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Omessa dichiarazione: ricorso inammissibile in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per il reato di omessa dichiarazione. L’imputato contestava la valutazione del reddito, basata sullo “spesometro” e senza considerare i costi. La Corte ha stabilito che le censure erano di puro merito e una mera riproposizione di argomenti già valutati, confermando che l’accertamento era supportato anche da fatture e che il ricorso in Cassazione non può riesaminare i fatti.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Omessa Dichiarazione: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile?

La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 36779/2024 offre un’importante lezione sui limiti del ricorso in sede di legittimità in materia di reati tributari. Il caso riguarda un imprenditore condannato per omessa dichiarazione, il quale ha tentato di contestare la sentenza basandosi su critiche all’accertamento del reddito. La decisione della Suprema Corte ribadisce un principio fondamentale: la Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti.

I Fatti del Processo

Un imprenditore individuale veniva condannato in primo grado dal Tribunale di Asti e successivamente dalla Corte di Appello di Torino per il reato di omessa dichiarazione, previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 74/2000. La pena inflitta era di un anno e sei mesi di reclusione. La condanna si basava sull’accertamento di un reddito non dichiarato, che superava ampiamente la soglia di punibilità prevista dalla legge.

I Motivi del Ricorso e l’accusa di omessa dichiarazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, articolando la sua difesa su due punti principali:

1. Inattendibilità dello ‘Spesometro’: Secondo la difesa, l’accertamento del reddito era stato condotto basandosi esclusivamente sui dati dello ‘spesometro’, uno strumento che, a suo dire, avrebbe un valore puramente indiziario e presuntivo.
2. Mancata Considerazione dei Costi: Il ricorso lamentava che i giudici di merito avessero confuso il concetto di ‘ricavo’ con quello di ‘reddito’, omettendo di considerare i costi aziendali, elemento essenziale per determinare l’effettivo profitto e, di conseguenza, l’esistenza stessa del reato.

In sostanza, l’imputato chiedeva alla Corte di Cassazione di riesaminare le modalità con cui era stato calcolato il suo reddito imponibile.

La Decisione della Corte di Cassazione e le Motivazioni

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di tremila euro. Le motivazioni della decisione sono chiare e riaffermano principi consolidati della procedura penale.

Il Divieto di un Terzo Grado di Giudizio sul Merito

Il motivo principale dell’inammissibilità risiede nel fatto che il ricorso non sollevava questioni di legittimità (cioè errori nell’applicazione della legge), ma si limitava a riproporre le stesse censure già avanzate e respinte dalla Corte di Appello. Agendo in questo modo, l’imputato cercava di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove, un’attività preclusa alla Corte di Cassazione, che è giudice di legittimità e non di merito.

La Valutazione degli Elementi di Prova

La Corte ha sottolineato che la sentenza d’appello aveva fornito una motivazione logica e congrua. L’accertamento del reddito non si basava unicamente sui dati dello ‘spesometro’, ma questi erano stati corroborati da un elemento di riscontro decisivo: le fatture emesse dalla stessa ditta individuale del ricorrente. La combinazione di questi elementi rendeva l’accertamento solido e non manifestamente illogico. Inoltre, la Corte ha evidenziato come il superamento della soglia di punibilità fosse cospicuo, un fatto di cui l’imputato doveva essere consapevole, anche alla luce della documentazione sequestrata.

L’Irrilevanza della Censura sui Costi

Anche la doglianza relativa all’omessa valutazione dei costi è stata ritenuta inammissibile. La Corte ha qualificato questa censura come ‘di puro merito’, poiché implicava una riconsiderazione delle risultanze probatorie per determinare l’imponibile, un’operazione non consentita in sede di legittimità.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è un monito per chi intende adire la Corte di Cassazione in materia di reati tributari. Il ricorso è ammissibile solo se denuncia vizi di legge o difetti di motivazione gravi e palesi (come una motivazione totalmente assente o manifestamente illogica). Non è possibile utilizzare questo strumento per contestare l’apprezzamento dei fatti e delle prove compiuto dai giudici di primo e secondo grado. La decisione conferma che, nel caso di omessa dichiarazione, quando l’accertamento del reddito si fonda su dati incrociati e prove documentali come le fatture, è molto difficile scardinare la valutazione dei giudici di merito attraverso un ricorso basato su censure fattuali.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione del reddito basata sullo ‘spesometro’ per il reato di omessa dichiarazione?
No, non se la contestazione si limita a riproporre censure di puro merito già esaminate nei gradi precedenti. In questo caso, la Corte ha ritenuto la valutazione corretta perché i dati dello ‘spesometro’ erano supportati da elementi di riscontro oggettivi, come le fatture emesse dall’imputato.

La mancata considerazione dei costi di gestione può essere un valido motivo di ricorso in Cassazione?
Secondo questa ordinanza, la censura relativa all’omessa valutazione dei costi è una questione di puro merito e, come tale, non è consentita in sede di legittimità. Spetta ai giudici di primo e secondo grado valutare tali elementi.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione si limita a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in Appello?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile perché non solleva questioni di diritto ma cerca di ottenere una nuova valutazione delle prove, attività preclusa alla Corte di Cassazione. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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