Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29870 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29870 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Cassano allo Ionio il 03/05/1980 avverso la sentenza del 27/11/2024 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso,
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza del 27/11/2024, la Corte d’appello di Napoli, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero, ha condannato l’imputato, alla pena di anni uno di reclusione, perché ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, perché quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE non presentava la dichiarazione fiscale a fini Iva, per l’anno di imposta 2013, con evasione di Iva per C 68.534,00.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’affermazione della responsabilità penale. La corte territoriale avrebbe reso una motivazione carente in punto determinazione dell’iva
evasa fondata, secondo i giudici territoriali, su elementi documentali (fatture attive, bilanci) non essendo certo che la merce risultante dal bilancio al 31/12/2012, pari a euro 326.352,00, fosse stata effettivamente venduta; non si sarebbe tenuto conto del fatto che il valore della merce risultante dall’ultim bilancio sarebbe comunque soggetto a rivalutazione; non si sarebbe altresì tenuto conto del fatto che le fatture emesse fossero pari ad euro 126.445,00, con un’eventuale iva evasa pari a euro 26.554,00. Non sarebbe rilevante l’accredito sui conti della società di C 240.000,000 che, secondo il pubblico ministero, sarebbe dimostrativo della cessione dei beni, ben potendo essere riconducibile ad operazioni fuori iva, legittimamente effettuate nell’attività di commercio d autoveicoli. Non sarebbe neppure certo che le fatture di vendita fossero state pagate.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato. Nel caso in esame, l’imputato sarebbe una mera testa di legno e, dunque, sarebbe necessaria l’individuazione di altri elementi sintomatici del fine di evasione, non essendo sufficiente la mera accettazione della carica.
2.3. Con il terzo motivo deduce l’estinzione del reato, art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, commesso il 30/09/2013 perché estinto per prescrizione in epoca antecedente alla sentenza in data 24/11/2024 tenuto anche conto di 53 giorni di sospensione del corso della prescrizione. Argomenta il ricorrente che La Corte di Cassazione con la sentenza n. 25.121 del 2001 avrebbe enunciato il principio secondo cui il termine di 90 giorni di cui al comma secondo dell’articolo 5 non costituisce uno slittamento del termine di presentazione della dichiarazione che rimane quello previsto dalla legge in quanto introduce una causa di non punibilità per l’ipotesi nelle quali il contribuente presenti la dichiarazione tardivamente ma entro il termine del citato articolo due. Per tali ragioni il reato commesso al 3 settembre 2014 si è prescritto in data antecedente alla sentenza pronunciata in grado di appello.
Il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché versato in fatto e diretto a richiedere una rivalutazione in chiave alternativa degli elementi fattuali posti base dell’affermazione della responsabilità penale.
La sentenza impugnata, in relazione alla determinazione dell’ammontare dell’iva evasa, non essendo in discussione l’omessa presentazione della dichiarazione, ha richiamato le risultanze del bilancio della società al 31 dicembre 2012, prodotto dal commercialista, le fatture attive rinvenute presso terzi,
contro
lli incrociati presso i clienti della società verificata, l’oggetto sociale società di commercio di autovetture e veicoli leggeri, e ha ritenuto dimostrato, sulla base di precisi elementi documentali il compimento di operazioni commerciali da cui ha calcolato l’imposta evasa Iva per C 68.534,00.. Segnatamente dalle rimanenze finali al 31/12/2012, per un valore di oltre C 326.000,00, risultanti dal bilancio di esercizio prodotto dal commercialista della società, dal mancato rinvenimento della predetta merce e dalla circostanza che la società si era rivolta a diverse agenzie di pratiche automobilistiche per procedere alla vendita di autoveicoli, unitamente alla movimentazioni di denaro sui conti della società, dei soci e degli amministratori, ha argomentato che la società aveva posto in essere operazioni commerciali con evasione Iva per € 68.534,00, in un contesto nel quale non era stata fornita qualsivoglia indicazione in ordine alla quantificazione dei cost con la conseguenza che essi non potevano essere riconosciuti in mancanza di allegazioni fattuali da cui desumersi la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza (cfr. Sez. 3, n. 17214 del 14/03/2023, Rv. 284554 – 01), allegazione neppure fornita con il ricorso per cassazione.
Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile.
Argomenta il ricorrente l’assenza del dolo specifico in quanto mera “testa di legno”.
La censura è priva di confronto specifico con le ragioni della decisione. L’imputato è stato ritenuto responsabile in quanto legale rappresentante della società, e, dunque, amministratore della stessa e soggetto tenuto all’obbligo dichiarativo, in assenza di adeguata dimostrazione del mero ruolo di testa di legno (cfr pag. 4), sicchè la censura, che ripropone senza sostanziale critica l’assenza di dolo, sul presupposto dell’essere una mera testa di legno, si confronta con la decisione che aveva già rilevato l’assenza di dimostrazione di tale qualità, è inammissibile per genericità.
6. Il terzo motivo di ricorso non è manifestamente infondato, situazione che comporta il rilievo della prescrizione maturata nelle more del giudizio di legittimità.
Il ricorrente argomenta la prescrizione del reato commesso il 30/09/2024, ritenendo il termine ultimo di presentazione della dichiarazione al 30/09/2014 e non, come sostenuto nella sentenza impugnata, al 27/12/2014, ovvero decorsi novanta giorni come indicato dal comma 2 dell’art. 5 d.lgs n. 74 del 2000 secondo cui non si considera omessa la dichiarazione presentata entro 90 giorni dalla scadenza del termine. A tale riguardo richiama l’ordinanza n. 25421 del 7 maggio 2021, Maltese, di Questa Corte, secondo cui il termine di cui al comma 2 dell’art. 5 decreto legislativo 74 del 2000 non costituisce uno slittamento del termine di prescrizione della dichiarazione, che rimane quello previsto dalla legge ordinariamente, ma introduce una causa di non punibilità per l’ipotesi nelle quali
il contribuente presenti la dichiarazione tardivamente ma entro il termine di cui al citato comma due.
Con orientamento risalente e mai smentito, tuttavia, questa Corte di legittimità ha affermato che il momento consumativo del delitto di omessa
presentazione della dichiarazione, di cui all’art. 5, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, va fissato alla scadenza del termine dilatorio di novanta giorni concesso al
contribuente, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del medesimo decreto, per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario
(Sez. 3, n. 19196 del 24/02/2017, COGNOME, Rv. 269635 – 01; Sez. 3, n. 36387
del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 276884 – 01).
Con la pronuncia n. 18196 del 2017, si è, anche, chiarito che il termine dilatorio di novanta giorni, concesso al contribuente – ai sensi dell’art. 5, comma
secondo, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario-, non si configura quale
elemento di una causa di non punibilità, ma costituisce un termine ulteriore per adempiere all’obbligo dichiarativo, e per individuare il momento consumativo del
reato di omessa dichiarazione previsto al comma primo del citato art. 5; detto termine è quindi privo di valenza scriminante nei confronti di chi, alla scadenza del termine ordinario, era tenuto a presentare la dichiarazione e non ha assolto a tale obbligo entro il successi 90 giorni.
In altri termini, ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e ibis e 2 dell’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, la tipicità dell’omissione prende corpo solo al scadere dell’ulteriore termine dei novanta giorni successivi all’originario termine tributario (Sez. 3, n. 36387 del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 276884 – 01).
La non manifesta infondatezza del motivo di ricorso desumibile dal raffronto tra loro delle suddette pronunce, comporta il rilievo della prescrizione maturata nelle more del giudizio di legittimità al 21 febbraio 2025.
La sentenza va pertanto annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso 1’11/06/2025