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Omessa trasmissione atti: la misura cautelare resiste

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’omessa trasmissione atti al Tribunale del Riesame non comporta automaticamente l’inefficacia della custodia cautelare. Se gli atti mancanti non sono decisivi per la decisione, la misura resta valida. Nel caso specifico, un indagato per spaccio di droga si è visto rigettare il ricorso poiché gli elementi non trasmessi erano irrilevanti ai fini della valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari poste a fondamento del provvedimento.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Omessa trasmissione atti: la misura cautelare resiste

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35536 del 2024, affronta un tema cruciale della procedura penale: le conseguenze derivanti dalla omessa trasmissione atti al Tribunale del Riesame. La pronuncia chiarisce che tale mancanza non determina automaticamente l’inefficacia della misura cautelare, introducendo il fondamentale criterio della ‘prova di resistenza’. Questo principio stabilisce che la misura resta valida se gli elementi non trasmessi sono ritenuti irrilevanti ai fini della decisione.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da un’ordinanza del GIP del Tribunale di Ravenna, che applicava la custodia cautelare in carcere a un individuo gravemente indiziato per numerosi episodi di spaccio di cocaina e hashish, commessi in un arco temporale esteso dal 2008 al 2023. L’indagato proponeva istanza di riesame al Tribunale della Libertà di Bologna, che confermava la misura restrittiva. Contro questa decisione, la difesa presentava ricorso per Cassazione, lamentando principalmente una violazione procedurale.

Il Ricorso per Cassazione e l’Omessa Trasmissione Atti

Il motivo centrale del ricorso si basava sulla violazione dell’articolo 309, comma 5, del codice di procedura penale. La difesa sosteneva che non erano stati trasmessi al Tribunale del Riesame alcuni atti di indagine, in particolare il verbale delle sommarie informazioni rese da un testimone, menzionato in una relazione conclusiva della Guardia di Finanza. Secondo la tesi difensiva, questa omessa trasmissione atti avrebbe dovuto comportare la perdita di efficacia della misura cautelare.

Inoltre, il ricorrente contestava la decisione del Tribunale di non qualificare i fatti come ‘piccolo spaccio’ (art. 73, comma 5, d.p.r. 309/90), ritenendo l’attività circoscritta e personale, e criticava la genericità delle dichiarazioni degli acquirenti.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato.

Sul punto principale, quello relativo all’omessa trasmissione atti, i giudici hanno ribadito un principio consolidato in giurisprudenza. L’omissione non comporta di per sé l’inefficacia della misura cautelare. Affinché si verifichi tale conseguenza, è necessario che la difesa indichi specificamente quali dati decisivi siano stati sottratti al controllo del giudice del riesame.

In altre parole, la misura cautelare ‘cade’ solo se, all’esito della cosiddetta ‘prova di resistenza’, si accerta che gli elementi non trasmessi erano fondamentali e che, senza di essi, la decisione non avrebbe potuto essere la stessa. Nel caso di specie, le dichiarazioni non trasmesse erano state menzionate dall’accusa solo per suffragare il rischio di inquinamento probatorio, un’esigenza cautelare che il GIP non aveva nemmeno posto a fondamento della sua decisione, basata invece sul pericolo di reiterazione del reato (art. 274, lett. c, c.p.p.). Pertanto, la loro assenza era del tutto irrilevante.

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Corte ha ritenuto corretta la valutazione del Tribunale del Riesame, che aveva escluso l’ipotesi del ‘piccolo spaccio’ in ragione delle modalità delle azioni criminose e della loro reiterazione nel tempo, elementi incompatibili con una condotta di lieve entità.

Conclusioni

La sentenza in esame offre un’importante lezione pratica: una violazione procedurale, come l’omessa trasmissione atti, non è un grimaldello per scardinare automaticamente una misura cautelare. La difesa ha l’onere di dimostrare non solo l’esistenza dell’omissione, ma soprattutto la sua decisività. La ‘prova di resistenza’ si conferma uno strumento essenziale per garantire che le decisioni sulla libertà personale si fondino su elementi concreti e rilevanti, evitando che cavilli procedurali privi di sostanza possano vanificare le esigenze di giustizia.

La mancata trasmissione di alcuni atti al Tribunale del Riesame comporta sempre l’inefficacia della misura cautelare?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’omessa trasmissione non comporta l’inefficacia della misura se non è specificamente indicato quali dati decisivi siano stati sottratti al controllo del tribunale e se, all’esito della ‘prova di resistenza’, gli elementi non trasmessi risultano irrilevanti ai fini della decisione cautelare.

Cos’è la ‘prova di resistenza’ in materia di misure cautelari?
È un criterio logico-giuridico con cui il giudice valuta se il provvedimento restrittivo manterrebbe la sua validità e fondatezza anche senza considerare gli atti o le prove la cui acquisizione o trasmissione è contestata. Se la decisione ‘resiste’, la misura cautelare rimane efficace.

Quando si può escludere la qualificazione di ‘piccolo spaccio’ (art. 73, comma 5, d.p.r. 309/1990)?
La qualificazione di ‘piccolo spaccio’ può essere esclusa quando le modalità delle azioni criminose, la loro sistematicità e la protrazione nel tempo indicano un’attività non occasionale o di lieve entità, anche se svolta personalmente e in un ambito territoriale circoscritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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