Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26396 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26396 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Monte San Biagio (Lt) il 4/3/1949
avverso la sentenza del 13/11/2024 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13/11/2024, la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia emessa il 7/4/2023 dal Tribunale di Cassino, con la quale NOME COGNOME era stato riconosciuto colpevole del delitto di cui all’art. 10-ter, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74.
Propone ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi:
violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’art. 24 cod. proc. pen. La Corte di appello avrebbe rigettato con argomento viziato l’eccezione di incompetenza per territorio, sollevata in favore del Tribunale di Latina. Premesso
che la stessa sentenza impugnata riconoscerebbe in Fondi (Lt) la sede legale, fiscale ed operativa della società di cui il ricorrente era legale rappresentante, dovrebbe trovare allora applicazione l’art. 18, d. Igs. n. 74 del 2000, non potendo operare la clausola sussidiaria relativa al luogo di (mero) accertamento del fatto, avvenuto presso l’Agenzia delle entrate di Formia (dunque, competenza del Tribunale di Cassino); la giurisprudenza di legittimità confermerebbe questa conclusione, risultando certa – si ribadisce – la collocazione della sede effettiva e del domicilio fiscale dell’ente;
violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’art. 10-ter, d. Igs. n. 74 del 2000. In relazione all’elemento soggettivo del reato, la sentenza avrebbe confermato la natura dolosa della condotta, pur prendendo atto delle gravi condizioni di salute dell’imputato e della oggettiva incapacità di far fronte al debito tributario, tanto che lo stesso ricorrente avrebbe beneficiato della sospensione condizionale della pena; ebbene, questi elementi in fatto avrebbero dovuto condurre all’esclusione del profilo soggettivo del reato, data la obiettiva impossibilità di adempiere al pagamento dell’imposta;
violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’art. 131-bis cod. pen. La sentenza avrebbe negato la causa di esclusione della punibilità senza tener conto della giurisprudenza di questa Corte, specie laddove si valorizzerebbe, in senso positivo, il limitato superamento della soglia di punibilità, nel caso di specie di poco superiore al 10%. La stessa pronuncia, inoltre, non avrebbe valutato la vicenda nella sua interezza, in ordine alle condizioni di salute dell’imputato, al fatto che era diventato amministratore della società in liquidazione soltanto nel giugno 2016, all’assenza di condotte di distrazione o, comunque, fraudolente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo al primo motivo, ed alla stregua dei criteri generali e di legge speciale afferenti alla determinazione della competenza territoriale – artt. 8 e 9 cod. proc. pen. e 18 del d.lgs. n. 74 del 2000 – risulta preliminarmente necessario stabilire in quale momento avviene la consumazione del delitto omissivo tributario in esame e, conseguentemente, individuare il luogo che radica la competenza.
4.1. Premesso che l’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000- nella lettera vigente al tempo del reato – puniva chi non versava l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, giova, in primo luogo, osservare che il d.lgs. n. 74 del 2000, art. 18, detta le regole per la determinazione della competenza per territorio dei reati tributari e, al comma 1, stabilisce che – fatta
eccezione per i c.d. reati in dichiarazione (previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, art 2, 3, 4, 5 e 7) e fatta eccezione per il reato di cui all’art. 8, comma 2 (reato emissione di più fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) – la competenza per territorio per tutti gli altri reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 20 compreso quindi il reato di cui all’art. 10-ter, si determina a norma dell’art. 8 cod. proc. pen. Solo qualora non sia possibile determinare la competenza sulla base di tale ultima disposizione, è competente il giudice del luogo di accertamento del reato. La competenza per territorio in relazione al reato dell’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000 è, dunque, determinata, stando al contenuto letterale della disposizione, dal luogo in cui il reato è consumato (art. 8, comma 1, cod. proc. pen.).
4.2. Sul punto, va peraltro precisato che il reato di cui all’art. 10-ter è stato introdotto dal d.l. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, comma 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248. Si tratta, perciò, di ipotesi di reato che, al pari dell’art. 10-bis (introdotto con legge 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 414) è stata inserita nel d.lgs. n. 74 del 2000, in epoca successiva alla disposizione dell’art. 18 che regola la competenza per territorio. Pur avendo, infatti, analogie con i reati in dichiarazione, le fattispecie di cui agli artt. 10-bis e 10-ter non possono partecipare alla disciplina del comma 2 dell’art. 18, il quale riserva solo ai reati del capo I una disciplina diversa da quella radicata sulla base del /ocus commissi delicti e, in subordine, sulla base del luogo di accertamento del reato (Sez. 3, n. 27701 del 01/04/2014, Rv. 260110).
4.3. Ebbene, posto che il reato di omesso versamento dell’IVA si consuma nel momento in cui scade il termine utile per il pagamento, il luogo di consumazione del reato coincide con quello in cui si compie, alla scadenza del termine previsto, l’omissione del versamento imposto dal precetto normativo e, dunque, trattandosi di condotta omissiva, con quello in cui si sarebbe dovuta compiere l’azione doverosa, vale a dire il versamento all’Erario dell’imposta.
4.4. Ora, come correttamente rilevato dalla Corte di appello, in ordine alla precisa individuazione del /ocus commissi delicti in materia di reati tributari, è esistito, in seno alla giurisprudenza di legittimità, un aperto dibatti giurisprudenziale.
4.4.1. Secondo un primo orientamento, in tali casi, il luogo in cui si verifica l’omissione del versamento del tributo ex art. 8 cod. proc. pen. deve ritenersi coincidente con il luogo ove si trova la sede effettiva dell’azienda, nel senso di centro della prevalente attività amministrativa e direttiva di organizzazione dell’impresa, coincidente o meno con la sede legale, dovendo aversi riguardo al principio di effettività e potendosi ricorrere al criterio suppletivo previsto dall’ 18, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000 del luogo di accertamento del fatto, soltanto
qualora non sia possibile determinare il luogo di consumazione del reato (Sez. 3, n. 13610 del 14/02/2019, Rv. 275901; Sez. 3, n. 23784 del 16/12/2016, Rv. 269983; Sez. 3, n. 27701 del 01/04/2014, Rv.260110; Sez. 3, n. 20504 del 19/02/2014, 259783). La sede effettiva, del resto, si identifica con il luogo deputato o stabilmente utilizzato per l’accentramento dei rapporti interni e con i terzi in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’en e nel quale, dunque, hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente ed ove operano í suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti (Cass. civ. Sez. 5, n. 2869 del 07/02/2013, Rv. 625688).
4.4.2. Altra giurisprudenza, ormai prevalente, si discosta invece da tale posizione, allorché statuisce che, essendo impossibile individuare con certezza il suddetto luogo di consumazione, siccome l’adempimento può essere effettuato presso qualsiasi concessionario operante sul territorio nazionale, va applicato il criterio sussidiario del luogo dell’accertamento del reato, indicato dall’art. 18, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall’art. 9 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 34652 del 16/06/2021; Sez. 3, n. 6529 del 12/12/2019, Rv. 278597; Sez. 3, 17060 del 10/01/2019, Rv. 275942; Sez. 1, n. 44274 del 24/09/2014, Rv. 260801). Nello specifico, ritiene questa parte della giurisprudenza di legittimità che, se è ben vero che, “di regola”, il versamento viene effettuato nel luogo in cui si trova la sede operativa del soggetto IVA, tale soluzione tuttavia non ha valenza obbligatoria, potendo questi adempiere l’obbligo, quantomeno dal 10 ottobre 2006, presso qualsiasi concessionario o intermediario avente sede sul territorio nazionale. Ne consegue che, non essendoci un unico luogo in cui sia possibile effettuare il versamento dell’IVA, risulta impossibile individuare il /ocus commissi delicti ai sensi della regola generale di cui all’art. 8, comma 1, cod. proc. pen.; di talché, non essendo stato previsto il ricorso alle regole suppletive contenute nell’art. 9 cod. proc. pen., deve farsi riferimento al criterio residuale stabilito in materi penale tributaria del luogo di accertamento del reato; criterio, del resto, funzionale, all’opportunità di radicare il processo ove ha sede l’ufficio tributario dii polizia che ha effettuato l’accertamento. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.5. Fatte queste premesse, nel decidere la questione è opportuno muovere, preliminarmente, dal richiamo della disciplina fiscale attualmente in vigore, dettata dall’art. 37, comma 49, del d.l. n. 223 del 4 luglio 2006, convertito, con modificazioni, nella legge n. 248 del 4 agosto 2006, secondo cui «a partire dal 10 ottobre 2006, i soggetti titolari di partita IVA sono tenuti ad utilizzare, anch tramite intermediari, modalità di pagamento telematiche delle imposte, dei contributi e dei premi di cui all’art. 17, comma 2, del d. Igs. n. 241 del 9 lugli 1997, e delle entrate spettanti agli enti ed alle casse previdenziali ex art. 28,
comma 1, dello stesso decreto legislativo». Tale disciplina – che ha integrato il disposto dell’art. 38 del d.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972 – prevede, dunque, il pagamento delle imposte unicamente a mezzo del c.d. modello F24 telematico, direttamente dal contribuente, attraverso qualsiasi sportello delle aziende di credito abilitate, oppure attraverso gli intermediari di cui all’art. 3 del d.P.R. 322 del 22 luglio 1998, che, oltre a provvedere all’inoltro delle dichiarazioni, sono altresì autorizzati ad effettuare i versamenti. Il delineato quadro normativo ha dunque cristallizzato la definitiva dematerializzazione del pagamento ed ha altresì precluso l’individuazione di un unico luogo in cui l’obbligo penalmente sanzionato vada telematicamente adempiuto.
4.6. Ne consegue che è condivisibile l’orientamento secondo cui, con riguardo anche al delitto in esame, ai fini della individuazione della competenza per territorio, in assenza di elementi certi in ordine ad un eventuale principio di pagamento dell’imposta che possa consentirne l’individuazione dell’effettivo /ocus commissi delicti, non possa farsi riferimento al criterio della sede effettiva, dovendosi piuttosto ricercare il luogo di consumazione del reato ai sensi dell’art. 8 cod. proc. pen.; con la conseguenza che, laddove tale determinazione sia effettivamente impossibile, dovrà farsi riferimento al luogo dell’accertamento del fatto di reato, sussidiariamente previsto dall’art. 18 del d.lgs. n. 74 del 2000 e prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall’art. 9 cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 3, n. 32280 del 16/5/2024, Prisco, Rv. 286710; in termini, successivamente, Sez. 3, n. 45257 del 7/11/2024, COGNOME; Sez. 3, n. 40559 del 24/9/2024, Accatino). Esigenze di certezza del diritto postulano, del resto, la necessaria svalutazione della portata del criterio della sede effettiva, i cui accertamento comporterebbe un inutile aggravio per l’azione amministrativa, perché ancorato al dato fattuale dell’effettività della sede legale.
4.7. Ebbene, nel caso di specie (e come affermato dalla Corte di appello), se, sulla base di quanto prospettato dallo stesso imputato, appare concreta la possibilità di collocare la sede effettiva della “RAGIONE_SOCIALE” in Fond (Latina), non risulta tuttavia fornita alcuna prova dell’esistenza di un elemento sintomatico di un eventuale principio di pagamento dell’imposta presso la relativa circoscrizione; così che, nell’impossibilità di individuare il /ocus commissi delicti secondo la regola generale di cui all’art. 8 cod. proc. pen., è stato correttamente applicato il criterio – richiamato in via sussidiaria dall’art. 18, comma 1, del d. Ig n. 74 del 2000 – del luogo di accertamento del fatto di reato, ossia il circondario del Tribunale di Cassino.
Il primo motivo di ricorso, pertanto, è manifestamente infondato.
Alle stesse conclusioni, di seguito, il Collegio giunge quanto alla seconda censura, che contesta la motivazione in punto di elemento soggettivo del reato.
5.1. La Corte di appello, con argomento in fatto non manifestamente illogico e, dunque, non censurabile in questa sede, ha sottolineato, per un verso, la piena consapevolezza dello stato patrimoniale e della condizione debitoria della società, da parte del ricorrente; per altro verso, che la crisi di liquidità in cui lo ste versava, in uno con le sue condizioni di salute, non potevano escludere il dolo generico del delitto di cui all’art. 10-ter, d. Igs. n. 74 del 2000, non risultando alcuna prova (neppure dedotta nel ricorso come rappresentata ma non valutata) circa eventuali iniziative che il RAGIONE_SOCIALE avrebbe posto in essere per provvedere al pagamento dell’IVA incassata o per far fronte alla situazione debitoria della società. Del tutto priva di specificità, oltre che propria della sola fase di merito, poi l’affermazione del ricorso secondo cui tutti i beni dell’imputato sarebbero andati all’asta, senza ulteriori precisazioni.
5.2. A ciò si aggiunga, peraltro, che non sono neppure dedotti elementi eventualmente valutabili ai sensi dell’art. 13, comma 3-bis, d. Igs. n. 74 del 2000, introdotto dal d. Igs. 14 giugno 2024, n. 87. Il ricorso, infatti, non deduce l’esistenza di cause non imputabili all’autore sopravvenute all’incasso dell’imposta; del pari, non deduce una crisi non transitoria di liquidità dovuta alla inesigibilit dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi.
Il motivo di ricorso, pertanto, è manifestamente infondato.
Alle stesse conclusioni, infine, la Corte giunge anche quanto alla terza censura, con la quale si contesta il mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
6.1. La Corte di appello, pronunciandosi sul punto, ha reso ancora una motivazione adeguata e conforme agli indirizzi di legittimità, peraltro citati anche nel ricorso. E’ stato evidenziato, infatti, che la condotta non poteva essere ritenuta di particolare tenuità, in quanto l’ammontare dell’imposta evasa superava la soglia di punibilità (pari a 250mila euro) di 26.788,00 euro, così producendo un danno all’Erario non valutabile come esiguo o scarsamente offensivo del bene tutelato.
6.2. In questa sede, peraltro, non possono essere ulteriormente valutati gli elementi che l’impugnazione propone in senso favorevole all’esimente (pag. 11), perché di puro merito e propri della sola fase di cognizione.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del
ammende.
Così deciso in Roma, il 3 giugno 2025
Il sigliere estensore
Il Presi ente