Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20380 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20380 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 03/10/1984
avverso la sentenza del 16/12/2024 del TRIBUNALE di GENOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla confisca del telefono cellulare, con rinvio per nuovo esame al
Tribunale di Genova
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Il 16 dicembre 2024 il Tribunale di Genova, di fronte al quale NOME COGNOME era stato presentato per la convalida dell’arresto e il contestuale giudizio direttissimo ex art. 558 cod. proc. pen., ritenuta corretta la qualificazione giuridica dei fatti prospettata dalle parti quale violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, ha applicato all’imputato, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva contestata, la pena di anni uno di reclusione ed C 1.400,00 di multa. Con la sentenza, pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., il giudice ha disposto: «la confisca e la distruzione dello stupefacente» in sequestro e «la restituzione del denaro» rivenuto nella disponibilità dell’imputato al momento dell’arresto.
Il difensore di fiducia dell’imputato ha proposto tempestivo ricorso contro questa sentenza deducendo vizio di motivazione in ordine alla mancata restituzione di un telefono cellulare.
Il difensore si duole che la sentenza impugnata non abbia disposto sulla sorte di un apparecchio telefonico che fu rinvenuto nella disponibilità dell’imputato al momento dell’arresto e sequestrato dalla PG operante. Osserva che all’imputato è stata ascritta la detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente sicché il cellulare non può essere considerato quale corpo del reato e non v’è prova fosse provento di delitto. Sottolinea che, in assenza di un nesso strumentale tra la disponibilità del bene e il fatto di reato, la confisca non può essere disposta e osserva che la sentenza impugnata non ha spiegato le ragioni della mancata restituzione.
Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte e ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla confisca del telefono cellulare, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Genova.
Il motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
Il ricorrente si duole che nella sentenza impugnata sia stata omessa la restituzione di un cellulare, equipara tale omessa restituzione a una confisca e lamenta che l’applicazione di questa misura di sicurezza non sia stata motivata. Invoca a tal fine il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, anche con la sentenza di patteggiamento, il giudice che disponga la confisca facoltativa delle cose sequestrate deve motivare sulla circostanza che la libera disponibilità del bene possa costituire un incentivo alla reiterazione della
condotta criminosa e la sua valutazione si sottrae al sindacato di legittimità soltanto se correttamente e logicamente motivata. Tale principio è stato affermato anche in un caso nel quale, contestualmente all’applicazione della pena, era stata disposta la confisca del telefono cellulare dell’imputato senza che il giudice avesse motivato sul punto (Sez. 4, n. 41560 del 26/10/2010, COGNOME, Rv. 248454). Si tratta, peraltro, di un principio che opera in ogni caso nel quale, applicando una pena su richiesta delle parti, il giudice, disponga d’ufficio una confisca sulla quale non vi sia stato un accordo ai sensi dell’art. 444, comma 1, come modificato la d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150. Il giudice, infatti, è tenuto a motivare sulle ragioni per cui ritiene di dover disporre la confisca di specifici beni sottoposti a sequestro, ovvero, in subordine, sulle ragioni per cui «non ritiene attendibili le giustificazioni eventualmente addotte in ordine alla provenienza del denaro o dei beni confiscati» (Sez. 6, n. 17266 del 16/04/2010, COGNOME Rv. 247085; Sez. 2, n. 6618 del 21/01/2014, COGNOME, Rv. 258275). Ed invero, come di recente è stato ribadito, anche se dispone la confisca ai sensi dell’art. 240, comma 1, cod. pen. di un bene utilizzato per commettere un reato, il giudice non può limitarsi a motivare questo provvedimento «con la sola indicazione della finalità di prevenire la commissione di altri reati, ma è tenuto ad argomentare, in concreto, la ritenuta sussistenza del nesso di strumentalità fra il bene ablato e il reato commesso, valutando sia il ruolo effettivamente rivestito dal primo nel compimento dell’illecito, sia le modalità di realizzazione dello stesso» (Sez. 3, n. 33432 del 03/07/2023, COGNOME, Rv. 285062; Sez. 3, n. 30133 del 05/04/2017, S., Rv. 270324).
6. Fatta questa doverosa premessa – e ribadita la validità dei principi di diritto invocati dalla difesa – si deve rilevare che, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, nel caso oggetto del presente ricorso questi principi non trovano applicazione. La sentenza impugnata, infatti, non ha disposto la confisca della quale il ricorrente si duole, ma soltanto la confisca e distruzione dello stupefacente in sequestro. Il ricorrente lamenta, pertanto, la mancanza della motivazione di un provvedimento di confisca che il Tribunale non risulta aver mai adottato.
A tale assorbente considerazione si deve aggiungere che il ricorso non è neppure autosufficiente perché ad esso non è allegata documentazione attestante che NOME abbia effettivamente subito il sequestro di un cellulare. Non è ‘noto, inoltre, se tale sequestro, ove eseguito dalla PG, sia stato convalidato e neppure se, nel corso del giudizio, la richiesta di restituzione del cellulare sia stata avanzata e respinta. Ove il sequestro del cellulare fosse stato disposto, peraltro, nulla essendo statuito al riguardo nella sentenza impugnata, l’odierno ricorrente potrebbe chiedere al giudice dell’esecuzione la restituzione del bene.
7. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte
costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616
cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di
inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 13 marzo 2025
Il Consiglier
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stensore
Il Pr;ésidente