Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21086 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21086 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 04/09/1954
avverso la sentenza del 01/07/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che, con sentenza del 10 luglio 2024, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del 29 ottobre 2021 del Tribunale di Roma, con la quale l’imputato era stato condannato, alla pena di anni due di reclusione, oltre alle pene accessorie, per il reato di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, in qual di legale rappresentante dell’omonima ditta individuale, al fine di evadere le imposte sui redditi, non presentava, pur essendovi obbligato, le dichiarazioni per gli anni 2011-2013, con evasione Irpef pari ad C 130.810,00, per il 2011, ad C 166.115,00, per il 2012, e ad C 186.896,00, relativamente all’anno di imposta 2013;
che, avverso la sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione;
che, con un primo motivo di doglianza, si denuncia la violazione degli artt. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 e 189, 191 e 192 cod. proc. pen., nonché l’erronea valutazione probatoria del cosiddetto “spesometro puro”, sul rilievo che i giudici di merito, avvalendosi di metodi non analitici propri dell’accertamento tributario, di per sé non utilizzabili nel sistema probatorio penale, avrebbero erroneamente omesso di verificare correttamente l’effettivo superamento della soglia di punibilità;
che, nello specifico, la difesa rappresenta che la normativa che consente l’applicazione del metodo di accertamento dello “spesometro” sarebbe stata applicata retroattivamente ed in malam partem, in violazione del principio di cui all’art. 2 del cod. pen., trattandosi di legge extrapenale che integra la fattispeci penale, oltre che in violazione della regola di giudizio relativa alle verifiche fisc attraverso metodi atipici, induttivi e per analogia;
che, con un secondo motivo di gravame, si censura il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen., per avere i giudici di merito contraddittoriamente valorizzato il precedente penale dell’imputato, invero non enfatizzato al fine di escludere la recidiva;
che, in data 12 marzo 2025, la difesa ha depositato memoria con la quale contesta l’assegnazione del ricorso alla Settima Sezione della Corte di cassazione, ritenendo insussistenti le indicate cause di inammissibilità;
che, nello specifico, la difesa afferma che gli elementi processualmente acquisiti al fascicolo sono tali da inficiare la struttura logica del provvediment impugnato, di talché non avrebbe dovuto essere ritenuta preclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o di fatto, dal momento che la modifica dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, espressamente consente la deduzione del travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera
puntuale gli atti rilevanti, sempre che la contraddittorietà, come nel caso di specie, risulti percepibile ictu ocu/i;
che, pertanto, nel caso di specie, sarebbe stato irragionevolmente compromesso il diritto dell’imputato di chiedere giustizia dinanzi ad un organo giurisdizionale, in violazione del principio di proporzionalità ed in contrasto co quanto affermato dalla Corte Edu, con la sentenza Succi c. Italia, che ha censurato espressamente l’eccessivo formalismo della Corte di cassazione;
che, inoltre, la difesa solleva altresì questione di legittimità costituzionale deg artt. 101 e 102 del d.lgs. n. 173 del 2024, per contrasto con l’art. 3 Cost. pe violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza nella parte in cui prevedono che l’abrogazione dell’art. 17 del d.lgs. n. 74 del 2000 – che prevede l’aumento di un terzo del termine prescrizionale ordinario per il reato di omessa dichiarazione dei redditi – sia efficace a decorrere dal 10 gennaio 2026, e non immediatamente, così producendo un’ingiustificata disparità di trattamento sanzionatorio nei confronti di soggetti imputati dei medesimi reati.
Considerato che il ricorso è inammissibile perché diretto a sollecitare una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di un’alternati “rilettura” del quadro probatorio, già adeguatamente valutato dai giudici di merito, con coerenti e conformi argomentazioni;
che la difesa non prende mai in considerazione, nemmeno a fini di critica, la motivazione della sentenza impugnata, limitandosi a formulare asserzioni che rappresentano la ripetizione di doglianze già esaminate e motivatamente disattese nel giudizio di secondo grado;
che, in particolare, il primo motivo di doglianza è manifestamente infondato, avendo la sentenza impugnata fatto corretta applicazione dei principi relativi alla utilizzabilità, in sede penale, degli esiti degli accertamenti operati in sede tributar da parte dell’Agenzia delle Entrate che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, si è avvalsa di un metodo di accertamento analitico;
che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha affermato che dalla documentazione inerente all’attività di impresa dei clienti della ditta dell’imputat era risultato che questi aveva ricevuto, per gli anni 2012-2013, rispettivamente C 402.198,00 ed C 530.030,00, così consentendo la quantificazione dell’imposta evasa;
che, dunque, gli organi accertatori dell’Agenzia delle Entrate correttamente si sono avvalsi di un metodo di accertamento completo e analitico, e non, come sostenuto dal ricorrente, induttivo ed integrato, essendo esso basato sulla precedente attività di verifica svolta sui ricavi aziendali, in assenza di elementi che facciano ritenere l’esistenza di costi;
che, peraltro, la disciplina dello “spesometro” non costituisce elemento integrativo della norma penale, essendo volta non già a definire un elemento normativo della fattispecie contestata, bensì a disciplinare una modalità di accertamento in concreto della condotta;
che, analogamente, anche il secondo motivo di impugnazione deve ritenersi inammissibile, in quanto afferente al trattamento punitivo che, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, appare sorretto da sufficiente e logica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive;
che, nel caso di specie, invero, i giudici di merito hanno compiutamente motivato il diniego delle circostanze attenuanti generiche, evidenziando, non solo la gravità dei fatti e la loro reiterazione negli anni, ma anche la personali negativa dell’imputato, già gravata da precedenti penali specifici, anche recenti, e certamente sintomatica di una non modesta capacità a delinquere dello stesso;
che, del resto, la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen., è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa da giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in Cassazione (ex multis, Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Rv. 248244);
che, del tutto inconferente, risulta il richiamo alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, Succi c. Italia, trattandosi di pronuncia afferente al proce civile, disciplinato, in quanto tale, da principi e garanzie distinti rispetto a che regolano, invece, il processo penale; sicché le considerazioni ivi svolte non possono essere automaticamente trasposte in ambito penalistico;
che l’invocata questione di legittimità costituzionale degli artt. 101 e 102 de d.lgs. n. 173 del 2024, per asserito contrasto con l’art. 3 Cost., si rivela, pri ancora che manifestamente infondata, irrilevante ai fini della decisione;
che, invero, la doglianza difensiva non tiene conto dell’esistenza dell’art. 93, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 173 del 2024, il quale, prevedendo espressamente l’innalzamento di un terzo del termine di prescrizione per i medesimi reati ai quali è attualmente riferito l’art. 17 del d.lgs. n. 74 del 200 che la normativa intende abrogare – ne riproduce pedissequamente il disposto;
che, dunque, attraverso tale previsione, è assicurata piena continuità normativa, senza soluzione di continuità alcuna rispetto alla disciplina previgente, con la conseguenza che non si determina in alcun modo la censurata disparità di trattamento, né alcuna violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.;
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere
che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determina della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità med
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spe procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa
delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento d spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa de
ammende.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2025.