LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Omessa Dichiarazione: Prestanome e Responsabilità Penale

La Cassazione conferma la condanna per omessa dichiarazione a un’amministratrice, ritenendola responsabile nonostante sostenesse di essere una mera prestanome. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sulla valutazione dei fatti e sulla natura fittizia della cessazione della carica non sono ammissibili in sede di legittimità.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Omessa Dichiarazione: La Cassazione sulla Responsabilità del Prestanome

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 32164/2025 affronta un tema cruciale nel diritto penale tributario: la responsabilità dell’amministratore formale (o ‘prestanome’) per il reato di omessa dichiarazione. Questa pronuncia chiarisce i limiti del ricorso in Cassazione e riafferma principi consolidati sulla valutazione delle prove e sull’individuazione del responsabile penale, anche quando la gestione effettiva della società è in mano ad altri.

I Fatti del Caso: Amministratore di Diritto contro Amministratore di Fatto

Il caso riguarda un’amministratrice di una società a responsabilità limitata, condannata in primo e secondo grado per il reato di omessa dichiarazione previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 74/2000. La difesa dell’imputata si basava su un punto fondamentale: ella sosteneva di essere stata una semplice prestanome, priva di reali capacità gestionali, e di aver accettato l’incarico su induzione degli amministratori di fatto. Inoltre, affermava di aver cessato la propria carica amministrativa prima del momento in cui il reato si era consumato, trasferendo il ruolo a un’altra persona.

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva confermato la condanna, pur riducendo leggermente la pena. I giudici di secondo grado avevano ritenuto che la successione nella carica amministrativa fosse un’operazione meramente fittizia, orchestrata al solo scopo di sottrarre l’imputata alle proprie responsabilità. Questa conclusione era supportata da diversi elementi, tra cui precedenti penali specifici a carico dell’imputata e l’assenza di prova di un effettivo pagamento per la cessione delle quote sociali.

I Motivi del Ricorso e la Responsabilità per Omessa Dichiarazione

L’imputata ha proposto ricorso per Cassazione basandosi su tre motivi principali:

1. Errata individuazione del responsabile: La difesa lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse erroneamente attribuito la responsabilità all’imputata nonostante le prove della sua cessazione dalla carica e del suo ruolo di mera prestanome.
2. Mancata rinnovazione dell’istruttoria: Si contestava il rigetto, da parte della Corte d’Appello, della richiesta di ascoltare come testimone uno degli presunti amministratori di fatto, ritenuto decisivo per provare la reale gestione della società.
3. Errato calcolo della prescrizione: Si sosteneva che il termine di prescrizione del reato fosse stato calcolato in modo errato, non tenendo conto correttamente della normativa applicabile.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutti i motivi sollevati. Vediamo perché.

Sul primo motivo, gli Ermellini hanno chiarito che le censure relative alla valutazione delle prove e alla ricostruzione dei fatti non sono ammissibili in sede di legittimità. La Corte di Cassazione non è un ‘terzo grado di giudizio’ dove si possono riesaminare i fatti, ma un giudice della legge. La Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica e non contraddittoria per ritenere fittizia la cessazione dalla carica, basandosi su elementi concreti. Tentare di offrire una ‘lettura alternativa’ delle prove, come fatto dalla difesa, è un’attività preclusa in questa sede.

Anche il secondo motivo è stato respinto. La Corte ha ribadito che la rinnovazione dell’istruttoria in appello è un istituto eccezionale. Il giudice d’appello può disporla solo se la ritiene ‘assolutamente necessaria’ per decidere. In questo caso, la richiesta di sentire il testimone era stata giudicata generica e contraddittoria rispetto a precedenti dichiarazioni. La decisione discrezionale e motivata del giudice di merito è, pertanto, insindacabile in Cassazione.

Infine, sul terzo motivo, la Corte ha confermato l’orientamento consolidato secondo cui il reato di omessa dichiarazione si consuma non alla scadenza ordinaria per la presentazione, ma allo scadere dei novanta giorni successivi concessi dalla legge. Questo periodo di ‘tolleranza’ sposta in avanti il momento consumativo del reato e, di conseguenza, l’inizio del decorso della prescrizione. La Corte territoriale aveva quindi calcolato correttamente i termini, e in ogni caso il reato non sarebbe risultato prescritto al momento della decisione d’appello.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: chi accetta formalmente la carica di amministratore di una società si assume tutte le responsabilità legali che ne derivano, inclusa quella penale per i reati tributari come l’omessa dichiarazione. Difendersi sostenendo di essere un semplice prestanome non è sufficiente, specialmente se gli elementi probatori indicano che la cessazione dalla carica è stata un atto simulato per eludere la legge. La Corte di Cassazione, inoltre, conferma la sua funzione di giudice di legittimità, chiarendo che non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella, logicamente motivata, dei giudici di merito. La decisione sottolinea l’importanza della diligenza e della consapevolezza per chiunque accetti un ruolo di amministratore, ricordando che le responsabilità formali hanno conseguenze sostanziali e concrete.

Essere un ‘prestanome’ esclude la responsabilità penale per omessa dichiarazione?
No. Secondo la sentenza, chi accetta formalmente la carica di amministratore è responsabile penalmente per i reati commessi, a meno che non provi in modo inequivocabile di aver cessato la carica in modo effettivo e non fittizio. La Corte può ritenere irrilevante il ruolo di prestanome se la successione nell’incarico è considerata un’operazione simulata.

È possibile chiedere di ascoltare nuovi testimoni durante il processo di appello?
Sì, è possibile chiederlo, ma la rinnovazione dell’istruttoria in appello è un istituto eccezionale. La Corte d’Appello la concede a sua discrezione solo se la ritiene ‘assolutamente necessaria’ per decidere. Un rigetto motivato, ad esempio perché la richiesta è generica o contraddittoria, non è contestabile in Cassazione.

Come si calcola il termine di prescrizione per il reato di omessa dichiarazione?
La sentenza conferma l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il reato si considera consumato allo scadere dei 90 giorni successivi al termine ordinario per la presentazione della dichiarazione. La prescrizione inizia a decorrere da quel momento, e non dalla scadenza originaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati