Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20352 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20352 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a Supersano (Le) il 23/2/1964
avverso la sentenza del 6/5/2024 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostitu Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile ricorso;
udite le conclusioni del difensore della ricorrente, Avv. NOME COGNOME che chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 6/5/2024, la Corte di appello di Lecce confermava la pronuncia emessa 1’8/10/2020 dal locale Tribunale, con la quale NOME COGNOME era stata riconosciuta colpevole del delitto di cui all’art. 5, d. Igs. 1 2000, n. 74, e condannata alla pena di un anno di reclusione.
Propone ricorso per cassazione l’imputata, deducendo i seguenti motivi:
– erronea applicazione degli artt. 193, 533 cod. proc. pen., 5, d. Igs. n. 2000, 32, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. La Corte di appello avrebbe afferma erroneamente che nel caso di specie non opererebbero le presunzioni tributari che sarebbero applicabili soltanto alle persone giuridiche. Le stesse presunz per contro, costituirebbero il fondamento del processo, risultando richiam nell’avviso di accertamento, che indicherebbe la radicale assenza di “pe giustificative” del reddito non dichiarato; da ciò, dunque, deriverebbe la nece di individuare concreti elementi di riscontro, stante la costante giurisprudenz la quale la responsabilità penale non può essere affermata sulla base delle presunzioni. Nel caso di specie, peraltro, gli unici documenti disponibili sareb l’avviso di accertamento e la comunicazione della notizia di reato, mentre “allegati” richiamati nella sentenza non avrebbero trovato alcuna specificazio con evidente impossibilità per la difesa di procedere ad una corretta valutaz degli atti di indagine. Sotto connesso profilo, i riscontri alle presunzio potrebbero essere individuati – come invece in sentenza – nelle condotte di prel di denaro e di bonifico, in quanto queste fonderebbero le presunzioni medesim che, pertanto, potrebbero essere confermate soltanto da ulteriori e diffe elementi; questi, in particolare, dovrebbero dimostrare l’effettiva disponibi quelle somme in capo alla ricorrente e la loro attribuibilità a reddito perce non dichiarato. Tali questioni, peraltro, avrebbero costituito oggetto di gra ma sul punto mancherebbe ogni motivazione nella sentenza impugnata;
erronea applicazione delle stesse norme richiamate, con vizio d motivazione, quanto all’oggetto delle presunzioni. L’art. 32, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, già richiamato, legittimerebbe le presunzioni soltanto riferimento ad operazioni di prelievo e versamento registrate su conti corr personali dell’accertato, non su quelli di soggetti terzi (come confermato giurisprudenza di questa Corte); ebbene, la sentenza di appello avrebbe utilizz come fondamento delle presunzioni anche operazioni compiute sul conto della società, senza che vi sia prova del fatto che le relative somme fossero transitate sui conti personali della ricorrente. La motivazione resa dalla Co appello sul punto sarebbe peraltro apparente, ipotizzando una inammissibil inversione dell’onere della prova;
erronea applicazione degli artt. 27 Cost., 6 CEDU, 192 e 193 cod. proc. pen. vizio di motivazione. La Corte di appello avrebbe sostenuto un onere della pro in capo alla ricorrente, quanto alle giustificazioni concernenti determi operazioni bancarie; ebbene, nessun onere di questo genere incomberebbe a carico dell’imputato, come peraltro affermato ancora dalla giurisprudenza legittimità, che avrebbe ribadito che l’onere della prova grava soltanto sull’a
Ne deriverebbe la violazione delle norme citate, veri baluardi a tutela del diri difesa;
erronea applicazione degli artt. 5, d. Igs. n. 74 del 2000, 193, 533 cod. pen. in relazione agli artt. 47, comma 1, 67, comma 1, d.P.R. 22 dicembre 198 n. 917. Anche a voler ammettere che l’ipotizzato reddito fosse entrato patrimonio della ricorrente, la sentenza lo avrebbe dovuto correttamen qualificare come reddito da capitale, non quale reddito diverso; tale dover qualifica avrebbe avuto ripercussioni quantomeno sotto il profilo della sogli punibilità e dell’ammontare della confisca (in considerazione del fatto che il re da capitale sarebbe sottoposto a tassazione solo nella misura del 49,72%, in lu del 100%). In senso contrario, peraltro, non varrebbe il richiamo della sente alle scritture contabili, in quanto queste non sarebbero versate in atti. Per l’esame della documentazione prodotta dalla difesa avrebbe dimostrato che nell’anno d’imposta 2014, la ricorrente avrebbe percepito esclusivamente reddi da capitale, con conseguente applicazione della relativa disciplina;
infine, si contesta la motivazione della sentenza quanto al manc riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che sarebbe privo motivazione a fronte di numerosi elementi che le giustificherebbero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Le prime tre censure possono essere trattate in modo congiunto, concernendo tutte il tema delle presunzioni tributarie e degli elementi che debbo riscontrarle per sostenere una pronuncia di condanna in sede penale; ebbene, argomenti sviluppati dalla ricorrente risultano già affrontati in entram sentenze di merito, con una motivazione ampia, del tutto solida ed ancorata oggettivi elementi d’indagine che il ricorso non cita neppure, tantomeno conte in modo analitico.
In particolare, la Corte di appello – come già il Tribunale – ha sottoli che le tematiche relative all’utilizzo in sede penale delle presunzioni tribut cui all’art. 32, d.P.R. n. 600 del 1973, riscontri compresi, non rilevano nella v in esame, nella quale la responsabilità della ricorrente – chiamata a risponde proprio, non quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE – è stata affer forza di elementi documentali (prevalentemente di natura bancaria) ch consentivano di accertare in via diretta la disponibilità di redditi non dichiar
5.1. In particolare, in entrambe le sentenze sono stati valorizzati: a) 2 bo – il primo da 8.500 euro ed il secondo da 80.000 euro – provenienti da due co della società e pervenuti sul conto personale della Orlando; b) il prelievo
somma complessiva di 178.500 euro contante dal conto corrente della società pacificamente eseguito dalla ricorrente; c) il versamento in contante per 8. euro su conto personale della stessa Orlando.
5.1.1. Ebbene, come analiticamente riportato nella prima sentenza, richiamato in quella qui impugnata, gli atti d’indagine (pienamente utilizzabi ragione del giudizio abbreviato) non avevano offerto alcuna plausibi giustificazione di tali operazioni, se non nell’ottica dell’art. 5 contesta specifico, è stata adeguatamente superata la tesi difensiva secondo cui il re dichiarato nel 2014 (pari a 26.849 euro) altro non sarebbe che la percentu imponibile con riguardo agli utili societari distribuiti dalla società per 54. dichiarare nella sola misura del 49,72% ai sensi dell’art. 47, d.P.R. n. 9 1986, somma alla quale aggiungere 26.000 euro per rimborsi di anticipazioni: particolare, già il Tribunale aveva evidenziato che tale ricostruzione era ri sfornita di supporto probatorio, non risultando agli atti alcuna documentazi relativa alla delibera assembleare di riparto degli utili, né provata la na rimborso della rimanente (per giungere a 80.000 euro) cifra di 26.000 euro. quest’ultimo proposito, il Tribunale, richiamato dalla Corte di appello, a rilevato l’insufficienza della documentazione allegata dalla ricorrente, particolare riferimento alle mere richieste di rimborso spese di viaggio ed somme che la stessa avrebbe anticipato alla società.
Di tutte queste considerazioni, peraltro, il ricorso non contiene alcun ce omettendo, pertanto, un doveroso confronto con la sentenza impugnata.
5.1.2. Analogamente, poi, ed ancora con argomento privo di illogicit manifesta e di effettiva opposizione in questa sede, la Corte di appello ha conc quanto al versamento di 8.100 euro in contanti effettuato dalla Orlando sul prop conto, oggetto di generica deduzione difensiva nella sola sede di merito; n stessi termini, ancora, le sentenze hanno concluso quanto al bonifico di 8. euro, oggetto di (altrettanto generica) causale “bonifico RAGIONE_SOCIALE resti parte finanziamento infruttifero”, senza che fosse emersa documentazione comprovante detto finanziamento, che ragionevolmente la ricorrente avrebbe dovuto possedere quale apparente creditrice.
5.1.3. Con riferimento, di seguito, ai prelievi effettuati dalla Orland 170mila euro, sempre su conti intestati alla società, giustificati dalla ricorre l’esigenza di pagare in contanti dipendenti e fornitori, entrambe le senten merito hanno affermato – anche in tal caso senza ricevere alcuna censura – c risultava inverosimile che la società dovesse ricorrere ad un tale metod pagamento, specie disponendo di un saldo contabile talmente capiente da consentire l’accredito all’amministratore di ingenti somme a titolo di restitu anticipi e riparto utili.
5.2. Infine sul punto, i Giudici di merito si sono adeguatamente pronunci anche sulla questione (ribadita nel ricorso) della qualifica dei reddi individuati, ossia “da capitale” (con tassazione nella misura ridotta richiamata) o “diversi”.
5.2.1. Premesso il carattere evidentemente fattuale della censura (pagg. 14), propria della sola fase di merito, il Collegio rileva che le sentenze sottolineato in modo efficace che le somme prelevate dalla ricorrente n potevano essere riferite a distribuzione di utili, così da doversi escludere la classificazione: risultava assente, infatti, una qualunque delibera assembleare si fosse pronunciata in tal senso, autorizzando la distribuzione stessa, così alcun dato sul punto nelle scritture contabili (la cui allegazione al fas peraltro, è contestata nel ricorso soltanto con valutazione in fatto, che Corte non è ammessa a verificare).
In forza delle numerose considerazioni che precedono – si ribadisce, pri di qualunque contestazione specifica nel ricorso in esame – i Giudici del me hanno dunque affermato che doveva ritenersi provato che le somme citate fossero uscite dalla società per entrare nella disponibilità esclusiva dell’imputata che ciò fosse sostenuto da alcun documento a supporto, o con “pezze giustificative” ben saldamente contestate in sentenza quanto alla loro affidabi Tutto ciò, pertanto, ha condotto le sentenze di merito a riconoscer responsabilità penale dell’Orlando: in particolare, è stata riscontrata la dispon di un reddito complessivo ben superiore a quello dichiarato, privo di effet giustificazione, con conseguente violazione dell’art. 5, d. Igs. n. 74 del 2000
A tale riguardo, peraltro, risultano manifestamente infondate le diverse t sostenute nel ricorso.
7.1. Quanto a quelle fondate sull’indebito utilizzo di presunzioni tribut anche attraverso operazioni bancarie condotte su conti della società e non su qu personali, si ribadisce che entrambe le sentenze hanno riconosciuto responsabilità dell’imputata in ragione non delle presunzioni medesime (che, com tali, potrebbero sostenere una condanna in sede penale solo in presenza riscontri), ma di fonti dirette, positive e negative, tali da consentire di ind un reddito non dichiarato, nei termini appena menzionati.
7.2. Con riguardo, poi, all’indebita inversione dell’onere della prova c sentenza di appello avrebbe affermato in capo all’imputata, con violazione de artt. 27 Cost. e 6 CEDU, questa Corte non ne ravvisa affatto i caratteri. Il Gi del gravame, invero, si è limitato ad affermare il ragionevole e condiviso princ per cui, a fronte di operazioni economiche non sostenute da una giustificazio apprezzabile e affidabile, costituisce onere dell’interessato evidenziarne, in un lecito fondamento, tale da consentire – nel caso di specie – di esclude
relative somme dalla nozione di reddito da dichiarare nell’ottica dell’
contestato.
8. I motivi in punto di responsabilità, pertanto, risultano manifestamen infondati.
9. Alle stesse conclusioni, infine, il Collegio giunge con riferimento alla qu censura, che contesta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuan
generiche.
9.1. Pronunciandosi sul punto, la Corte di appello ha sottolineato, per verso, l’assenza di elementi positivamente valutabili, e, per altro verso, la
della condotta alla luce dell’importo evaso (107.980,00 euro). Questa motivazio appare adeguata e priva di vizi, non risultando dunque superata dagli argomen
esposti nel gravame, che si limitavano a richiamare “la massima collaborazion all’Organo accertatore mediante il deposito di tutta la documentazione c
necessitava”, l’interrogatorio reso e la scelta di definire il processo con g abbreviato.
10. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce d sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, n fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia propos ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilit alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello d versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2025
Il GLYPH gliere estensore
COGNOME Il Presidente