Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 6391 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 6391 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME FORMIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/02/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME,
che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN IFATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 20 febbraio 2023 dalla Corte di appello di Roma, che – per quanto qui di interesse – ha confermato la sentenza del Tribunale di Cassino, che aveva condanNOME COGNOME NOME per il reato di lesioni personali, aggravato dall’avere commesso il fatto con l’uso di strumenti atti a offendere, commesso in danno di COGNOME NOME (con la medesima sentenza
quest’ultimo è stato condanNOME, sempre per il reato di cui all’art. 582 cod. pen., commesso in danno del De Meo).
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, il COGNOME e il COGNOME avrebbero litigato a seguito di presunti sconfinamenti che il gregge condotto da quest’ultimo avrebbe fatto nella proprietà del primo. La lite sarebbe degenerata in una reciproca aggressione fisica, a seguito della quale entrambi i litiganti avrebbero riportato lesioni personali.
Avverso la sentenza della Corte di appello, il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di motivazione.
Sostiene che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe inadeguata e insufficiente, fondandosi «esclusivamente sulle dichiarazioni degli imputatipersone offese», che sarebbero «tutt’altro che concordanti».
Il COGNOME, in particolare, sarebbe caduto in contraddizione, avendo, in un primo momento, escluso che gli animali di sua proprietà fossero entrati nella proprietà dell’imputato, per, poi, invece ammettere che due capre del suo gregge si erano «intrufolate» nell’altrui fondo. Lo stesso giudice di primo grado avrebbe ritenuto non verosimile una parte della ricostruzione dei fatti riferita dal COGNOME.
La Corte di appello, inoltre, non avrebbe adeguatamente motivato sui motivi di gravame.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 52, 582 e 585 cod. pen e 192 cod. proc. pen.
Con una prima censura, sostiene che la Corte di appello avrebbe violato l’art. 192 cod. proc. pen., riconoscendo pieno valore probatorio alle dichiarazioni del COGNOME, in assenza di riscontri estrinseci.
Con una seconda censura, sostiene che la Corte di appello non avrebbe sufficientemente motivato in ordine alle prove a discarico.
Con una terza censura, sostiene che la Corte di appello avrebbe dovuto riconoscere la scriminante della legittima difesa, avendo l’imputato commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendersi dall’offesa ingiusta arrecata dal COGNOME.
2.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 131-bis, 163 e :164 cod. pen.
Sostiene che la Corte di appello non si sarebbe pronunciata sul motivo di appello con il quale la difesa aveva lamentato il mancato ric:onoscimento della particolare tenuità del fatto.
Contesta, inoltre, la pena applicata, sostenendo che sarebbe sproporzionata rispetto all’effettivo disvalore dei fatti, nonché il mancato riconoscimento dei
benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
AVV_NOTAIO, per il ricorrente, ha depositato memoria scritta con la quale ha chiesto di annullare la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, limitatamente al terzo motivo.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Con esso, invero, il ricorrente ha articolato alcune generiche censure – relative alla valutazione delle risultanze istruttorie e, in particolare, delle dichiarazioni rese dalla persona offesa -, che, pur essendo state da lui riferite alla categoria del vizio di motivazione, non evidenziano alcuna effettiva violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere una non consentita rivalutazione delle fonti probatorie e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di appello (cfr. Sez. U, r. 6402 del 30/04;1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, COGNOME).
Quanto alla censura con la quale il ricorrente sostiene che la Corte di appello non avrebbe adeguatamente risposto ai motivi di gravame, va rilevato che essa si presenta del tutto generica, non avendo il ricorrente indicato a quali specifiche questioni poste con il gravame la Corte territoriale non avrebbe risposto.
1.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Va premesso che, nel caso in esame, atteso che il COGNOME e il COGNOME avevano commesso (nello stesso contesto di spazio e di tempo) i reati in danno reciproco l’uno dell’altro, trovava applicazione la regola di valutazione della prova prevista dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.
Tanto premesso, va rilevato che la prima censura è manifestamente infondata, atteso che i giudici di merito hanno fondato la decisione anche sulla documentazione medica che riscontrava le dichiarazioni del COGNOME.
La seconda censura è del tutto generica, non avendo il ricorrente neppure indicato quali sarebbero le specifiche prove a discarico che non sarebbero state di adeguatamente valutate dalla Corte di appello.
La terza censura è priva di specificità estrinseca, perché meramente reiterativa di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagina 3 della sentenza impugnata), con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
La Corte di appello, in particolare, ha evidenziato che: non risultava affatto dimostrato che fosse stato il COGNOME ad agire per primo e che il COGNOME avesse agito solo perché costretto a difendersi dalla altrui aggressione; mancava il requisito “dell’inevitabilità altrimenti”, non essendo emerso che l’imputato non avesse altra alternativa per sottrarsi all’imminente pericolo.
1.3. Il terzo motivo è fondato.
La difesa aveva articolato uno specifico motivo in ordine al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, soffermandosi sulle ragioni che avrebbero dovuto indurre i giudici di merito ad applicare l’art. 131-bis cod. pen.
Ebbene, la Corte territoriale ha omesso completamente di rispondere a tale motivo di gravame, sebbene avesse fatto specifico riferimento a esso nel riassumere l’atto di appello. Al riguardo, va ricordato che «sussiste il vizio di mancanza di motivazione, ex art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., quando le argomentazioni addotte dal giudice a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività» (Sez. 5, Sentenza n. 2916 del 13/12/2013, COGNOME, Rv. 257967).
La sentenza, pertanto, deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, per valutare l’evenl:uale particolare tenuità del fatto.
Le restanti censure mosse con il terzo motivo – essendo relative al trattamento sanzioNOMErio, alla sospensione condizionale della pena e alla non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale – risultano assorbite.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Così deciso, il 17 novembre 2023.