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 263558; Sez. 2, n. 25085 del 18/06/2010, COGNOME, Rv. 247853; Sez. 2, n. 5989 del 22/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 239494), pur senza dover esaminare tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la sua discrezionalita essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in proposito, quali l’inefficacia della sanzione (Sez. 5, n. 10941 del 26/01/2011, Orabona, Rv. 249717). Come di regola accade allorquando il giudice di merito e chiamato a svolgere valutazioni discrezionali di tipo prognostico alla luce dei parametri indicati nell’art. 133 cod. pen. – ed appare particolarmente pertinente l’analogia rispetto al giudizio sul riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena – la conclusione raggiunta, avendo riguardo alla specificita della condotta posta in essere, si sottrae, se adeguatamente motivata, ad ogni sindacato in sede
di legittimita (Sez. 1, n. 2328 del 22/05/1992, COGNOME, Rv. 191311), senza che nel giudizio di cassazione sia possibile muovere contestazione attinente alla attendibilita del giudizio prognostico, positivo o negativo (Sez. 1, n. 326 del 24/01/1992, COGNOME, Rv. 189611).
Trattandosi di discrezionalita vincolata all’impiego dei richiamati criteri legali, il giudice di merito ha l’obbligo di informare ad essi la propria valutazione e di darne conto in motivazione ed il sindacato di questa Corte sul punto puo essere esercitato nei consueti termini di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Nel caso di specie, ad avviso del Collegio, la motivazione della Corte territoriale non presta il fianco alle censure svolte in ricorso, poichØ, dopo aver richiamato i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., relativi alla gravità del fatto e alla personalità del ricorrente, come desunta dal certificato penale, ritenendo la congruità della pena inflitta in primo grado, ne ha escluso la sostituibilita, ritenendo che la sanzione sostitutiva invocata non possedesse adeguata efficacia dissuasiva e preventiva, fondando un giudizio prognostico negativo in ordine alle probabilità di successo rieducativo dell’applicazione di misure alternative. Il diniego risulta sorretto da motivazione logica, facendo sostanziale richiamo all’assenza di elementi positivi che consentano un giudizio prognostico favorevole del percorso rieducativo sostitutivo e della prevenzione del pericolo di recidiva.
6.5. Infine, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato a piø riprese che l’esame della questione di costituzionalità Ł preclusa dalla inammissibilità del ricorso, affermando il principio secondo cui «L’inammissibilità del ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta infondatezza o alla genericità dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto d’impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare ammissibile una questione di legittimità costituzionale» (Sez. 6, n. 22439 del 15/05/2008, COGNOME, Rv. 240513; nello stesso senso, Sez. 2, n. 8011 del 10/01/2024, Jasinskaite, non mass.; Sez. 3, n. 37826 del 07/03/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 29740 del 12/05/2023, COGNOME, non mass.).
7. All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, l. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così Ł deciso, 25/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME