Omessa Dichiarazione: A Chi Spetta Provare i Costi Deducibili?
L’omessa dichiarazione dei redditi è un reato tributario che pone complesse questioni probatorie, specialmente riguardo alla deducibilità dei costi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’onere di dimostrare l’esistenza e l’ammontare dei costi sostenuti grava interamente sul contribuente, anche quando l’amministrazione finanziaria ha proceduto con un accertamento induttivo.
Il Contesto del Caso Giudiziario
Il caso riguarda il legale rappresentante di una ditta individuale, condannato in primo grado e in appello per il reato di omessa dichiarazione, previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 74/2000. All’imputato veniva contestato di non aver presentato le dichiarazioni dei redditi per due annualità (2015 e 2017), con una conseguente evasione dell’imposta IRPEF superiore alla soglia di rilevanza penale.
L’imprenditore ha proposto ricorso per cassazione, contestando la decisione della Corte d’Appello su tre fronti principali, tutti incentrati sulla determinazione del reddito imponibile e, in particolare, sul mancato riconoscimento dei costi d’esercizio.
I Motivi del Ricorso e l’Onere della Prova dei Costi
La difesa dell’imputato ha articolato il ricorso sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato nel non considerare i costi che avrebbero ridotto l’imposta evasa al di sotto della soglia di punibilità.
La Prova dei Costi d’Esercizio
Il primo motivo di ricorso lamentava una violazione di legge, poiché i giudici di merito avrebbero preteso una prova analitica e documentale dei costi, mentre, secondo la difesa, si sarebbero dovuti considerare anche elementi presuntivi.
La Ricostruzione dei Costi da Parte dell’Amministrazione Finanziaria
Con il secondo motivo, si sosteneva che, in caso di accertamento induttivo puro, l’amministrazione finanziaria avrebbe dovuto essa stessa procedere d’ufficio alla ricostruzione dei costi dell’attività, anche se non annotati nelle scritture contabili.
L’Applicazione di un Criterio Induttivo per i Costi
Infine, la difesa ha evidenziato una presunta illogicità della motivazione. Era stato prodotto un caso analogo in cui l’Agenzia delle Entrate aveva calcolato un’incidenza media dei costi sui ricavi pari al 56,62% per imprese dello stesso settore. L’applicazione di tale percentuale, secondo il ricorrente, avrebbe ridotto l’imposta evasa al di sotto della soglia penale.
La Decisione della Corte di Cassazione sull’Omessa Dichiarazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno stabilito che le argomentazioni della difesa non miravano a denunciare un errore di diritto, ma a sollecitare una nuova e diversa valutazione delle prove, un’attività preclusa in sede di legittimità.
le motivazioni
La motivazione della Corte si fonda su principi consolidati. In primo luogo, il ricorso è stato giudicato inammissibile perché tendeva a una “rilettura degli elementi probatori”, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (primo e secondo grado). La Corte di Appello aveva già valutato in modo logico e corretto le prove disponibili, incluse le testimonianze e, soprattutto, l’assenza di documentazione probatoria fornita dall’imputato riguardo ai costi che asseriva di aver sostenuto.
Il punto cruciale della decisione risiede nella riaffermazione dell’onere della prova. La Corte ha chiarito che spetta al contribuente, e non all’accusa o all’amministrazione finanziaria, dimostrare l’esistenza di costi deducibili. Non è sufficiente invocare criteri presuntivi o medie di settore. Occorrono “elementi analitici, documentali e/o fattuali” che provino l’effettivo sostenimento di tali costi. Nel caso specifico, la Corte ha anche notato che lo sforamento della soglia di punibilità per una delle annualità era così significativo che, senza prove concrete, era impossibile ritenere che l’imposta evasa potesse scendere al di sotto del limite di legge.
le conclusioni
L’ordinanza in esame rafforza un importante monito per tutti i contribuenti: la responsabilità di documentare e provare i costi d’esercizio è un dovere imprescindibile. In un procedimento penale per omessa dichiarazione, l’imputato non può sperare di salvarsi invocando una presunta inerzia dell’amministrazione finanziaria nella ricostruzione dei costi o basandosi su calcoli forfettari. La sentenza della Corte d’Appello è stata ritenuta logica, esaustiva e non sindacabile, confermando la condanna e chiudendo definitivamente la vicenda processuale.
Chi deve provare l’esistenza di costi deducibili in un processo per omessa dichiarazione?
Secondo questa ordinanza, l’onere della prova grava interamente sul contribuente (l’imputato nel processo penale). Egli deve fornire elementi analitici, documentali e fattuali per dimostrare i costi sostenuti, non potendo pretendere che sia l’amministrazione finanziaria a ricostruirli d’ufficio.
È possibile utilizzare calcoli percentuali o presuntivi per dimostrare i costi e scendere sotto la soglia di punibilità?
No, la Corte ha stabilito che non è sufficiente fare riferimento a criteri presuntivi, come le medie di settore, per ridurre l’imponibile. Per ottenere il riconoscimento dei costi ai fini della determinazione dell’imposta evasa, è necessaria una prova concreta e specifica dei costi effettivamente sostenuti.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, invece di contestare errori nell’applicazione della legge, mirava a ottenere una nuova valutazione delle prove e dei fatti del caso. Questo tipo di riesame è precluso alla Corte di Cassazione, il cui compito è verificare la corretta interpretazione delle norme giuridiche, non agire come un terzo grado di giudizio sul merito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22188 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22188 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 28/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MIRANO il 12/12/1965
avverso la sentenza del 11/06/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto:
–che la Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 11/06/2024, ha confermato la sentenza de Tribunale di Udine del 30/05/2022 di condanna di COGNOME NOME, rappresentante legale dell omonima ditta individuale, per il reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 per non aver, di evadere le imposte sui redditi, ( presentato le dichiarazioni per le annualità 2015 e 2 con conseguente evasione di imposta IRPEF;
–che l’imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo con un primo motivo l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge in relazione all’art. 53 Cost., 39, comma 41 d.P.R. 600 del 1973 nonché in ordine agli artt. 56, 83, 109, comma 4, del d.P.R. 917/1986 alla circolare dell’Agenzia delle Entrate 32/E/2006 per aver la Corte ritenuto che l’impu avrebbe dovuto allegare elementi analitici, documentali e/o fattuali e quindi non merament presuntivi suscettibili di provare l’esistenza e la quantificazione dei costi della propria a
–che, con un secondo motivo, lamenta l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge i relazione all’art. 24 Cost. per non aver la Pubblica amministrazione, a fronte di determinazione del reddito evaso a mezzo di accertamento induttivo puro, proceduto d’ufficio alla ricostruzione dei costi dell’attività, anche nel caso in cui non fossero stati annota scritture contabili;
–che, con un terzo motivo, lamenta mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità del motivazione in ordine al mancato riconoscimento e applicazione del criterio induttivo determinazione dei costi e della relativa base imponibile con riguardo all’omessa valutazione prove fornite dalla difesa, posto che la difesa avrebbe prodotto le risultanze di un sovrapponibile a quello di specie ove l’Agenzia delle Entrate aveva proceduto al calco dell’incidenza media dei costi sui ricavi nella percentuale del 56,62% relativa ad impr esercenti la medesima attività del ricorrente e che se fossero state vagliate dalla Corte di app applicando l’identico meccanismo di calcolo, avrebbero determinato una diminuzione dei valori di evasione contestati al ricorrente al di sotto delle soglie di configurabilità del reato di c 5 d.lgs. 74 del 2000;
–che il ricorso è inammissibile perché appare volto, in contrasto con i principi più volti af da questa Corte (cfr Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, dep. P.G. in proc. COGNOME, Rv. 236893 a pretendere una rilettura degli elementi probatori già correttamente e logicamente valutati giudice d’appello che, sul punto della configurabilità del reato, ha correttamente valorizza deposizione della teste COGNOME nonché l’assenza di prove fornite dal ricorrente in ordine costi asseritamente sostenuti e da ultimo la circostanza che lo sforannento della soglia nel 20 è tale da non consentire, in mancanza di elementi fattuali relativi ai costi che l’imputato av potuto fornire, di ritenere l’imposta evasa sarebbe sotto la soglia di euro 50.000;
–che tale motivazione, in quanto logica ed esaustiva, non è qui sindacabile;
–che il ricorso, conseguentemente, va dichiarato inammissibile;
–che, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di inammissibilità – non pote escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7 -13 giugno 2000, n. 1
segue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti, di eur
tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma, nella camera di consiglio del 28 febbraio r3325P3