Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4214 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 4214 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nata a Milano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/05/2023 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste scritte del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratori di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23/05/2023, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza emessa in data 09/02/2022 dal Tribunale di Milano, con la quale NOME era stata dichiarata responsabile del reato di cui all’art. 10-t 74/2000- perchè, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con riferimento al periodo di imposta 2015, non versav entro il termine previsto per il pagamento dell’acconto IVA relativo al period imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazi annuale per l’ammontare di euro 386.265,00 – e condannata alla pena di mes quattro di reclusione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce mancata assunzione e travisamento della prova con riferimento alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale 603 cod. proc. pen.
Argomenta che la Corte di appello non aveva assunto una prova decisiva, costituita dalla sentenza n. 2159/2022 del Tribunale civile di Milano, con la q era stato riconosciuto sussistente il credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, pari ad euro 798.752,00; la ricorrente aveva fatto affidamento sul predetto credito, credendo di incassare il pagame per poi utilizzarlo per il versamento dell’IVA; inoltre, aveva documentato il p di ammortamento rateale per l’integrale corresponsione del debito tributario e pagamento delle prime sette rate; tali circostanze, unitamente alla situazio difficolta economica della RAGIONE_SOCIALE iniziata nel 2015 e protrattasi negl successivi fino alla messa in liquidazione volontaria della stessa, conduce all’insussistenza del dolo.
Con il secondo motivo vizio di motivazione in relazione alla durata delle pe accessorie, lamentando che la Corte di appello ne aveva giustificato la div durata rispetto alla pena principale con argomentazioni non condivisibili, ba sull’importo dell’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va premesso che la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale disciplina dall’art. 603 cod.proc.pen. è subordinata alla richiesta di parte e disposta il giudice di appello ritiene di non essere in grado di decidere allo stato de con riguardo alla riassunzione di prove già acquisite o all’assunzione di p preesistenti e conosciute (art, 603, comma 1, cod. proc. pen.); è ugualme subordinata alla richiesta di parte, ma in questo caso soggetta al solo lim manifesta superfluità o irrilevanza, con riguardo alle prove sopravvenut scoperte dopo il giudizio di primo grado (art. 603, comma 2, in combinato dispos con gli artt. 495, comma 1, e 190, comma 1, cod. proc. pen.); è, inf espressione di un potere officioso del giudice di appello, analogo a quell giudice di primo grado (art. 507), nel caso di valutazione di assoluta necess fini della decisione (art. 603, comma 3).
La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello dunque, evenienza eccezionale, subordinata alla valutazione del giudice di n poter decidere allo stato degli atti.
La rinnovazione del dibattimento, infatti, postula una deroga alla presunzio di completezza della indagine istruttoria svolta in primo grado ed ha caratteri di istituto eccezionale, nel senso che ad essa può farsi ricorso quando ap assolutamente indispensabile, cioè net solo caso in cui il giudice ritenga, nel discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez.2,n.81 26/04/2000, Rv.216532; Sez.2, n. 3458 del 01/12/2005,dep.27/01/2006, Rv.233391; Sez. 2, 15/05/2013, n. 36630; Sez. 2, 27/09/2013, n. 41808; Sez.U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 25/03/2016, Rv.266820 – 01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello, in linea con il dato normativo e c suesposto principio di diritto, ha motivato congruamente, in maniera logica adeguata, evidenziando come le emergenze istruttorie escludessero una situazione di assoluta impossibilità per l’imputata di adempiere all’obbligaz tributaria, risultando irrilevante a tal fine la allegata crisi di liq controversia civile avente ad oggetto il credito azionato nei confronti della Trans.
Va ricordato che l’elemento soggettivo del reato di omesso versamento di IVA è costituito dal dolo generico (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, dep. 2016, Va Rv. 265939), configurabile anche nella forma del dolo eventuale (Sez. 3, n. 349 del 24/06/2015, COGNOME, Rv. 264882, cit), integrato dalla condotta omissiva p in essere nella consapevolezza della sua illiceità, a nulla rilevando i motiv scelta dell’agente di non versare il tributo (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014 2015, COGNOME, Rv. 263127), mentre l’inadempimento della obbligazione tributari può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputa all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause
indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, 8352/2015 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 263128). Quanto alla incidenza della situazione finanziaria dell’impresa ai fini dell’esclusione della colpevolezz affermato che è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del t fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano stat adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (S n. 2614 del 06/11/2013, dep. 2014, Rv. 258595), anche attingendo al patrimonio personale (Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258055; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, in motivazione).
Più in particolare, l’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale non esclude la sussistenza del dolo richies dall’art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, atteso che l’obbligo del pr versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che mancato adempimento del debitore è riconducibile all’ordinario rischio di impresa evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispetti riscossi (ex multis, Sez. 3, n. 27202 del 19/05/2022, Rv. 283347). Né la mancata riscossione di crediti costituisce circostanza idonea ad escludere il dolo, post si tratta di eventi che rientrano nel normale rischio di impresa (Sez. 3, n. del 08/04/2014, COGNOME, in motivazione).
A fronte di un percorso argomentativo adeguato e corretto, la doglianz mossa dalla ricorrente si profila, come anticipato, manifestamente infondata anche ai limiti dell’ammissibilità sostanziandosi anche in rilievi in fatto, or ad una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in s legittimità.
2. Il secondo motivo di ricorso è, del pari, manifestamente infondato.
Va ricordato che la durata delle pene accessorie per le quali la legge stabil in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai c di cui all’art. 133 cod. pen. e non rapportata, invece, alla durata dell principale inflitta ex art. 37 cod. pen. (Sez.U, n. 28910 del 28/02/2019,Rv.276 – 01).
Principio ribadito proprio in tema fattispecie in tema di pene accessorie di all’art. 12 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, tema che qui rileva (Sez.3, n. del 20/06/2019, Rv. 277972 – 01, che ha anche precisato che alla luce del sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 05/12/2018 deve ritenersi escl la necessaria correlazione con la durata della pena principale, quando, come caso in esame, la durata delle pene accessorie temporanee sia compresa tra u minimo e un massimo; in sostanza, la Corte Costituzionale affermato – sia pur con riferimento alle pene accessorie previste dall’art. 216, ultimo comma, le
fallimentare, ma si tratta di principio di carattere AVV_NOTAIO – che se gli autom contrastano con i principi costituzionali di proporzionalità della pena individualizzazione del trattamento sanzionatorio, diventa “sospetta”, sott profilo della compatibilità con la Costituzione, anche la regola dettata dall’ar cod. pen. – ove intesa come unica soluzione possibile -: regola che non lascereb al giudice quel margine di discrezionalità ritenuto necessario nella prospettiv assegnare «alle pene accessorie una funzione almeno in parte distinta rispetto quella delle pene detentive, e marcatamente orientata alla prevenzione specia negativa – imperniata sull’interdizione del condannato da quelle attività che hanno fornito l’occasione per commettere gravi reati».).
Nella specie, la Corte di appello ha esposto adeguate e logiche argomentazioni a fondamento della durata delle pene accessorie imposte (art. 12 d.lgs 74/200 comma 1, lett. a-b-c) richiamando l’entità dell’omesso versamento dell’impost sul valore aggiunto.
Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pe non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa d inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 19/12/2023