Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27723 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27723 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a FOGGIA il 27/06/1981
avverso la sentenza del 20/02/2024 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 20/2/2024, la Corte d’appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale di Foggia in data 9/7/2020 che aveva ritenuto COGNOME Sebastiano responsabile dei reati di cui all’art. 5 d.vo n. 74/2000 per l’omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini imposte dirette e IVA per gli anni 2012 e 2013 e l’aveva condannato, unificati ex art. 81 cod pen. i reati, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, applicata la ridu prevista per il rito, alla pena di anni uno, mesi due e giorni venti di reclusione, oltre accessorie.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che con il primo motivo denuncia la violazione della legge processuale. Si assume che il decreto di citazione per il giudizio di appello era stato notificato all’imputato mediante consegna di copia al difens
non essendo stato reperito al domicilio dichiarato senza effettuare le ricerche necessarie a consentire la consegna a mani proprie.
Con il secondo motivo, si denuncia la contraddittorietà e la manifesta illogicità del motivazione. Si assume che non vi era prova che le fatture reperite fossero state effettivamente incassate così da determinare il superamento delle soglie di punibilità. Si lamenta ancora che viene “paventata” nelle sentenze anche l’ipotesi che si sia in presenza di fatture per operazion inesistenti benché una tale ricostruzione trovi riscontro solo in ordine alla fattura n. 1 del 2 rispetto alla quale l’imposta evasa era pari a C 6.344,21. A ciò si aggiunga che non era stato contestato il reato di cui all’art. 8 del d.l.vo 74/2000. Si deduce, ancora, che in relazione all’ d’imposta 2012 si era tenuto conto dei questionari inviati ai clienti mentre, per l’anno 2013, determinazione dell’imponibile era stata effettuata utilizzando solo i dati tratti dallo spesome integrato e non quelli trasmessi dai clienti interpellati tramiti i questionari, che rivelavano emesse per C 23.654,88 e un’imposta evasa pari a C 843,92. Non si era, ancora, tenuto conto che l’imputato era stato dichiarato fallito il 14/10/2024, ossia prima della data di consumazion del reato contestato per l’anno 2013.
Con il terzo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 157 cod. pen. assumendosi che per l’anno d’imposta 2012, in relazione al tempus commissi delicti indicato in imputazione, ossia il 30/9/2013, il termine prescrizionale era già decorso all’epoca di emissione della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
In ordine al primo motivo del ricorso, dagli atti processuali, consultabili in considerazio della natura del vizio denunciato, risulta che Scopece è stato invitato più volte a dichiarar eleggere domicilio ( decreto di citazione in data 27/9/2018 e avviso di conclusioni delle indagi preliminari del 31/5/2018). Non risulta che l’imputato abbia mai indicato un domicilio per l notifiche. La notifica, quindi, correttamente, è stata effettuata presso lo studio del difensore potendo trovare applicazione, rationes temporis, la disciplina introdotta dal d.l.vo 150/2022.
Le doglianze relative alla individuazione della base imponibile e dell’imposta evasa deducono che queste sono state determinate sulla base di mere presunzioni, che non tenevano conto che le fatture accertate potevano non essere state incassate e, in relazione all’anno d’imposta 2013, dei questionari inviati dai clienti, che documentavano un’imposta evasa inferiore alla soglia di punibilità.
Non è superfluo ricordare, a questo punto, che al giudice penale non è precluso fondare le sue conclusioni relative alla consistenza della base imponibile e alla entità dell’imposta evasa s valutazioni logiche, purché queste, ovviamente, facciano seguito ad un’analisi di tutto il materia istruttorio rilevante, e individuino la loro base su puntuali elementi di fatto, nonché su accett e congrue massime di esperienza.
Una conferma della comune applicazione di questo principio, nella giurisprudenza di legittimità, del resto, si trae dalla costante affermazione secondo cui, in tema di reati tribu per il principio di atipicità dei mezzi di prova nel processo penale, di cui è espressione l’art cod. proc. pen., il giudice può avvalersi dell’accertamento induttivo, compiuto mediante gli stu di settore dagli Uffici finanziari, per la determinazione dell’imposta dovuta, ferma restan l’autonoma valutazione degli elementi emersi secondo i criteri generali previsti dall’art. 1 comma 1, cod. proc. pen. (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 36207 del 17/04/2019, COGNOME, Rv. 277581 – 01, e Sez. 3, n. 24225 del 14/03/2023, COGNOME, Rv. 284693 – 01).
Nella specie, la sentenza impugnata, conformemente a quella di primo grado, ritiene che gli imponibili e le imposte evase per gli anni 2012 e 2013 sono quelli riportati in imputazione con l sola precisazione che, in relazione all’anno d’imposta 2013, VIVA non dichiarata ammontava ad C 145.804,00 non trovando giustificazione nel processo verbale di constatazione il differente valore di C 140.441,78 riportato in imputazione.
La Corte territoriale ha, inoltre, rilevato che, per entrambi gli anni d’imposta, il metod calcolo è stato lo stesso, essendo stato l’imponibile determinato incrociando i dati forn dall’applicativo spesometro integrato con quelli riportati nei questionari inviati dai clienti ditta individuale. La Corte territoriale ha, ancora, sottolineato che i dati ricavati dalla Guar Finanza non erano contraddetti da elementi di segno contrario, non avendo “l’imputato allegato alcunché in concreto”. E, in effetti, la sentenza di primo grado rimarca che l’imputato non aveva contestato l’emissione delle fatture rinvenute dagli operanti limitandosi a sostenere, senza fornire prova alcuna, che i clienti non lo avevano pagato.
Con tali argomenti il ricorso non si confronta continuando a lamentare che in relazione all’anno 2013 non si era tenuto conto delle risposte date ai questionari dai clienti ma non ha addotto elemento verificabile alcuno che possa alimentare anche solamente il dubbio che le fatture emesse siano rimaste insolute.
La sentenza, pertanto, anche se implicitamente, risponde all’argomento secondo cui le fatture emesse non necessariamente erano state incassate per cui non potevano concorrere a determinare il reddito imponibile.
La censura difensiva, ancora, ignora quanto al riguardo rappresentato dal Tribunale di Foggia, che aveva osservato che venendo in rilievo la mancata presentazione delle dichiarazioni, l’inadempimento dei clienti non poteva assumere valore scriminante. Va, peraltro, ricordato che questa Corte, sia pure in relazione al reato di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000, ha chiarit “il mancato incasso per inadempimento contrattuale dei propri clienti non esclude la sussistenza del reato, atteso che, come detto, l’obbligo del predetto versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme, essendo il mancato adempimento del debitore riconducibile all’ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai r dei corrispettivi non riscossi (Sez.3, n. 6506 del 24/09/2019, Rv. 278909; Sez.3, n. 27202 del 19/05/2022, Rv. 283347; Sez.3, n. 31352 del 05/05/2021, Rv. 282237) ” (Sez. 3, n. 20348 del 26/3/2024, A). Tale principio si attaglia con ancor maggior evidenza in relazione ai reat
contestati, imponendo il criterio di competenza, operante per l’imprenditore individuale con ricav quali quelli indicati nel provvedimento impugnato, di riferire i ricavi d’impresa, così come i c all’esercizio cui si riferiscono.
L’aspecificità del corrispondente motivo di appello, quindi, costituisce un ulteriore ostaco all’accoglimento della censura difensiva. Il Collegio rammenta che il motivo con cui si proponga in Cassazione una doglianza riferita all’omessa motivazione in relazione ad un motivo d’appello comunque inammissibile è geneticamente inammissibile anch’esso. Infatti, il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, pur se proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiché i motivi generi restano viziati da inammissibilità originaria (vedi, Sez. 1, n. 7096 del 20/1/1986, Ferrara, R 173343; Sez. 4, n. 1982 del 15/12/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 213230; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262700).
Infondato è l’argomento incentrato sull’impossibilità per l’imputato di ottemperar all’obbligo dichiarativo per la sentenza di fallimento intervenuta.
Il motivo non si confronta con la motivazione della Corte territoriale che ha rilevato che violazione dell’obbligo dichiarativo doveva essere addebitato all’imputato che, sino all’ultim giorno utile ai fini della presentazione di tale dichiarazione (30/9/2014), non aveva provveduto a siffatto adempimento.
Tale conclusione trova riscontro nella giurisprudenza di questa Corte.
Un recente orientamento di legittimità ritiene che “in tema di reati tributari, il termine dila di novanta giorni, concesso al contribuente – ai sensi dell’art. 5, comma secondo, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario, non si configura quale elemento di una causa di non punibilità, ma costituisce un termine ulteriore per adempiere all’obbligo dichiarativo, e per individuare momento consumativo del reato di omessa dichiarazione previsto al comma primo del citato art. 5; detto termine è quindi privo di valenza scriminante nei confronti di chi, alla scadenza d termine ordinario, era tenuto a presentare la dichiarazione, eventualmente anche in concorso con il nuovo obbligato nei novanta giorni di proroga. (Fattispecie nella quale la RAGIONE_SOCIALE ha ritenu corretta la condanna del rappresentante di una società, dimessosi appena dopo la scadenza del termine ordinario) (Sez. 3, n. 19196 del 24/02/2017, COGNOME, Rv. 269635 – 01, conf. Sez. 7 ord. n. 25622 del 24/5/2024, Orlando).
Si è anche ritenuto che “in tema di reato di omessa dichiarazione dei redditi, spetta al falli presentare la dichiarazione dei redditi per i periodi di imposta anteriori al fallimento, mentr curatore deve presentare le dichiarazioni per i periodi di imposta successivi, in essi compreso anche il periodo nei corso del quale è intervenuta la dichiarazione di fallimento” (Sez. 3, n. 154 del 01/12/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249351 – 01, conf. Sez. 7, ord. n. 25622 del 24/5/2024, Orlando relativa alla mancata presentazione della dichiarazione IVA per l’anno d’imposta precedente a quello in cui è intervenuta la dichiarazione di fallimento).
Ma a conclusioni non dissimili si perverrebbe qualora si
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e secondo cui il momento consumativo del delitto coincide con la scadenza del novantesimo giorno successivo al termine previsto dalle leggi tributarie per la presentazione
della dichiarazione omessa (Sez. 3, n. 8340 del 18/12/2019, dep. 2020, COGNOME; Sez. 3, n.
36387 del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 276884).
Le sentenze di merito, infatti, hanno rimarcato che l’imputato non aveva consegnato la documentazione contabile alla curatela cosicché le dichiarazioni presentata dal curatore nel
maggio del 2015 erano prive di dati in quanto l’indisponibilità dei libri contabili aveva imped di determinare gli elementi attivi e passivi relativi all’anno d’imposta.
L’incidenza determinante che la mancata consegna delle scritture contabili ha avuto sull’omessa presentazione delle dichiarazioni, quindi, in quanto costituisce la causa della
condotta tipica, consentirebbe di configurare, in forza della regola generale dell’art. 110 co pen., la responsabilità penale a carico di COGNOME anche qualora si acceda all’impostazione
difensiva secondo cui l’obbligo dichiarativo, in relazione all’anno 2013, gravava sul curator fallimentare, essendo intervenuta la dichiarazione di fallimento nell’ottobre 2014.
A tutto voler conceder alla difesa, pertanto, la censura in esame non sarebbe in ogni caso idonea a determinare l’annullamento della sentenza in quanto all’erronea valutazione in punto
di diritto della corte territoriale potrebbe porre rimedio questa Corte avvalendosi dei pote riconosciuti dall’art. 619 cod. proc. pen.
Manifestamente infondato risulta, infine, l’ultimo motivo del ricorso che non tiene conto della recidiva specifica contestata e del periodo di sospensione intervenuto, dal 5/12/2019 al 21/5/2020 per adesione del difensore all’astensione proclamata dall’Unione Camere Penali.
L’esito del giudizio comporta, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dell parte privata che lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 26/6/2025