Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 24420 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 24420 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME COGNOME nato a Lipari il 06/09/1951
avverso la sentenza emessa il 11/11/2024 dalla Corte d’Appello di Messina visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 11/11/2024, la Corte d’Appello di Messina ha parzialmente riformato – mitigando il trattamento sanzionatorio, applicando la sospensione condizionale della pena, e confermando nel resto – la sentenza di condanna alla pena di giustizia emessa dal Tribunale di Messina, in data 28/11/2023, nei confronti di COGNOME nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE in relazione al reato continuato di omesso versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti
nei periodi marzo-novembre 2017 (Euro 18.390,32) e dicembre 2017 – novembre 2018 (Euro 37.817,34).
Ricorre per cassazione il TARANTO, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Nullità della sentenza per l’incompetenza del Tribunale di Messina, ternpestivamente eccepita anche in grado di appello. Si censura la motivazione della sentenza essendo da un lato emerso, nel coro del giudizio, che la sede INPS di Milazzo aveva una propria direzione dotata di cassa, perciò abilitata a ricevere gli importi relativi ai modelli D10. D’altro lato, con riferimento agli omess versamenti relativi alla matricola di Catania, si evidenzia che la posizione assicurativa era stata aperta presso la sede di quella città, dovendosi perciò ivi provvedere al versamento del dovuto.
2.2. Nullità della sentenza per la violazione del principio dell’oltre ogni raaionevole dubbio. Si censura la sentenza per il mancato scorporo degli importi relativi alla matricola di Catania, che avrebbe determinato il mancato raggiungimento della soglia di punibilità. Si lamenta inoltre la mancata considerazione degli importi versati, anche quanto alla conseguente proroga dei termini.
2.3. Nullità della sentenza per la mancata considerazione di quanto dedotto in appello in ordine alla mancata notifica delle notifiche propedeutiche all’esercizio dell’azione penale, e al fatto che il TARANTO, ormai cessato dalla carica societaria, non avrebbe più potuto adempiere nei termini.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. Si censura la mancata considerazione del parziale versamento e dell’esiguità del danno.
2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego delle attenuanti generiche. Si censura il carattere telegrafico della motivazione, che non aveva tenuto conto dell’incensuratezza del TARANTO e dei cospicui versamenti con cui aveva ridotto l’esposizione debitoria.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, per la manifesta infondatezza delle censure prospettate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Va anzitutto evidenziato il carattere reiterativo della questione di competenza territoriale, correttamente risolto dai giudici di merito nel senso dell’infondatezza della questione in base, da un lato, al luogo (Messina) in cui
andava riscossa la massima parte dei versamenti contributivi, dal momento che in quella città era stata aperta la principale posizione assicurativa della società, all’epoca amministrata dal ricorrente; d’altro lato, sulla scorta della normativa in tema di gestione unitaria delle vicende patologiche del rapporto, tale da far rilevare – ma solo per questo particolare aspetto delle omissioni, relative alla posizione aperta a Catania – che la sede legale fosse stata fissata nella provincia di Messina (in particolare, a Milazzo: cfr. pag. 4-5 della sentenza di primo grado, pag. 4 della sentenza impugnata).
3. Per ciò che riguarda gli ulteriori rilievi, è necessario far riferimento a consolidato indirizzo interpretativo elaborato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della vale probatoria del singolo elemento» (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01). Altrettanto consolidata, d’altro lato, è l’affermazione per cui «ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. ‘dop conforme’ quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con l conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale» (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01; nello stesso senso, tra le altre, cfr. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, i rilievi difensivi non superano lo scrutinio di ammissibilità, risolvendosi in censure del merito delle valutazioni espresse dalla Corte territoriale (in piena sintonia con il primo giudice) in ordine alle risultanze acquisite, e nella reiterata prospettazione di una diversa e più favorevole lettura delle risultanze medesime il cui apprezzamento, in questa sede, deve evidentemente ritenersi precluso.
3.1. Quanto alla questione della sussistenza del reato e alla ritualità delle comunicazioni, la difesa ha svolto censure del tutto generiche, a fronte di una “doppia conforme” che, per un verso, ha ritenuto provata la responsabilità del
COGNOME sulla scorta della documentazione acquisita e della dettagliata ricostruzione dell’operante, e – per altro verso – ha escluso che il compimento della giacenza della seconda raccomandata potesse costituire elemento indicativo dell’ignoranza di quanto comunicato in ordine agli avvisi e alla facoltà di regolarizzazione (cfr. in particolare pag. 3 seg. e pag. 6 della sentenza di primo grado, in cui si sottolinea la regolare ricezione della prima raccomandata, il mantenimento fino all’attualità dell’indirizzo utilizzato dal TARANTO, nonché l’insussistenza di deduzioni idonee a comprovare che il mancato ritiro della raccomandata, relativa al 2018, fosse dipeso da cause diverse dal difetto di un’ordinaria diligenza).
3.2. Connotazioni reiterative, e comunque manifestamente infondate, presenta anche la censura imperniata sull’avvenuta cessazione del TARANTO dalla carica amministrativa.
Invero, le valutazioni dei giudici di merito risultano del tutto in linea con g insegnamenti di questa Suprema Corte, secondo cui «in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, tenuto ad adempiere alla diffida inviata ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, conv. dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, è colui che era obbligato al versamento ai momento dell’insorgenza del debito contributivo, anche se medio tempore abbia perduto la rappresentanza o la titolarità dell’impresa, in quanto il predetto adempimento costituisce una causa personale di esclusione della punibilità, sicché vi è tenuto soltanto l’autore del reato» (Sez. 3, n. 17695 del 11/01/2019, Vallebona, Rv. 275448 – 01).
3.3. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi quanto alle censure relative alla mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. Si è dinanzi ad una duplice valutazione di merito, in questa sede incensurabile, che ha fatto leva sulla consistente entità dei versamenti omessi, sulla protrazione della condotta nell’arco di due annualità, nonché sul marcato superamento della soglia di punibilità (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata e pag. 9 di quella di primo grado, in cui si evidenzia altresì, in senso ostativo, la presenta di due precedenti, di cui uno recente).
3.4. Per ciò che riguarda, infine, la mancata concessione delle attenuanti generiche, deve osservarsi che la sintetica motivazione della Corte territoriale (che comunque ha valorizzato l’ampiezza dell’arco temporale interessato dalle condotte omissive) ha fatto seguito ad un motivo di appello connotato da genericità, che neppure aveva valorizzato i parziali versamenti nella prospettiva di un’applicazione dell’art. 62-bis cod. pen.
4. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria d inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle sp
processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa del
Ammende.
Così deciso il 29 aprile 2025
Il Consiglielle egtensore
Il Presiiente