Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34192 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 34192 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: PAZIENZA VITTORIO
Data Udienza: 16/09/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Frosinone il DATA_NASCITA avverso la sentenza emessa il 09/09/2024 dalla Corte d’Appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 09/09/2024, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Frosinone, in data 03/10/2023, con la quale COGNOME NOME era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, limitatamente all’omessa dichiarazione ai fini IVA per l’anno di imposta 2015 (il Tribunale aveva invece assolto il COGNOME dal
reato di omessa dichiarazione ai fini IRPEF, sempre con riferimento al predetto anno di imposta).
Ricorre per cassazione il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità. Si censura la sentenza per avere la Corte travisato il contenuto della sentenza assolutoria (nel frattempo divenuta irrevocabile) prodotta nel corso del giudizio di appello, dal momento che tale pronuncia, relativa all’anno di imposta 2013, riguardava – diversamente da quanto sostenuto in sentenza – anche il medesimo titolo di reato ascritto al COGNOME, nella sede odierna, per l’anno di imposta 2015.
La difesa lamenta inoltre la mancata considerazione degli argomenti svolti a sostegno dell’insussistenza del reato, anche quanto all’insufficienza dei dati presuntivi acquisiti attraverso il c.d. spesometro, in presenza di conti cointestati con altro soggetto.
Si censura poi la mancanza di motivazione quanto all’elemento soggettivo, essendo la questione stata liquidata con una frase adattabile a qualsiasi pronuncia attesa la genericità del riferimento a “quanto emerso dagli atti”.
2.2. Vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio. Si censura il riferimento al “significativo flusso di danaro”, giustificativo del discostamento dal minimo edittale, in quanto la somma asseritamente evasa superava la soglia di punibilità di soli Euro 27.000 circa.
2.3. Vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena. Si censura il carattere apparente della motivazione, priva di qualsiasi riferimento concreto idoneo a riempire di significato il generico riferimento alle “peculiari modalità della condotta”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti che verranno qui di seguito esposti.
Le censure concernenti l’affermazione di responsabilità del COGNOME sono nel complesso infondate.
2.1. Per ciò che riguarda il dedotto travisamento del contenuto della sentenza assolutoria dedotta in grado di appello, viene in rilievo l’insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui «in tema di ricorso per cassazione, ai fini della deducibilità del vizio di “travisamento della prova”, che si risolve nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nella omessa valutazione della prova esistente agli atti, è necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento o dell’omissione nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica» (Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, COGNOME, Rv. 280117 – 01. In senso conforme, cfr. da ultimo Sez. 6, n. 30193 del 04/07/2025, COGNOME).
Nella specie, pur avendo la Corte d’Appello effettivamente equivocato sul contenuto della precedente sentenza assolutoria allegata dal difensore (nel senso che tale pronuncia aveva riguardato, relativamente ad altro anno di imposta, non solo il reato di cui all’art. 4, ma anche quello di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 ogni approfondimento al riguardo risulta precluso dalla mancata prospettazione, nei necessari termini di decisività in precedenza richiamati, della rilevanza del travisamento medesimo con riferimento all’omessa dichiarazione ai fini IVA ascritta al COGNOME per l’anno di imposta 2015.
Al riguardo, si deve invero evidenziare che la difesa si è limitata ad affermare, a pag. 3 del ricorso, che la corretta valutazione della pronuncia – peraltro all’epoca non ancora irrevocabile – “avrebbe dovuto indurre i giudici della Corte del merito ad approfondire gli argomenti rappresentati nella relativa motivazione”.
2.2. Sono altresì nel complesso infondate anche le altre censure dedotte sulla configurabilità della omessa dichiarazione, concernenti l’elemento oggettivo del reato.
2.2.1. Per ciò che riguarda la sussistenza dell’obbligo dichiarativo ai fini IVA, deve osservarsi che si è dinanzi ad una “doppia conforme” imperniata sull’esito degli accertamenti in sede di verifica che – essendo emersa la necessità di far riferimento al COGNOME come ditta individuale (venuta meno la pluralità di soci dell’associazione RAGIONE_SOCIALE, utilizzata dal ricorrente come schermo) – ha quantificato, per l’anno di imposta 2015, in Euro 350.933 le somme affluite sul conto della COGNOME RAGIONE_SOCIALE (con IVA evasa pari a 77.205), senza considerare gli accrediti stipendiali pari, nel 2015, ad Euro 15.650,58 (cfr. sul punto pag. 4 della sentenza di primo grado, pag. 2 seg. della sentenza impugnata). Dal compendio argomentativo unitario, costituito dalle sentenze di primo e di secondo grado secondo i noti principi in tema di “doppia conforme”, emerge altresì: che tali conclusioni erano state tratte valorizzando le operazioni attive risultanti dal c.d. spesometro, alle quali non aveva corrisposto alcuna dichiarazione; che nell’analisi di conti della COGNOME e dello stesso COGNOME erano stati escluse tutte le voci correlate ad emolumenti, stipendi ecc.; che l’invito a comparire era rimasto privo di effettiva risposta; che i conti cointestati con altro soggetto erano stati considerati al 50%, in mancanza di una diversa dimostrazione (cfr. pag. 3 seg. della sentenza del Tribunale).
A fronte di tali convergenti ed omogenee linee argomentative, la difesa si è limitata a contestare in termini del tutto generici la valorizzazione delle risultanze dello spesometro e delle verifiche sul conto cointestato, incorrendo quindi nella inammissibilità della doglianza difetto di specificità, correlato appunto alla mancanza di un effettivo confronto con le ragioni poste a sostegno del provvedimento impugnato.
2.2.2. Appare poi del tutto privo di fondamento l’ulteriore assunto difensivo secondo cui, per l’insorgenza dell’obbligo dichiarativo, sarebbe necessaria
l'”effettiva percezione di reddito corrispondente alle fatture emesse” (cfr. pag. 3 del ricorso).
Come correttamente sottolineato dal AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO nella requisitoria richiamata in sede di discussione, la giurisprudenza di questa Suprema Corte è invero del tutto costante nell’affermare che l’emissione della fattura, se antecedente al pagamento del corrispettivo delle prestazioni effettuate, espone il contribuente, per sua scelta, all’obbligo di versare comunque la relativa imposta, poiché l’obbligo di indicazione nella dichiarazione e di versamento della relativa imposta non deriva dall’effettiva riscossione di tale corrispettivo (cfr. sul punto, tra le tante, Sez. 3, n. 41070 del 27/06/2019, Felisio, Rv. 277939 – 01).
2.2.3. Per ciò che riguarda, infine, i rilievi formulati in ordine alla ritenut sussistenza dell’elemento soggettivo, ritiene il Collegio che ogni approfondimento al riguardo sia ultroneo, non essendo la questione stata dedotta con l’atto di appello.
Sono invece fondate, per ragioni sostanzialmente sovrapponibili, le censure in ordine al trattamento sanzionatorio e alla mancata applicazione della sospensione condizionale.
3.1. Devono infatti essere condivise, da un lato, le doglianze mosse con riferimento alla quantificazione della pena (discostatasi di sei mesi dal minimo edittale allora in vigore): decisione motivata dalla Corte d’Appello con un cenno al “significativo flusso di denaro” sottratto all’imposizione (cfr. pag. 3 seg. della sentenza impugnata).
La difesa ha invero evidenziato che, al di là dell’incensuratezza del ricorrente, il superamento della soglia era di importo tale (Euro 27.000 circa) da rendere necessario un più adeguato sforzo argomentativo, per giustificare l’adozione di un trattamento sanzionatorio come quello irrogato al COGNOME: si tratta di considerazioni che il Collegio condivide, e che impongono quindi l’annullamento, in parte qua, della sentenza impugnata.
3.2. A conclusioni analoghe deve poi pervenirsi quanto al diniego della sospensione condizionale della pena, motivato dalla Corte territoriale con il richiamo alle “peculiari modalità della condotta”, ritenute ostative alla formulazione di un giudizio prognostico favorevole (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).
Al riguardo, coglie nel segno la censura difensiva in ordine all’assoluta astrattezza della locuzione, adattabile a qualsiasi situazione concreta. Si è in presenza, sul punto, di una motivazione apparente, che impone l’annullamento della sentenza impugnata anche quanto a tale aspetto.
Le considerazioni fin qui svolte impongono l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma per nuovo giudizio, limitatamente ai punti relativi al trattamento sanzionatorio e alla concedibilità della sospensione condizionale della pena. Nel resto, il ricorso deve invece essere rigettato.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai punti concernenti il trattamento sanzionatorio e la concedibilità della sospensione condizionale del pena, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 16 settembre 2025
Il Consigliefrstensore
Il Presidente