Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 19708 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 19708 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME TORTOLI’ il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/12/2022 del GIP TRIBUNALE di NUORO
udita la relazione svolta da Consi lette le conclusioni del PG, liere NOME COGNOMECOGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio limitatamente al primo motivo di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il AVV_NOTAIO per le indagini preliminari del Tribunale di Nuoro, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha parzialmente accolto l’istanza, proposta nell’interesse di NOME COGNOME, di revoca del decreto penale di condanna emesso nei suoi riguardi in data 4 dicembre 2003, irrevocabile il 30 dicembre 2003, limitatamente alle condotte di omesso versamento delle ritenute previdenziali perpetrate nell’anno 2000.
A ragione della decisione osservava che la condanna riguardava il reato di cui all’art. 2 I. n. 638 del 1983, relativamente alle annualità 2000 e 2001; tuttavia per il primo periodo le condotte, pari a 9.903,00 euro, non superavano la soglia di punibilità introdotta con l’art. 3, d.lgs. n. 8 del 2016.
Avverso il provvedimento indicato propone tempestivo ricorso per cassazione il condanNOME, per mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo tre motivi.
2.1. Con il primo motivo assume l’erroneità del provvedimento del AVV_NOTAIO dell’esecuzione che si sarebbe limitato a prendere atto dell’intervenuta aboliti° criminis, senza tuttavia ridurre conseguentemente la pena irrociata con il decreto penale di condanna che si riferiva a una pluralità di condotte, parzialmente venute meno.
2.2. Con il secondo motivo lamenta il diniego dell’applicazione della causa d’esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. cui senz’altro condanNOME aveva diritto e che il giudice dell’esecuzione ia erroneamente ritenuto che si trattasse di una questione coperta dal giudicato.
2.3. Con l’ultimo motivo censura la mancata eliminazione del ritenuto vincolo della continuazione, sia da un punto di vista formale nel provvedimento di condanna, sia nel calcolo della pena del reato ritenuto ancora sussistente. In virtù della novella normativa, la nuova formulazione del reato è unitaria per ciascuna annualità, sicché non dev’essere effettato alcun aumento ex art. 81 cod. pen. per le ulteriori condotte omissive poste in essere nell’anno, una volta raggiunta la soglia di punibilità.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, intervenuto con requisitoria scritta depositata in data 29 aprile 2023, ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza, reputando fondato il solo primo motivo di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al primo motivo (in esso assorbito il terzo motivo), per le ragioni che si espongono di seguito.
L’art. 3, comma sesto, d.lgs. n.8 del 2016, nell’escludere la penale rilevanza dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti ove non eccedenti i diecimila euro annui, ha dato luogo ad una aboliti° criminis solo parziale dell’art. 2, comma 1-bis, d.l. n.463 del 1983 (conv. in 1. n. 638 del 1983), sussistendo piena continuità normativa con la precedente incriminazione, allorquando sia superata la soglia di punibilità.
Stabilendo, infatti, che l’omesso versamento delle ritenute previdenziali integra reato ove l’importo sia superiore a quello di diecimila euro annui, il legislatore non si è limitato semplicemente a introdurre un limite di “non punibilità” delle condotte lasciando inalterato, per il resto, l’assetto dell precedente figura normativa (che, come noto, nessun limite p-evedeva), ma ha configurato tale superamento, strettamente collegato al periodo temporale dell’anno, quale vero e proprio elemento caratterizzante il disvalore di offensività che viene a segnare, tra l’altro, il momento consunnativo dello stesso (Sez. 3, n. 37232 del 11/05/2016, COGNOME, Rv 268308).
In altri termini, il reato deve ritenersi già perfezioNOME, in prima battuta, ne momento e nel mese in cui l’importo non versato, calcolato a decorrere dalla mensilità di gennaio dell’anno considerato, superi l’importo di diecimila euro senza che (attesa la necessaria connessione con il periodo temporale dell’anno) le ulteriori omissioni che seguano nei mesi successivi dello stesso anno sino al mese finale di dicembre possano “aprire” un nuovo periodo e, dunque, dare luogo, in caso di secondo superamento, ad un ulteriore reato. Tali omissioni, infatti, contribuiscono ad accentuare la lesione inferta al bene giuridico per effetto del già verificatosi superamento dell’importo di legge sicché, da un lato, non possono semplicemente atteggiarsi quale post factum penalmente irrilevante e, dall’altro, approfondendo il disvalore già emerso non possono segnare in corrispondenza di ogni altra mensilità non versata, un ulteriore, autonomo momento di disvalore (che sarebbe infatti assorbito da quello già in essere).
Questa Corte ha, in proposito, condivisibilimente osservato che ricorre una fattispecie caratterizzata dalla progressione criminosa nel cui ambito, una volta superato il limite di legge, le ulteriori omissioni nel corso del medesimo anno si atteggiano a momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata
la cui definitiva cessazione viene a coincidere con la scadenza prevista dalla legge per il versamento dell’ultima mensilità, ovvero, come noto, con il termine del 16 del mese di gennaio dell’anno (Sez. 3, n. 37232 del 11105/2016, COGNOME, cit.).
Ciò premesso, è fondata la censura con la quale la dii`esa ha lamentato che, alla corretta revoca della condanna per il reato di omesso versamento dei contributi previdenziali per l’annualità in cui i relativi importi non superavano la soglia di punibilità, non è seguita l’eliminazione della relativa pena.
Tale errore può essere rettificato dal Collegio ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen.
E, invero, nel giudizio di legittimità, i casi di rettificazione elencati nell’a 619, commi 1 e 2, cod. proc. pen. non sono tassativi ed è quindi suscettibile di rettificazione ogni altro erroneo enunciato contenuto nella sentenza impugnata, del quale sia palese e pacifica la riconoscibilità, qualora non comporti la necessità dell’annullamento (Sez. 1, n. 35423 del 18/06/2014, Ortolano, Rv. 260279.In motivazione, la Corte ha precisato che questa regola discende dai principi dell’economia, dell’efficienza processuale e della massima semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto e attività non essenziale).
Il principio è stato recentemente ripreso da Sez. U., n. 24701 del 29/09/2022, COGNOME, Rv. 283754, nella cui motivazione si è precisato che «Con specifico riguardo all’art. 619 cod. proc. peri., le Sezioni Unite hanno infatti individuato la ratio della norma nell’esigenza di evitare l’annullamento della decisione impugnata in tutte le occasioni nelle quali si possa rimediare a errori o cadute di attenzione del giudice a quo lasciando inalterato il contenuto decisorio essenziale della sentenza impugnata (Sez. U, n. 9973 del 24(06/1998, Kremi, Rv. 211072). La Suprema Corte ha peraltro rilevato in altre decisioni che la norma in esame, nel prevedere la rettificazione nel giudizio di legittimità, costituisce disposizione speciale e derogatoria della più generale disciplina della correzione di errori materiali dettata dall’art. 130 cod. proc. pen., nella parte in cui consente alla Corte di cassazione di procedere direttamente alla correzione anche in presenza della condizione ostativa posta dall’art. 130 cod. proc. pen. nel precludere tale facoltà al giudice competente a conoscere dell’impugnazione, ove la stessa sia dichiarata inammissibile (Sez. 3, n. 30286 del 09/03/2022, COGNOME, Rv. 283650; Sez. 3, n. 19627 del 04/03/2003, Rv. 224846; Sez. 1, n. 2149 del 27/11/1998, dep. 1999, Rv. 212532). A prescindere da quest’ultimo aspetto, l’art. 619 cod. proc. pen. riprende pertanto dall’art. 130 cod. proc. pen.
il fondamento definitorio dell’errore che giustifica la mera correzione in luogo dell’annullamento.
Questi tratti fondamentali sono stati nitidamente delineati, ancora dalle Sezioni Unite, nella definizione dell’errore correggibile quale divergenza evidente e casuale fra la volontà del giudice e il correttivo mezzo di espressione, della quale costituiscono manifestazioni tipiche l’errore linguistico e quello immediatamente rilevabile dal contesto interno della sentenza (Sez. U, n. 7945 del 31/01/2008, Boccia, Rv. 238426). Il limite dell’errore rilevabile con la procedura di correzione e, nel giudizio di legittimità, di rettificazione, rispetto a vizio che impone viceversa l’annullamento della sentenza impugnata, viene a esserne ricostruito, in negativo, nell’ininfluenza sul contenuto decisorio della sentenza impugnata; e, in positivo, nell’evidente divergenza fra il dato testuale e l’effettiva volontà del decidente».
Ed è ciò che è accaduto nel caso che ci occupa, sicché l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla rideterminazione della pena inflitta con il decreto penale n. 396 del 2003, pena che ridetermina – con riferimento al delitto di omesso versamento di contributi previdenziali nell’anno 2001 – in euro 1.666,00 di multa, in sostituzione di giorni quaranta di reclusione ed euro 400,00 di multa.
Il secondo motivo, alla stregua del quale sarebbe stato possibile per il AVV_NOTAIO dell’esecuzione applicare l’art. 131-bis cod. pen., è destituito di ogni fondamento.
Questa Corte ha, sul punto, già condivisibilmente chiarito che il giudice dell’esecuzione non può applicare retroattivamente la disciplina di favore della particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., poiché trattandosi di causa di non punibilità che non esclude la sussistenza del reato, non può applicarsi la disciplina in materia di successione delle leggi penali di cui all’art. 2 cod. pen. (Sez. 1, n. 46567 del 15/09/2016, Torrisi, Rv. 268069).
Deve, dunque, ribadirsi che la richiesta di applicazione della causa di non punibilità in parola, poiché presuppone l’accertamento del reato e la riferibilità soggettiva all’imputato, differisce dall’abrogazione della disposizione di legge che definisce il reato e le sue implicazioni sanzioNOMErie e la relativa questione non può essere proposta nella fase dell’esecuzione per la revoca della sentenza di condanna (ovvero del decreto), pronunciata prima dell’entrata in vigore della disposizione che la regola, perché non rientra nelle situazioni tassative previste dall’art. 673 cod. proc. pen., dal momento che non produce l’effetto di escludere la configurabilità del reato, la sua dimensione storico-fattuale e la responsabilità
risarcitoria per i pregiudizi cagionati ai terzi, che restano immutate, incidendo soltanto sulla possibilità di irrogare la sanzione nei confronti del suo autore.
COGNOME Conclusivamente, COGNOME l’ordinanza COGNOME impugnata COGNOME dev’essere COGNOME annullata limitatamente al rigetto della richiesta di rideterminazione della pena inflitta con il decreto penale di condanna n. 396 del 2003, con rideterminazione della pena nella misura indicata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente al rigetto della richiesta di rideterminazione della pena inflitta con il decreto penale n. 396/03 e ridetermina detta pena, con riferimento al delitto di omesso versamento di contributi previdenziali nell’anno 2001, in euro 1.666,00 di multa, in sostituzione di giorni 40 di reclusione ed euro 400,00 di multa.
Così deciso, il 2 novembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente