Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9196 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9196 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CANICATTI’ il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/02/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso, trattato cartolarmente ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020 e successive modd. ed integrazioni;
lette le conclusioni scritte dell’AVV_NOTAIO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, con conseguente annullamento della sentenza impugnata anche per intervenuta estinzione per prescrizione del reato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22 febbraio 2023, la Corte d’appello Palermo confermava la sentenza emessa in data 14 dicembre 2021 dal Tribunale di Agrigento appellata da COGNOME NOME, che era stato condannato alla pena condizionalmente sospesa di 1 anno di reclusione ed euro 400 di multa, con il concorso di attenuanti generiche, perché riconosciuto colpevole del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali (art. 2, d.l. n. 463 del 1983, conv. in I. 63 del 1983) sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, relativa al bimestre marzo/aprile 2016, per un importo complessivo pari a circa 50 mila euro.
Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto propone ricorso per cassazione tramite il difensore, deducendo cinque motivi, di seguito sommariamente indicati.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge processuale in relazione all’art. 178, lett. c), 179, 601, 157-co. 8-bis, cod proc. pen., attesa la nullità della sentenza d’appello per essere stato il decreto di citazione per il relativ giudizio notificato all’imputato ex art. 157, co. 8-bis, citato presso il difensore di fiducia anziché presso il domicilio dichiarato, con conseguente nullità della relativa notifica dell’atto.
In sintesi, premesso che la Corte d’appello ha ritenuto rituale la notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello eseguita presso il difensore di fiducia non essendo stato reperito l’imputato al domicilio dichiarato di c.da Capo d’acqua essendo la relativa raccomandata ritornata indietro con la dicitura “indirizzo insufficiente”, la difesa si duole per non essere stata eseguita la notifica al domicilio dichiarato in INDIRIZZO, rilevando pertanto un errore della cancelleria che avrebbe omesso di indicare un indirizzo incompleto ed insufficiente, facendo solo riferimento al nome della via, senza specificare che fosse senza numero civico.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge processuale in relazione agli artt. 521 e 522, cod. proc. pen., essendovi stata la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, atteso che il ricorrente risulta essere stato condannato per un fatto diverso da quello contestato nell’imputazione.
In sintesi, premesso che all’imputato era stato contestato di avere, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, commesso il delitto in esame, relativamente alle mensilità di marzo ed aprile 2016, si sostiene che il tribunale lo avrebbe riconosciuto colpevole anche per un fatto diverso da quello contestato, ossia per il terzo ed il quarto trimestre 2016. La motivazione sul punto della Corte territoriale sarebbe errata, avendo affermato i giudici di appello che la modificazione dell’originaria imputazione non avrebbe inciso sul nucleo essenziale del fatto contestato, essendo stato comunque consentito il contraddittorio sul contenuto sostanziale dell’accusa. Si tratterebbe di motivazione censurabile, non avendo fornito la Corte d’appello alcuna motivazione in ordine al fatto che la condanna del reo, oltre che per il terzo ed il quarto trimestre 2016, è intervenuta anche per i mesi di marzo ed aprile 2016. Quanto sopra avrebbe pregiudicato i diritti della difesa, mancando agli atti la contestazione dell’RAGIONE_SOCIALE di avvenuto accertamento della violazione relativamente al bimestre marzo/aprile 2016 e che i modelli DM/10 prodotti dal PM fanno riferimento solo al terzo ed al quarto trimestre 2016, pregiudizio non sanato con la deposizione del teste COGNOME, che nel corso del suo esame avrebbe solo riferito sommariamente circa il terzo ed il quarto trimestre 2016.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 2, d.l. n. 463 del 1983, conv. in I. 638 del 1983, e correlato vizio di mot vazione rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie contestata relativamente al bimestre marzo/aprile 2016.
In sintesi, si premette che nei motivi di appello si era c:ontestata la mancanza in atti della contestazione RAGIONE_SOCIALE relativa all’avvenuto accertamento della violazione relativamente al bimestre marzo/aprile 2016, censura su cui la Corte d’appello non avrebbe svolto alcuna verifica. Non si comprende dalla sentenza quindi come il ricorrente abbia avuto conoscenza dell’inadempimento contributivo né da dove la Corte territoriale abbia desunto la prova dell’avvenuta corresponsione delle retribuzioni da parte dell’imputato, difettando la produzione dei modelli DM/10 e non avendo valutato la prova contraria offerta dalla difesa sul punto.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 45, cod. pen. e all’art. 2, di. n. 462 del 1983, conv. in I. 638 del 1983, correlato vizio di motivazione rispetto al terze ed al quarto trimestre 2016 circa l’omessa notifica dell’avviso di accertamento RAGIONE_SOCIALE che riverbererebbe sulla sussistenza dell’elemento soggettivo, e segnatamente, sull’assoluta impossibilità di adempiere al versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali.
In sintesi, si duole la difesa per non aver valutato la Corte d’appello le doglianze difensive circa la notifica dell’avviso di accertamento da parte dell’RAGIONE_SOCIALE per il terzo e quarto trimestre 2016, ritenendola regolare per il solo fatto che all’epoca il ricorrente rivestiva la qualità di iegale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE. Si tratterebbe di una motivazione censurabile non essendosi tenuto conto del fatto che la notificazione era avvenuta per compiuta giacenza, che era indirizzata alla persona fisica del COGNOME e non quale legale rappresentante e che non era stata effettuata presso la residenza del ricorrente ma presso la sede legale della società. Ne discenderebbe l’incompletezza motivazionale della sentenza laddove motiva sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato in quanto solo una conoscenza effettiva della contestazione avrebbe inciso sulla componente volitiva del reato contestato. Inoltre, si duole la difesa del ricorrente perché la Corte d’appello avrebbe solo genericamente valutato l’assoluta impossibilità di adempiere al versamento delle ritenute, laddove la situazione di illiquidità aziendale, non sarebbe stata valutata dai giudici merito, essendovi solo un fugace accenno, senza però alcun accertamento fattuale sul punto.
2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 81, cpv cod. pen., 132 e 133, cod. pen.’ e correlato vizio di mancanza della motivazione circa la determinazione della pena base ed il computo della pena applicata.
In sintesi, si duole la difesa per non aver il giudice di appello motivato sulla determinazione della pena, soprattutto in considerazione del fatto che il ricorrente è stato condannato oltre che per il bimestre marzo/aprile 2016, anche per il terzo ed il quarto trimestre dello stesso anno. Ciò inciderebbe sulla possibilità di controllo effettivo del percorso logico/giuridico seguito nella determinazione della pena, tenuto conto che la stessa si discosta notevolmente dal minimo edittale.
Il Procuratore AVV_NOTAIO presso questa Corte, con requisitoria scritta del 29 novembre 2023, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Secondo il PG, il ricorso è manifestamente infondato.
Innanzitutto, si rileva l’infondatezza del primo motivo di ricorso, considerato che la notifica risulta correttamente tentata presso il domicilio dichiarato, non potendo ritenersi rilevante il fatto che la cancelleria si fosse limitata ad indicar l’indirizzo, senza specificare che detta via fosse senza numero civico.
Parimenti infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, riguardante la dedotta violazione del principio di correlazione, richiamandosi e condividendosi le ragioni prospettate nella sentenza impugnata, che ha evidenziato la sussistenza
di un mero errore nel periodo in contestazione, in quanto è stato indicato il bimestre marzo-aprile 2016 e dunque un periodo a cavallo tra i due trimestri che non avrebbe potuto essere oggetto di contestazione, errore peraltro evincibile agevolmente dalle risultanze documentali in atti che non ha comportato nessuna lesione dei diritti difensivi. Va, poi, evidenziato che la sentenza di secondo grado conferma integralmente il giudizio di prime cure. La doppia conformità delle decisioni di condanna ha decisivo rilievo con riguardo ai limiti di deducibilità in c:assazione del vizio di travisamento della prova. Sul punto il PG richiama il consolidato orientamento della Corte di cassazione, anche recentemente ribadito (si veda Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018 Ud., dep. 05/02/2018, rv. 272018, che ha stabilito che “Il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta ” doppia conforme”, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti”. Principio recentemente ribadito dalla Corte di cassazione (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019 Ud., dep. 26/11/2019, rv. 277758). Fatte queste premesse la Corte ha offerto ampia motivazione in ordine al giudizio di responsabilità dell’imputato anche in ragione delle criticità sollevate in sede di appello, e riproposte integralmente in questa sede, con la conseguenza che deve escludersi che “entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento di risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Venendo ai motivi di ricorso, nessuna censura può essere mossa alla motivazione della sentenza, che risulta puntuale ecl adeguata in relazione alla notifica dell’avviso di accertamento da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, alla sussistenza dei presupposti dell’elemento soggettivo, sull’asserita impossibilità del ricorrente ad adempiere e sul trattamento sanzionatorio. In sostanza deve ritenersi che la sentenza impugnata si sottragga alle censure contenute nel ricorso, già oggetto di adeguata valutazione in sede di giudizio di appello, con la conseguenza che il ricorso, palesemente infondato, dovrebbe essere dichiarato inammissibile.
AVV_NOTAIO, in difesa del ricorrente, ha fatto pervenire in data 3 gennaio 2024 le proprie conclusioni scritte con le quali, in replica alla requisitoria del PG, ha chiesto che, in accoglimento dei proposti motivi, questa Corte annulli la sentenza impugnata, con ogni conseguenza di legge, anche per intervenuta prescrizione, considerato che nelre more i reato si sarebbero estinti per intervenuta prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, trattato cartolarmente ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020 e successive modifiche ed integrazioni, è complessivamente infondato.
Il primo motivo è inammissibile per genericità e perché manifestamente infondato.
È generico per aspecificità in quanto non tiene conto della motivazione sul punto fornita dalla Corte territoriale, replicato senza alcun apprezzabile elemento di novità critica la doglianza svolta davanti ai giudici territoriali.
E’ peraltro in diritto manifestamente infondato in quanto non rileva la circostanza che l’indirizzo indicato fosse INDIRIZZO.da Capo d’acqua senza la specificazione “RAGIONE_SOCIALE“, ossia senza numero civico, atteso che proprio tale domicilio dichiarato era da considerarsi insufficiente. Pacifico infatti è, in tema di notificazioni, il princ secondo cui costituisce dichiarazione o elezione di domicilio insufficiente quella che rechi l’indicazione della strada, ma non del numero civico dell’abitazione con la conseguenza che, anche in tal caso, la notificazione va effettuata mediante consegna al difensore (tra le tante: Sez. 1, n. 45274 del 10/10/2013, Rv. 257897 01).
Il secondo ed il terzo motivo – che, at:tesa l’intima connessione dei profili di doglianza mossi, meritano congiunto esame- sono complessivamente infondati.
Ed invero, risulta pacificamente dagli atti, anche da quelli allegati dalla difesa a sostegno del dedotto vizio di motivazione, che il reato per cui il COGNOME è stato condannato è quello relativo all’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali per non aver versato dette ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti nel corso dell’anno 2016 per un importo superiore al limite di legge fissato, successivamente al d. lgs. 8 del 2016, entrato in vigore il 6.02.2016, in 10.000 euro annui.
Ciò che rileva, dunque, è che il ricorrente abbia ricevuto la contestazione delle ritenute omesse per come indicate nelll’imputazione, ossia, come emerge dall’accertamento della violazione RAGIONE_SOCIALE (prot. NUMERO_DOCUMENTO.NUMERO_DOCUMENTO/03/NUMERO_DOCUMENTO), per il periodo 2016/3 (pari ad un importo di euro 25.913,22) e per il periodo 2016/4 (pari ad un importo di euro 24.082,64), la cui sommatoria è indicata puntualmente nell’imputazione, a nulla rilevando l’errore rilevato dalla sentenza d’appello che correttamente evidenzia come la contestazione facesse riferimento non al bimestre marzo/aprile 2016 (periodo in relazione al quale, dunque, il PM non avrebbe potuto fare alcuna produzione del DM110), ma al terzo e quarto trimestre 2016 (per il quale sono stati prodotti i DM/10).
Perché si abbia vizio di correlazione tra accusa e sentenza è necessario che il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto incompatibilità ed eterogeneità, verificandosi un vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa, a fronte dei quali l’imputato è impossibilitato a difendersi (tra le tante: Sez. 1, n. 28877 del 04/06/2013, Rv. 256785 – 01).
Nel caso di specie, l’imputato ha approntato le sue difese rispetto a quanto contestato nell’imputazione, ossia nell’aver omesso di versare le ritenute di importo corrispondente per l’anno 2016, il cui ammontare è stato esattamente determinato nell’imputazione.
A ciò si aggiunga che, per effetto della novella legislativa del 2016, il reato previsto dall’art. 2, comma primo bis, D.L. 12 settembre 1983 n. 463, conv. in I. 11 novembre 1983, n. 638, di omesso versamento delle ritenute di importo superiore ai 10.000 euro, operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ha una struttura unitaria e la condotta può configurarsi anche attraverso una pluralità di omissioni, compiute nel periodo annuale di riferimento, che possono di per sé anche non costituire reato; ne consegue che la consumazione del delitto può essere istantanea o di durata e, in quest’ultimo caso, ad effetto prolungato sino al termine dell’anno in contestazione (Sez. 3, n. 35589 del 11/05/2016, Rv. 268115 – 01).
Ne consegue, pertanto, che essendo stata raggiunta la prova della reità dell’imputato per i predetti periodi sulla base della contestazione mossa, di cui egli era perfettamente a conoscenza avendo ricevuto la relativa notifica, la dedotta violazione processuale è del tutto insussistente.
4. Il quarto motivo è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
È generico per aspecificità non confrontandosi con la motivazione della sentenza impugnata, e con quella di merito che formano un unicum argomentativo sul punto (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595), le quali hanno chiarito che la contestazione dell’avviso di accertamento era avvenuta mediante notifica
all’indirizzo della RAGIONE_SOCIALE, con sede legale in INDIRIZZO, presso cui era stata notificata al COGNOME, quale legale rappresentante, la diffida ad adempiere per le omissioni di cui al procedimento sub iudice.
Le censure difensive, pertanto, non hanno pregio essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la comunicazione della contestazione dell’accertamento della violazione non necessita di formalità particolari, potendo essere effettuata, indifferentemente, mediante un verbale di contestazione o una lettera raccomandata ovvero ancora per mezzo di una notificazione giudiziaria e ad opera sia di funzionari dell’istituto previdenziale sia di ufficiali di polizia giudiziaria 3, n. 2859 del 17/10/2013, dep. 2014, Rv. 258373 – 01 che, nella fattispecie, ha affermato che devono ritenersi idonee le notificazioni ricevute con firma illeggibile e senza indicazione della qualità del ricevente, purché correttamente indirizzate al destinatario, che, nel caso di persona giuridica, è da individuarsi nella sede legale dell’ente o presso la residenza o il domicilio del suo legale rappresentante).
5. Quanto, poi, alla questione della rilevanza dello stato di illiquidità aziendale, il tema è stato parimenti affrontato a pag. 6 della sentenza impugnata, che, correttamente, ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retr buzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (tra le tante: Sez. 3, n. 43811 del 10/04/2017, Rv. 271189 – 01).
Trattasi di principio a più riprese riaffermato da questa Corte che, anche di recente, ha ribadito che, con riferimento al reato di omesso versamento delle relative ritenute previdenziali ed assistenziali, lo stato di insolvenza non libera i sostituto, dovendo questi adempiere al proprio obbligo di corrispondere le ritenute all’RAGIONE_SOCIALE, così come adempie a quello di pagare le retribuzioni di cui le ritenute stesse sono parte (Sez. 4, n. 48539 del 6/12/2023, n.nn.).
Con riferimento, infine, alla questione relativa al pagamento delle retribuzioni, su cui la difesa insiste in ricorso, i giudici territoriali, sempre a pag. 6 de
sentenza impugnata, forniscono una motivazione del tutto immune da vizi, osservando che se è ben vero che, ai fini dell’integrazione del reato previsto dall’art. 2, comma 1-bis, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638, è necessaria la prova del materiale esborso della retribuzione, anche sotto forma di compensi in nero, è altrettanto vero però che è legittimo desumere, in assenza di elementi di segno contrario, la prova della effettiva corresponsione della retribuzione ai lavoratori dalla presentazione dei modelli DM-10 da parte del datore di lavoro (tra le tante: Sez. 3, n. 6934 del 23/11/2017, dep. 2018, Rv. 272120 – 01).
Nel caso di specie, nella documentazione fornita dall’RAGIONE_SOCIALE è riportata la tabella delle retribuzioni che risultano essere state corrisposte ai dipendenti ed il numero degli addetti. L’argomentazione, a tal fine, sviluppata dalla Corte territoriale, non merita censura. Ed invero, evidenziano i giudici che sul piano logico appare del tutto improbabile che per un lasso di tempo così lungo, come quello durante il quale sarebbe stato asseritamente omesso il versamento delle retribuzioni, i lavoratori della società amministrata dall’imputato, privi del reddito per l propria sussistenza, siano rimasti al lavoro, senza aprire alcuna vertenza con lo stesso o reclamare il pagamento degli emolumenti loro dovuti. Né rileva quanto sostenuto dalla difesa, che ha sostenuto già davanti ai giudici di appello di aver offerto prova contraria con riferimento al “bimestre marzo/aprile”, essendosi chiarito che il periodo oggetto di contestazione era quello relativo al terzo e quarto trimestre 2016, in relazione al quale le omissioni contributive sono state accertate sulla base dei modelli DM/10 e quindi delle denunce inviate aVRAGIONE_SOCIALE in cui erano stati indicati tutti gli aspetti retributivi e contributivi della manodopera assunta quel momento dalla stessa società amministrata dall’imputato.
7. Il quinto ed ultimo motivo è inammissibile.
Ed invero, va innanzitutto premesso che la condanna inflitta all’imputato non riguarda un periodo diverso da quello contestato, per le ragioni già esplicitate in precedenza nell’esaminare il terzo ed il quarto motivo, né ha riguardato periodi “in aggiunta”, attesa l’unitarietà del reato derivata dalla novella operata con il D.Igs. n. 8/2016, rilevando, infatti, oggi, per la punibilità dell’illecito la circost che nell’arco temporale annuale di riferimento sia superata la soglia dei 10.000 euro stabilita dalla legge. È stato infatti già più volte affermato da questa Corte che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, previsto dall’art. 2, comma 1-bis, D.L. n. 463 del 1983, (modificato dall’art. 3, comma sesto, del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, che ha introdotto la soglia di punibilità di
euro 10.000 annui), si configura come una fattispecie connotata da una progressione criminosa nel cui ambito, superato il limite di legge, le ulteriori omissioni consumate nel corso del medesimo anno si atteggiano a momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata, la cui definitiva cessazione coincide con la scadenza del termine previsto per il versamento dell’ultima mensilità, ovvero, con la data del 16 gennaio dell’anno successivo (Sez. 3, n. 649 del 20/10/2016, dep. 09/01/2017, Rv. 268813 – 01 che, in motivazione, ha precisato che al fine di determinare il superamento o meno del limite di legge di 10.000 euro, occorre considerare tutte le omissioni verificatesi nel medesimo anno, anche quelle eventualmente estinte per prescrizione, dovendosi prescindere dalla declaratoria di prescrizione effettuata per i primi mesi dell’anno).
Ciò giustifica, dunque, l’assoluta corretl:ezza nella determinazione del trattamento sanzionatorio, atteso che, come risulta palese dalla stessa determinazione della pena operata dal primo giudice, la pena base è stata determinata in un anno e mesi 6 di reclusione ed euro 600 di multa, ridotta per effetto delle circostanze attenuanti generiche a un anno di reclusione e 400 euro di multa, senza dunque operare alcun aumento a titolo di continuazione, tenuto conto dell’unitarietà dell’illecito.
Né, peraltro, può ritenersi illegittimo il trattamento sanzionatorio inflitt per asserita violazione dell’art. 133, c.p., tenuto conto che non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Rv. 276288 – 01), situazione del tutto rispettata nel caso di specie. Il primo giudice ha infatti applicato una pena base che, diversamente da quanto affermato dalla stessa Corte, è inferiore alla media edittale dell’ipotesi di reato che punisce il fatto con la pena della reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. La media edittale non deve essere calcolata dimezzando il massimo edittale previsto per il reato applicato, bensì dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale (la forbice edittale) ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo. Nel caso di specie, il minimo della pena detentiva è di gg. 15 di reclusione (art. 23, comma primo, cod. pen.) essendo prevista dall’art. 2 di. 463 del 1983 la pena fino a tre anni di reclusione, senza indicazione del minimo, sicché la forbice edittale è di due anni, 11 mesi e gg. 15 di reclusione, ossia 1075 gg.; la metà, pari (per difetto) a 537 gg., deve essere aggiunta al minimo edittale di gg. 15 di reclusione, ottenendo il risultato di 552 gg., pari ad un anno, sei mesi e giorni
sette di reclusione, pena superiore alla pena base applicata che risulta infatti di sette giorni inferiore rispetto al c.d. medio edittale.
Deve, infine, aggiungersi, in considerazione di quanto eccepito in sede di conclusioni difensive, che non è maturata ancora la prescrizione del reato.
Come già chiarito da questa Corte (Sez. 3, n. 37232 del 11/05/2016, COGNOME, Rv. 268308; Sez. 3, n. 649 del 20/10/2016, dep. 2017, Messina, Rv. 268813 – 01) ricorre nel caso in esame, alla stessa stregua di altre figure criminose (come, ad esempio, le fattispecie di corruzione o di usura: cfr. rispettivamente, per la prima, Sez. 6, n. 49226 del 25/09/2014, COGNOME, Rv.261352; per la seconda, da ultimo, Sez. 2, n. 40380 del 11/06/2015, COGNOME.G., COGNOME in proc. Cardamone, Rv.264887), una fattispecie caratterizzata dalla progressione criminosa nel cui ambito, una volta superato il limite di legge, le ulteriori omissioni nel corso del medesimo anno si atteggiano a momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata la cui definitiva cessazione viene a coincidere con la scadenza prevista dalla legge per il versamento dell’ultima mensilità, ovvero, come è noto, con il termine del 16 del mese di gennaio dell’anno successivo. Riferendosi le omissioni al 3° e 4° trimestre del 2016, pertanto, il termine di prescrizione decorre dal 16 gennaio 2017, donde non sono ancora decorsi alla data odierna i sette anni e sei mesi richiesti per l’intervenuta maturazione del termine clh prescrizione.
Il ricorso deve conclusivamente essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processua li.
Così deciso, il 9 gennaio 2024
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Il Presidente