Omessa Dichiarazione: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame offre importanti spunti sulla gestione dei ricorsi in materia di reati fiscali, in particolare per il delitto di omessa dichiarazione. Il caso riguarda un imprenditore individuale che, dopo la conferma della condanna in appello, ha tentato la via del ricorso per cassazione, vedendoselo però dichiarato inammissibile per una serie di vizi procedurali e di merito. Analizziamo la vicenda e le ragioni della Suprema Corte.
I Fatti del Caso: Anni di Omissioni Fiscali
All’imputato era stato contestato il reato di omessa dichiarazione per gli anni d’imposta dal 2011 al 2014. In qualità di titolare di una ditta individuale, aveva omesso di presentare le dovute dichiarazioni fiscali, superando le soglie di punibilità previste dalla legge. Il Tribunale di Verona, con rito abbreviato, lo aveva condannato in primo grado. Successivamente, la Corte d’Appello di Venezia aveva confermato integralmente la sentenza.
Contro questa decisione, l’imprenditore ha proposto ricorso per cassazione, articolando le sue difese su tre punti principali.
I Motivi del Ricorso: Prescrizione, Responsabilità e Pena Sospesa
La difesa dell’imputato si fondava su tre motivi distinti:
1. Estinzione del reato per prescrizione: Si sosteneva che il tempo trascorso dalla commissione del primo fatto illecito fosse sufficiente a estinguere il reato.
2. Violazione di legge sulla responsabilità penale: Si contestava la fondatezza della condanna, avanzando dubbi sulla base imponibile e sui costi sostenuti.
3. Mancata concessione della sospensione condizionale della pena: Si lamentava il diniego del beneficio che avrebbe evitato l’esecuzione della pena.
L’Analisi della Cassazione sul Ricorso per Omessa Dichiarazione
La Corte di Cassazione ha esaminato ciascun motivo, giungendo a una conclusione netta di inammissibilità per l’intero ricorso. Vediamo nel dettaglio le argomentazioni per ciascun punto.
Genericità del Motivo sulla Prescrizione
Il primo motivo è stato giudicato “generico e manifestamente infondato”. La difesa aveva calcolato un periodo di sospensione della prescrizione inferiore a quello correttamente individuato dai giudici di merito (325 giorni contro 565), senza fornire alcuna argomentazione a supporto di tale diverso calcolo. Inoltre, la Corte ha sottolineato che, anche seguendo il ragionamento della difesa, la sentenza d’appello era stata emessa prima della scadenza del termine di prescrizione, rendendo la questione irrilevante e precludendo di fatto l’esame nel merito.
Reiteratività delle Censure e Preclusioni del Rito Abbreviato
Il secondo gruppo di censure è stato considerato meramente reiterativo di argomentazioni già esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio. La Corte ha inoltre evidenziato un punto procedurale cruciale: la scelta del rito abbreviato preclude la possibilità di sollevare questioni relative all’incompetenza territoriale. Le obiezioni sull’irrilevanza dello scorporo dell’IVA o sui costi non documentati (a causa di un presunto smarrimento della contabilità) sono state ritenute inconsistenti, data l’assenza di un minimo principio di prova e il fatto che le soglie di rilevanza penale erano state ampiamente superate.
Il Diniego della Sospensione Condizionale della Pena
Anche l’ultimo motivo è stato dichiarato inammissibile. La ragione è risultata decisiva e assorbente: dal certificato penale dell’imputato emergeva che egli aveva già beneficiato per ben due volte della sospensione condizionale della pena. Questa circostanza, da sola, preclude la possibilità di ottenere nuovamente il beneficio.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte si fondano su principi cardine del diritto processuale penale. L’inammissibilità deriva innanzitutto dalla manifesta infondatezza e genericità dei motivi di ricorso, che devono essere specifici, pertinenti e non possono limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già respinte senza criticare specificamente la logica della sentenza impugnata. In secondo luogo, la scelta di un rito premiale come quello abbreviato comporta delle rinunce, tra cui quella a sollevare determinate eccezioni procedurali. Infine, la valutazione di benefici come la sospensione condizionale è strettamente legata alla storia penale dell’imputato, e l’averne già usufruito in passato costituisce un ostacolo insormontabile per una nuova concessione.
Le Conclusioni
La decisione della Cassazione ribadisce l’importanza di una corretta formulazione dei ricorsi, che non possono essere strumenti meramente dilatori. Per i professionisti e gli imputati, la lezione è chiara: un ricorso per cassazione deve basarsi su vizi di legittimità concreti e ben argomentati. Le scelte processuali compiute in primo grado, come quella del rito abbreviato, hanno conseguenze definitive sull’ammissibilità di future impugnazioni. Infine, la vicenda conferma che l’analisi del casellario giudiziale è un passaggio preliminare e decisivo per valutare le possibilità di ottenere benefici come la sospensione della pena.
Perché il motivo sulla prescrizione del reato è stato respinto?
La Corte lo ha ritenuto generico e manifestamente infondato, in quanto basato su un calcolo errato del periodo di sospensione della prescrizione. Inoltre, la questione era comunque irrilevante perché la sentenza d’appello era stata emessa prima della scadenza del termine, anche secondo il calcolo della difesa.
La scelta del rito abbreviato ha influenzato l’esito del ricorso?
Sì, in modo significativo. La Corte ha sottolineato che la scelta del rito abbreviato preclude la possibilità di sollevare in seguito questioni relative all’incompetenza per territorio del giudice. Questo ha reso inammissibile una parte delle censure proposte.
Per quale motivo non è stata concessa la sospensione condizionale della pena?
La richiesta è stata respinta perché dal certificato penale dell’imputato risultava che aveva già beneficiato per due volte della sospensione condizionale della pena in passato. La legge non consente di concedere il beneficio per una terza volta.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18700 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18700 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BOLZANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/05/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME – imputato del delitto di omessa dichiarazione per gli anni di imposta dal 2011 al 2014, a lui ascritti in qualità di titolare di d individuale – ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 11/05/2023, con cui la Corte d’Appello di Venezia ha confermato la condanna in primo grado irrogata con rito abbreviato dal Tribunale di Verona, eccependo preliminarmente l’estinzione del reato sub 1) per intervenuta prescrizione, e deducendo violazione di legge con riferimento all’affermazione di penale responsabilità e alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena;
ritenuto che il primo motivo sia generico e comunque manifestamente infondato, in quanto la difesa ricorrente “riduce” a 325 giorni il periodo di sospensione della prescrizione, concordemente quantificato in 565 giorni dai giudici di merito, senza in alcun modo argomentare in ordine a tali diverse conclusioni. Peraltro, attesa l’inammissibilità degli ulteriori motivi (cfr. in fra), ogni approfondimento al riguardo appare ultroneo, in quanto la sentenza d’appello sarebbe comunque intervenuta in data 11/05/2023, e quindi prima dello spirare del termine calcolato dalla difesa (aggiungendo dieci mesi e venticinque giorni al termine decennale decorrente dal 30/09/2012), precludendo l’inammissibilità delle doglianze l’instaurazione del rapporto processuale;
ritenuto che il secondo ordine di censure sia meramente reiterativo di quelle già esaminate e motivatamente disattese in primo grado (dovendo solo aggiungersi, quanto alla prima parte, che la scelta del rito abbreviato preclude ogni questione relativa all’incompetenza per territorio): avendo in particolare la Corte d’Appello evidenziato sia l’irrilevanza del mancato scorporo dell’IVA dalla base imponibile, da parte degli operanti (risultando ampiamente superate le soglie di rilevanza penale per tutte le omissioni per cui è intervenuta condanna: cfr. pag. 4), sia l’inconsistenza della prospettazione relativa ai costi asseritamente sostenuti e non documentati per lo smarrimento della contabilità (difettando ogni anche minimo principio di prova in ordine ai costi medesimi, peraltro inidonei ad incidere sensibilmente sull’imponibile in considerazione dell’attività concretamente svolta);
ritenuto che ad analoghe conclusioni di inammissibilità debba pervenirsi quanto alla residua censura, assumendo rilievo preliminare ed assorbente il contenuto del certificato penale in atti, da cui emerge che il COGNOME ha già fruito per due volte del beneficio della sospensione condizionale ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2024