Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32164 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32164 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 18/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Paternò il 21/01/1986, avverso la sentenza del 27/09/2024 della Corte d’appello di Catania;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Dr. NOME COGNOME cui il P.G. si Ł riportato in udienza, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
udito, per l’imputato, l’Avv. NOME COGNOME COGNOME del Foro di Catania, che ha concluso riportandosi al ricorso e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Catania, con sentenza in data 27/09/2024, in riforma della sentenza del Tribunale di Catania del 12/07/2021, che aveva condannato NOME COGNOME alla pena sospesa di anni uno e mesi sette di reclusione oltre alle pene accessorie come per legge, in ordine al delitto di cui all’articolo 5 d. lgs. 74/2000, rideterminava la pena in anni uno e mesi sei di reclusione, riducendo ad anni uno le pene accessorie, con conferma nel resto.
Avverso la sentenza l’imputata propone, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione.
2.1. con il primo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di individuazione dell’autore materiale del reato, nella parte in cui la sentenza individua quale responsabile penale l’odierna ricorrente nonostante la prova dell’intervenuta cessazione della carica amministrativa al tempo di consumazione del reato.
La Corte di appello, con argomentazioni apodittiche, ritiene che la successora dell’imputata (tale COGNOME forse un mero intestatario fittizio, privo di conoscenze specifiche nel settore, ritenendo altresì, altrettanto apoditticamente, che la ricorrente si fosse dolosamente spogliata della carica amministrativa.
In realtà, anche la Cunsolo, priva di qualsiasi capacità gestionale, aveva accettato la carica dietro induzione da parte dei signori COGNOME Francesco e COGNOME NOMECOGNOME amministratori di fatto, ad assumere la carica di prestanome.
Ancora, erroneamente, la Corte territoriale trova conferma della sussistenza del dolo nella sussistenza di un precedente decreto penale di condanna per reati fiscali nonchØ
nell’assenza di prova di avere ricevuto un compenso a seguito della cessione delle quote sociali, così invertendo l’onere della prova, che deve gravare sull’accusa.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge in relazione all’articolo 603 del codice di procedura penale per aveva la Corte di appello rigettato la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in cui si era chiesta l’escussione del suddetto COGNOME come colui che materialmente ebbe a gestire la società RAGIONE_SOCIALE
2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge in relazione al calcolo del tempo necessario a prescrivere, che deve individuarsi nel 30 settembre 2024 anzichØ nel 30 dicembre 2024, in quanto il termine di 90 giorni previsto dal comma 2 dell’articolo 5 d. lgs. 74/2000 non può essere calcolato ai fini della prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
Il primo motivo Ł inammissibile.
La sentenza impugnata, a pagina 4-8 della motivazione, ricostruisce i fatti e il passaggio di consegne tra la Cunsolo e la Zelazowska, ritenendolo meramente fittizio e finalizzato ad estromettere formalmente dalla carica amministrativa della società l’imputata, corredando tale conclusione da una valutazione del quadro probatorio non manifestamente illogica o contraddittoria (adducendo la sussistenza di precedenti penali specifici; la circostanza che la nuova amministratrice sia stata riconosciuta come mero prestanome la sentenza irrevocabile; che non sia stata rinvenuta prova del pagamento relativo alla cessione delle quote sociali, elemento da cui inferire la natura fittizia della relativa operazione).
Il motivo di ricorso Ł inammissibile in quanto, per un verso, Ł articolato totalmente in fatto; per altro verso, propone una personale rilettura del tessuto probatorio evidentemente preclusa in sede di legittimità e propone, in ogni caso, censure motivazionali che parimenti non possono trovare ingresso in questa sede, consistendo nella differente comparazione delle risultanze istruttorie effettuate dal giudice del merito.
Il giudice di legittimità non può infatti rivalutare le fonti di prova, in quanto tale attività Ł rimessa esclusivamente alla competenza dei giudici di merito.
Il sindacato di legittimità va infatti sollecitato sul «prodotto dell’ingegno» e non sul puro e semplice «materiale probatorio» (e men che meno su singoli «frammenti» di esso) e, pertanto, una volta indicati gli elementi probatori, il giudice di legittimità deve chiarire la ragione e sulla base di quali elementi sia stata elaborata una determinata ipotesi costruttiva e per quale ragione ne siano state scartate altre (Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, E., Rv. 276566 – 01; Sez. 5, n. 35816 del 18/06/2018, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012, Aprovitola, Rv. 253774 – 01), ciò che, come visto, la corte territoriale ha operato senza fare cattivo governo delle regole della logica nella valutazione delle prove.
3. La seconda censura Ł manifestamente infondata in quanto propone interpretazioni della norma invocata in palese contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità.
Ed infatti, nel respingere la richiesta ex art. 603 cod. proc. pen., la Corte di appello (pag.9-10), facendo uso del suo potere discrezionale, ha ritenuto che la richiesta di escussione di tale COGNOME fosse, da un lato, totalmente generica, non essendo l’appellante neppure stata in grado di fornire le generalità complete del soggetto di cui chiedeva l’escussione, e, dall’altro, contraddittoria rispetto alle dichiarazioni rese in occasione dell’accertamento tributario, in cui aveva indicato il COGNOME NOME, e non il COGNOME, come soggetto che l’aveva spinta a assumere il ruolo di amministratore.
Tale motivazione fa buon governo del consolidato indirizzo di questa Corte, che il Collegio condivide e ribadisce, secondo cui, nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale prevista dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., attesa la «presunzione di completezza» dell’istruttoria espletata in primo grado, Ł un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorchØ il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/15, COGNOME, Rv. 266820).
Tale accertamento Ł quindi subordinato alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, COGNOME, Rv. 274230 – 01).
La rinnovazione del dibattimento Ł pertanto subordinata, da una parte, alla condizione di una sua «necessità», che il legislatore qualifica come «assoluta» per sottolinearne l’oggettività e l’insuperabilità col ricorso agli ordinari espedienti processuali e, dall’altra, alla condizione che il giudice, cui demanda ogni valutazione in proposito, la percepisca e la valuti come tale, vale a dire come un ostacolo all’accertamento della verità del caso concreto, insormontabile senza il ricorso alla rinnovazione totale o parziale del dibattimento. La discrezionalità dell’apprezzamento, dalla legge rimesso al giudice di merito, determina su altro versante l’incensurabilità in sede di legittimità di una valutazione correttamente motivata (Sez. 4, n. 11571 del 20/12/2023, dep. 2024, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G, Rv. 274230; Sez. 6, Sentenza n. 8936 del 13/01/2015, COGNOME, Rv. 262620 01; Sez. 6, n. 4089 del 03/03/1998 Rv. 210217 COGNOME e altri).
In altre pronunce, questa Corte ha perfino ritenuto che la decisione può essere anche sorretta da una motivazione implicita, rinvenibile nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per la valutazione negativa o positiva della responsabilità ( ex plurimis , sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275114 – 01; Sez. 6 n. 30774 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257741; n. 11907 del 13/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259893; Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 247872 – 01; Sez. 5 n. 15320 del 10/12/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 246859; n. 40496 del 21/05/2009, Messina, Rv. 245009).
La doglianza Ł pertanto in palese contrasto con la giurisprudenza di questa Corte e va pertanto dichiarata inammissibile per manifesta infondatezza.
Anche il terzo motivo Ł manifestamente infondato.
Il Collegio premette che il consolidato orientamento della Corte (riferito sia all’ipotesi delittuosa di cui al comma 1bis della norma incriminatrice in parola che a quella di cui al comma 1) Ł nel senso che il momento consumativo del delitto di omessa dichiarazione vada fissato alla scadenza del termine dilatorio di novanta giorni concesso al contribuente, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del medesimo decreto, per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario (Sez. 3, n. 36387 del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 276884 – 01; Sez. 4, n. 24691 del 03/03/2016, Villabuona, Rv. 267229 – 01; Sez. 7, Ord. n. 29435 del 27/11/2015, dep. 2016, NOME COGNOME n.m.; Sez. 3, n. 17413 del 09/02/2016, COGNOME n.m.; Sez. 3, n. 49651 del 15/10/2015, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 17120 del 20/01/2015, COGNOME, Rv. 263251 – 01), per cui la Corte territoriale ha applicato la disciplina normativa in esame conformemente all’orientamento di legittimità.
Ciò posto, va sottolineato che, anche a volere in via meramente ipotetica considerare il termine di cui all’articolo 5, comma 2, anzidetto, come causa di esclusione della punibilità e non (come affermato dalla giurisprudenza assolutamente prevalente) quale spostamento in
avanti dell’epoca di consumazione del reato, nel caso in esame, al 27 settembre 2024, data di lettura in udienza del dispositivo della sentenza di appello, il reato non era ancora prescritto (lo sarebbe stato il 30 settembre, ossia tre giorni dopo), ciò che rende del tutto irrilevante la censura proposta ai fini della prescrizione.
Il ricorso non può quindi che essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così Ł deciso, 18/09/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME