Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35938 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35938 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 02/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 02/10/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso presentato da: NOME COGNOME, nata a Scilla il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 17/02/2025 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
PREMESSO IN FATTO
Con sentenza del 17/02/2025, la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Avellino dell’11/04/2024, che aveva condannato NOME alla pena di anni uno di reclusione per i reati di cui agli articoli 81 cod. pen., 10ter d. lgs. 74/2000, sostituiva la pena detentiva con la pena pecuniaria sostitutiva nella misura di euro 91.250.
Avverso tale sentenza l’imputata propone ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo, lamenta violazione dell’articolo 10ter d. lgs. 74/2000 e mancanza assoluta di motivazione/motivazione apparente, sia con riferimento all’elemento oggettivo del reato che all’elemento psicologico del reato.
Quanto al primo aspetto (rubricato 1.a), la Corte di appello si Ł limitata a ritenere irrilevante la crisi di liquidità del debitore nonchØ della presentazione della richiesta di concordato preventivo, che non impedisce i pagamenti, nØ la riduzione sottosoglia dell’importo evaso per effetto di successivi pagamenti.
La motivazione, secondo la prospettazione difensiva, Ł apodittica e apparente.
La censura contenuta nell’atto di appello lamentava la valutazione meramente parziale degli elementi di prova ed evidenziava che il teste COGNOME aveva riferito che il pagamento non era stato eseguito perchØ gli organi della procedura non avevano ancora proceduto alla vendita dei bani immobiliari in pancia alla società.
A fronte della documentata impossibilità di adempiere, non poteva ritenersi sussistente l’elemento soggettivo del reato.
Inoltre, era stato documentato il pagamento nel 2017 di somme cospicue che avevano ricondotto sottosoglia le somme dovute, e va rammentato che le vendite esperite nel corso del concordato vanno incluse nel novero dell’esecuzione forzata, analoga a quella fallimentare.
Del pari, col motivo di appello si censurava la sentenza di primo grado, la quale riteneva che la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento IVA non avesse effetto scriminante se non si dimostrasse che questi avesse adottato tutte le iniziative volte a provvedere alla corresponsione del debito tributario.
La seconda sentenza ribadisce l’assunto, senza considerare che per effetto dello spossessamento subito per via del concordato l’imputata era nell’impossibilità di provvedere alla vendita dei beni societari e quindi al pagamento.
Quanto all’elemento soggettivo (rubricato come motivo 1.b), il dolo Ł escluso proprio dal successivo pagamento parziale. Inoltre, l’imputata aveva messo a disposizione della procedura tutto il proprio patrimonio immobiliare che, se alienato, avrebbe consentito il pagamento integrale.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione dell’articolo 62bis cod. pen., che andavano riconosciute nella loro massima estensione alla luce della risalenza dei fatti e della condotta post factum .
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione dell’articolo 10ter d. lgs. 74/2000 e mancanza assoluta di motivazione/motivazione apparente in riferimento alla omessa irrogazione della pena nel minimo edittale, come richiesto dalla difesa.
2.4. con il quarto motivo lamenta violazione di legge in relazione all’articolo 133 c.p. e alla individuazione dell’ammontare della pena pecuniaria sostitutiva come convertita, nonchØ nullità della sentenza per violazione del divieto di reformatio in pejus .
L’individuazione di euro 250 quale quota giornaliera della pena pecuniaria Ł eccessiva e essa doveva essere contenuta alla luce dell’assenza di precedenti in capo all’imputata e della sua disponibilità ad effettuare i versamenti.
2.5. Con il quinto motivo lamenta violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento agli articoli 157 e 159 c.p.
La Corte da un lato applica erroneamente un periodo di sospensione dal 28 dicembre 2023 al 11 aprile 2024, in quanto il rinvio non era stato richiesto dalla difesa ma dipendeva dalla omessa presentazione del teste della difesa COGNOME.
Per altro verso applica erroneamente la sospensione del corso della prescrizione di un anno e sei mesi prevista ai sensi della l. 103/2017 (c.d. ‘legge Orlando’), entrata in vigore il 4 luglio 2017 e quindi successivamente ai fatti di causa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
Quanto alla dedotta insussistenza del fatto, la relativa censura Ł in parte manifestamente infondata e in parte inammissibile.
2.1. Preliminarmente, occorre ribadire i principali arresti di questa Corte in relazione ai rapporti tra concordato preventivo e reato di cui all’articolo 10-ter d. lgs. 74/2000.
Si Ł in particolare affermato, come del resto richiamato dalla sentenza gravata, che, in tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento di IVA di cui all’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74:
non assume rilevanza, nØ sul piano dell’elemento soggettivo, nØ su quello della esigibilità della condotta (Sez. 3, n. 39310 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 277171 – 01), la mera presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, perchØ essa non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengano a scadere successivamente alla sua presentazione ma prima dell’adozione di provvedimenti da parte del tribunale (in motivazione la Corte ha affermato che il principio illustrato deve essere applicato a maggior ragione nel caso in cui la richiesta di ammissione alla procedura sia stata presentata dallo stesso
imputato responsabile del dissesto, in quanto, diversamente opinando, questi potrebbe evitare di incorrere in responsabilità penale con il solo deposito del ricorso).
l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, seppure antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’imposta, non esclude il reato previsto dall’art. 10ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 in relazione al debito IVA scaduto e da versare (Sez. 3, n. 12912 del 04/02/2016, COGNOME, Rv. 266708 – 01);
la procedura di concordato preventivo, sia essa introdotta con piano concordatario o con riserva, non inibisce il pagamento dei debiti tributari il cui termine di scadenza sia successivo al deposito della domanda, giuste le disposizioni di cui all’art. 161, comma 7, e 167 l.f., salva la presenza di un provvedimento del tribunale che abbia vietato il pagamento di crediti anteriori (Sez. 3, n. 13628 del 20/02/2020, COGNOME, Rv. 279421 – 01; in questo senso Sez. 3, n. 49795/2018, COGNOME, Rv. 274199 – 01; Sez. 3, n. 2860 del 30/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274822 – 01; Sez. 4, n. 52542 del 17/10/2017, COGNOME, Rv. 271555 – 01); analogo principio Ł stato espresso in relazione agli obblighi «scaduti tra la presentazione dell’istanza di ammissione al concordato, sia esso ‘in bianco’ che con deposito del piano, e l’adozione del relativo decreto» (Sez. 3, n. 9248 del 02/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 283228 – 01);
Ł configurabile la causa di giustificazione prevista dall’art. 51 cod. pen. solo se i provvedimenti che impongono il dovere di non adempiere all’obbligo tributario, come l’ammissione al concordato preventivo ovvero, in alternativa, il provvedimento del tribunale che abbia vietato il pagamento di crediti anteriori, siano intervenuti prima della scadenza di tale obbligo e, dunque, non siano successivi alla consumazione del reato ( ex multis , Sez. 3, n. 2860 del 30/10/2018, dep. 2019, Rv. 274822 – 01; Sez. 3, n. 39696 del 08/06/2018, Rv. 273838 – 01; Sez. 4, n. 52542 del 17/10/2017, Rv. 271554 – 01).
Va pertanto affermato il principio secondo cui, in tema di reato di cui all’articolo 10-ter d. lgs. 74/2000, in nessun caso l’ammissione al concordato preventivo, richiesta in epoca successiva alla consumazione del delitto per debiti tributari scaduti prima della relativa domanda, può avere efficacia scriminante o impedire il perfezionarsi del fatto tipico.
2.2. Nel caso in esame, a pagina 4 della sentenza impugnata si dà atto che l’istanza di concordato, come riferito dal teste della difesa COGNOME, fu presentata nell’aprile 2019, mentre a pagina 7 si evidenzia come la consumazione dei reati contestati coincidesse con il 27 dicembre 2017 (annualità IVA 2016) e 27 dicembre 2018 (annualità IVA 2017), ossia prima della domanda di concordato.
La scadenza del termine per il pagamento dell’IVA e la stessa consumazione dei reati era pertanto ampiamente precedente alla dimanda di concordato, circostanza con cui la difesa non si confronta affatto, affermando, al contrario (pag. 4 del ricorso), che «in costanza di concordato preventivo ammesso dal Tribunale, il pagamento dei crediti IVA relativi agli anni in contestazione non fosse stato effettuato dal momento che gli organi della procedura concorsuale … … non avevano ancora provveduto alla vendita del complesso immobiliare, approvato con piano di riparto», con conseguente genericità della censura.
2.3. Manifestamente infondata Ł invece la doglianza secondo cui, per effetto del provvedimento di sgravio n. 164 del 2020, per effetto di alcuni pagamenti rateali, l’importo dell’IVA non versata sarebbe sceso al di sotto della soglia di punibilità.
Ed infatti, secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di reati tributari, i pagamenti successivi al perfezionamento del reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto di cui all’art. 10ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non possono essere presi in considerazione ai fini della determinazione della c.d. «soglia di punibilità» prevista dalla
fattispecie delittuosa, ma solo per l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 13 del medesimo d.lgs. (Sez. 3, n. 8521 del 21/09/2018, dep. 2019, Pistilli, Rv. 275010 – 01), circostanza peraltro non dedotta dalla difesa.
Inammissibile Ł anche la doglianza relativa all’elemento soggettivo del reato.
3.1. Come noto, in tema di reati tributari nel reato di cui all’art. 10ter d.lgs. n. 74 del 2000, Ł richiesto il dolo generico, integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, a nulla rilevando i motivi della scelta dell’agente di non versare il tributo (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263127 – 01).
Il Collegio ritiene che l’adempimento parziale del debito tributario in epoca successiva alla consumazione del reato non possa in alcun modo provare l’insussistenza del dolo, la cui esistenza va valutata in riferimento al momento della data di consumazione del reato, potendo, invece, essere considerata (come fatto dai giudici del merito) ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante dell’articolo 62, n. 6, cod. pen..
Del pari, la messa a disposizione degli organi della procedura del proprio patrimonio immobiliare, in epoca successiva alla realizzazione del reato, non può essere positivamente valutata, per le ragioni esposte al par. 2.
3.2. Quanto alla dedotta sussistenza della c.d. «crisi di liquidità», va ribadito il principio di diritto piø volte espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, in forza dei quali risulta indispensabile che il contribuente dimostri in modo preciso che gli sia stato impossibile reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie all’adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo esperito tutte le possibili azioni, comprese quelle svantaggiose per il proprio patrimonio personale, tese a recuperare le somme necessarie a estinguere il debito erariale, senza esservi riuscito per ragioni a lui non imputabili e, comunque, indipendenti dalla sua volontà ( ex plurimis , Sez. 3, n. 39310 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 277171 – 01; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015; Sez. 3, n. 5905 del 09/10/2013; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014; Sez. 3, 5 dicembre 2013, n. 5467), correttamente applicato dalle due conformi sentenze di merito, le quali hanno non illogicamente ritenuto irrilevante la circostanza che fosse stata presentata domanda di concordato e che la odierna ricorrente non avesse dimostrato di avere assunto ogni possibile iniziativa, anche sul proprio patrimonio personale, per fronteggiare la crisi di liquidità.
La doglianza Ł quindi meramente ripropositiva di censure debitamente disattese dai giudici di merito e, pertanto, inammissibile, dovendosi considerare non specifica ma soltanto apparente, in quanto omette di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (v., ex multis , Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217).
Inammissibile Ł anche la doglianza relativa alle circostanze attenuanti generiche.
4.1. Questa Corte ritiene che le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale «concessione» del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioŁ tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una piø incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena” (cfr., Sez. 2, n. 14307 del 14.3.2017, COGNOME; Sez. 2, n. 30228 del 5.6.2014, COGNOME).
Il loro riconoscimento non costituisce, pertanto, un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo (v. ex multis sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, n.m.).
Inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all’art. 62bis cod. pen., al giudice di merito non Ł richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737).
Non Ł neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma Ł sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (sez. 1, n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419).
Rileva altresì la Corte che «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62bis , disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non Ø piø sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01; Sez. 1, Sentenza n, 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01)».
4.2. La Corte territoriale motiva il diniego, rispetto all’intervenuto parziale adempimento dell’obbligo tributario (indicato dalla difesa dell’appellante quale elemento positivo di valutazione), ritenendo che in relazione a tale dato Ł stata già riconosciuta la circostanza attenuante dell’articolo 62, n. 6), cod. pen., per cui costituirebbe una inammissibile duplicazione considerare tale dato anche ai fini del riconoscimento delle circostanze atipiche, mentre ribadisce la sostanziale valenza neutra dell’assenza di precedenti.
Avverso tale deduzione l’imputato nulla oppone, limitandosi a ribadire che la Corte non ha motivato in relazione alle doglianze difensive relative all’avvenuto pagamento, difettando così del necessario confronto critico con la sentenza impugnata (v. par. che precede).
Inammissibili sono i motivi relativi alla congruità del trattamento sanzionatorio.
5.1. Il Collegio ribadisce che la graduazione del trattamento sanzionatorio, in generale, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen..
Per assolvere al relativo obbligo di motivazione, Ł sufficiente che il giudice dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale
Nel giudizio di cassazione Ł dunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.).
5.2. Ciò premesso, la Corte di appello precisa, quanto alla pena detentiva irrogata dal primo giudice (pag. 8), che essa Ł di soli quattro mesi superiore al minimo edittale e
largamente inferiore al suo valore mediano.
La censura difensiva, pertanto, che non si confronta con la sedimentata giurisprudenza della Corte, Ł manifestamente infondata.
5.3. Del pari manifestamente infondata Ł la censura relativa alla pena pecuniaria sostitutiva applicata, in relazione alla quale vanno ritenuti applicabili i medesimi principi applicabili alle sanzioni principali.
Questa Corte ha infatti anche di recente confermato (Sez. 6, n. 10070 del 05/02/2025, di COGNOME, n.m.) l’indirizzo giurisprudenziale formatosi con riguardo al quadro legislativo precedente la novella del 2022 per il quale la sostituzione delle pene detentive brevi Ł rimessa a una valutazione discrezionale del giudice, condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., prendendo in considerazione, tra l’altro, le modalità del fatto per il quale Ł intervenuta condanna e la personalità del condannato (v. Sez. 3, n. 19326 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 263558), il quale va confermato anche per le pene sostitutive configurate dalla riforma, la cui disciplina continua a subordinare la sostituzione a una valutazione giudiziale e a un giudizio prognostico positivi, ancorati ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 33027 del 11/5/2023, Agostino, Rv. 285090, in motivazione).
La sentenza gravata, sempre a pagina 8, ritiene che, a fronte di una forbice compresa tra i 5 e i 2.500 euro al giorno (e della concessione del beneficio della pena sospesa), in ragione delle pregresse esperienze imprenditoriali dell’imputata, che gode sicuramente di un reddito consistente, oltre che di proprietà personali), possa ritenersi congruo un valore giornaliero di conversione di 250 euro, ben al di sotto dell’importo mediano (pari a 1.525.5 euro).
Anche in questo caso, alla luce dei principi elencato in precedenza, la doglianza Ł manifestamente infondata.
La censura relativa all’intervenuta prescrizione del reato Ł manifestamente infondata.
6.1. Quanto all’articolo 159 cod. pen.,la giurisprudenza assolutamente prevalente della Corte era nel senso che, in tema di prescrizione, ai reati commessi tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019 si applica la disciplina prevista dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. «riforma Orlando»), posto che il criterio della legge piø favorevole stabilito all’art. 2, comma quarto, cod. pen. assume come termini di raffronto la sospensione del decorso della prescrizione di cui all’art. 159, comma secondo, cod. pen., nel testo previsto dall’art. 11, lett. b), legge cit. e l’art. 161bis cod. pen., introdotto dalla legge 27 settembre 2021, n. 134. (Sez. 4, Sentenza n. 566 del 13/12/2024, COGNOME, n.m.; Sez. 4, n. 28474 del 10/07/2024, COGNOME, Rv. 286811 – 02; Sez. 4, n. 26294 del 12/06/2024, COGNOME, Rv. 286653 – 01; Sez. 3, n. 18873 del 27/02/2024, COGNOME, Rv. 286436 – 01; Sez. 1, n. 2629 del 29/09/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285724 – 01)
Tale interpretazione Ł stata avallata dalle Sezioni Unite della Corte (v. informazione provvisoria n. 19 del 2024, proc. n. 22932 del 2024, COGNOME), le quali hanno affermato il principio di diritto secondo cui «per i reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019 si applica la disciplina di cui alla legge n. 103 del 2017. Per i reati commessi a partire dal primo gennaio 2020 trova applicazione la disciplina di cui alla legge n. 134 del 2021».
Nel caso di specie, va considerato che il reato si consuma in caso di omesso versamento dell’imposta dovuta «entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo» (così il testo vigente dell’articolo 10ter all’epoca dei fatti); tale termine Ł fissato dall’art. 6 della l. 29 dicembre 1990, n. 405, nel 27 di dicembre di ciascun anno.
Pertanto, le scadenze del termine per il pagamento erano stabilite, rispettivamente, con
il giorno 27 dicembre 2017 e 27 dicembre 2018, come correttamente indicato a pag. 7 della sentenza impugnata.
Di conseguenza, trovava applicazione la disciplina dell’articolo 159 cod. pen. introdotta dal «decreto Orlando», con conseguente slittamento del termine prescrizionale di anni sette e mesi sei, di ulteriori anni uno e mesi sei, per complessivi anni 9, ossia ben oltre la data di emissione della sentenza di appello.
6.2. Tale evidenza renderebbe inutile affrontare la doglianza relativa ai periodi di sospensione dichiarati dal primo giudice, in relazione ai quali, tuttavia, il Collegio ribadisce l’orientamento secondo cui il rinvio del processo disposto su richiesta del difensore dell’imputato comporta la sospensione del termine di prescrizione, ai sensi dell’art. 159, comma primo, n. 3) cod. pen. indipendentemente dall’accordo o dall’opposizione o meno del AVV_NOTAIO ministero o della parte civile (Sez. 4, n. 20395 del 27/04/2021, COGNOME, Rv. 28124301; Sez. 6, n. 37953 del 13/07/2018, G., Rv. 273837-01; Sez. 6, n. 51912 del 17/10/2017, COGNOME, Rv. 271561-01), per l’intera durata del rinvio, a prescindere dalle ragioni poste a fondamento della richiesta (Sez. 7, n. 8124 del 25/01/2016, COGNOME, Rv. 266469-01).
Nel caso in esame, dal verbale di udienza del 28 dicembre 2023 si evince che il rinvio fu concesso dal Tribunale su richiesta del sostituto processuale dei difensori dell’indagata, per cui, correttamente, Ł stato considerato il periodo di sospensione tra le due udienze.
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonchØ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così Ł deciso, 02/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME