Omessa Dichiarazione Vincite e Reddito di Cittadinanza: La Decisione della Cassazione
L’obbligo di trasparenza nei confronti dello Stato è un pilastro fondamentale per l’accesso ai benefici sociali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza questo principio, affrontando un caso di omessa dichiarazione vincite da parte di un percettore del reddito di cittadinanza. La decisione sottolinea come la disponibilità di ingenti somme di denaro, anche se successivamente reinvestite, sia di per sé incompatibile con il beneficio, e come la consapevolezza di tali entrate integri la volontà di commettere il reato.
I Fatti del Caso
Il caso ha origine dal ricorso di un cittadino condannato nei primi due gradi di giudizio per non aver dichiarato allo Stato vincite significative ottenute in due anni consecutivi. Nello specifico, l’imputato aveva omesso di comunicare somme pari a 206.053,53 euro per il 2017 e 138.437,54 euro per il 2018. L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, sostenendo la mancanza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero l’intenzione di violare la legge.
L’Analisi della Corte sulla Omessa Dichiarazione Vincite
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo una mera riproposizione di censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno confermato la correttezza della motivazione della sentenza impugnata, la quale era priva di vizi logici. La difesa dell’imputato, incentrata sull’assenza di dolo, è stata ritenuta infondata. Secondo la Corte, la notevole entità delle somme vinte rendeva l’imputato pienamente consapevole della loro incidenza sulla sua posizione economica e, di conseguenza, della violazione del precetto penale.
Le Motivazioni della Decisione
Il cuore della motivazione risiede nella natura stessa del beneficio del reddito di cittadinanza. La legge stabilisce soglie patrimoniali e di reddito precise, il cui superamento esclude la possibilità di accedere o continuare a percepire il sussidio. La Corte ha chiarito che la semplice disponibilità di denaro, superiore alla soglia prevista, impedisce di godere del beneficio. È quindi irrilevante che l’imputato abbia reinvestito tali somme. L’omessa dichiarazione vincite ha impedito all’ente erogatore di verificare la permanenza dei requisiti.
La condotta dell’imputato è stata considerata deliberatamente omissiva. La consapevolezza di aver vinto oltre 340.000 euro in due anni è stata ritenuta sufficiente per provare l’intenzione di occultare tale disponibilità economica per continuare a percepire indebitamente il beneficio. Sulla base di questi elementi e in applicazione dell’art. 616 del codice di procedura penale, stante l’inammissibilità del ricorso e l’assenza di prove di una mancanza di colpa nel proporlo, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro in favore della cassa delle ammende.
Conclusioni
Questa ordinanza consolida un principio cruciale: la responsabilità individuale nella gestione dei benefici sociali. La sentenza chiarisce che l’omessa dichiarazione vincite o di qualsiasi altra entrata rilevante non è una semplice dimenticanza, ma un comportamento che, in presenza di somme ingenti, viene interpretato come una scelta deliberata e penalmente rilevante. L’argomentazione del reinvestimento del denaro non costituisce una scusante valida. Per i cittadini, il messaggio è inequivocabile: la massima trasparenza è un dovere imprescindibile per chiunque richieda e percepisca aiuti statali.
Reinvestire le vincite esclude il reato di omessa dichiarazione per chi percepisce un beneficio statale?
No, secondo la Corte di Cassazione il reinvestimento delle somme è irrilevante. La sola disponibilità di denaro superiore alla soglia prevista dalla legge è sufficiente a rendere illegittima la percezione del beneficio.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria, in questo caso fissata in 3.000 euro, da versare alla cassa delle ammende, salvo che non si dimostri l’assenza di colpa nel proporre l’impugnazione.
Come viene provata l’intenzione nel reato di omessa dichiarazione di vincite?
La Corte ha stabilito che la piena consapevolezza della notevole entità delle somme vinte è sufficiente a dimostrare che l’omissione della dichiarazione è stata un atto deliberato e intenzionale, integrando così l’elemento soggettivo (il dolo) richiesto dal reato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11508 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11508 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a NAPOLI il 07/11/1982
avverso la sentenza del 03/06/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME che deduce il vizio motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, è inammissibile perché meramente riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla Corte di merito, la quale, con motivazione immune da profili illogicità manifesta – e quindi non censurabile in sede di legittimità – ha ribadito che l’impu proprio in quanto consapevole della notevole incidenza delle somme vinte, pari a 206.053,53 per il 2017 ed euro 138.437,54 per il 2018, ha deliberatamente omesso di dichiararle, così violando il precetto penale, a nulla rilevando il reinvestimento di tali somme, dal momento che la stessa disponibilità di denaro, superiore alla soglia prevista dalla legge, impedisce di god del beneficio del reddito di cittadinanza;
stante l’inammissibilità del ricorso e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisand assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €3.000,00 in favore della tossa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2025.