Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1040 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1040 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Gela il 28.4.1984
avverso la sentenza in data 6.5.2024 della Corte di Appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione dell’annualità 2013
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 6.5.2024 la Corte di Appello di Venezia ha confermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 5 d. Igs. 74/2000 ed 81 cod. pen. per aver omesso di presentare, in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, le dichiarazioni dei redditi e IV relativamente agli anni 2013, 2014 e 2015, al fine di evadere le relative imposte, ma avendo ritenuto estinta per prescrizione la condotta delittuosa relativa all’anno 2012 ha ridotto, a parziale riforma della pronuncia resa all’esito del primo grado di giudizio dal Tribunale della stessa città, la pena ad un anno e dieci mesi di reclusione.
Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando quattro motivi con c:ui lamenta in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio di carenza motivazionale:
2.1. l’insussistenza dell’elemento soggettivo per essere stato l’omesso versamento delle imposte indotto da una prolungata situazione di mancanza di liquidità correlata alla grave crisi economica in corso, e dunque da cause indipendenti dalla propria volontà, essendo stato animato dal solo fine di mantenere i medesimi standard occupazionali e retributivi della società;
2.2. la sussistenza del ragionevole dubbio non essendosi tenuto conto dei motivi di necessità e forza maggiore diffusamente prospettati dalla difesa nei termini indicati con il precedente motivo;
2.3. il diniego delle attenuanti generiche, il cui riconoscimento era stato invocato in ragione delle difficoltà economiche finanziarie incontrate all’epoca dei contestati reati, reso in assenza della benché minima motivazione;
2.4. l’intervenuta prescrizione relativa all’annualità 2013 alla data del 26.3.2024 e dunque in epoca antecedente alla pronuncia della Corte di appello
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso non supera il vaglio di ammissibilità in relazione a nessuna delle devolute censure.
Il primo ed il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto tra loro intrinsecamente connessi, si risolvono in doglianze pedissequamente reiterative dei motivi di doglianza articolati con l’atto di appello, articolate assenza di alcun confronto argomentativo con i puntuali rilievi che hanno indol:to la Corte distrettuale a disattenderne il fondamento.
La difesa si limita ad invocare la grave crisi di liquidità che avrebbe colpito la società RAGIONE_SOCIALE all’epoca dei fatti in contestazione, ma non si cura affatto di superare la specifica osservazione resa dai giudici del gravame, peraltro in conformità a quanto già rilevato dalla sentenza di primo grado, in ordine alla mancanza di dimostrazione della condizione asseritannente impeditiva, in ogni caso prospettata nei ben diversi termini di una “difficile situazione finanziaria”.
Ma anche a prescindere dal suddetto rilievo, è la stessa formulazione della censura in esame a porsi del tutto fuori asse rispetto ad una condotta delittuosa, qual è quella prevista dall’art. 5 d. Igs. 74/2000, che non concerne l’omesso versamento di un’imposta, adempimento rispetto al quale potrebbe in astratto rilevare una mancanza di liquidità del contribuente cui corrisponda l’assenza di consistenze patrimoniali unitamente all’impossibilità di reperire aliunde le risorse necessarie a consentirgli l’assolvimento al debito erariale, quanto invece l’omessa
presentazione alle scadenze previste delle dichiarazioni di imposta riferite alle singole annualità indicate nel capo di imputazione.
Di ciò si trae indiretta conferma dalle recenti modifiche introdotte all’interno del decreto legislativo 74/2000 dal d. Igs. 14 giugno 2024, n. 87 che, nel prevedere al comma 3 bis dell’art. 13 la non punibilità dei reati di cui agli articol 10-bis e 10-ter se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto, impone al giudice di tenere conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore della condotta, pur circoscritta alla inesigibilità dei crediti per accerta insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi. Viene infatti rimarcata proprio dalla limitazione ai soli reati relativi all’omesso versamento delle ritenute dovute come sostituto di imposta ovvero dell’imposta sul valore aggiunto, e dunque all’inadempimento di crediti dell’Erario predeterminati nel quantum, la irrilevanza della crisi di liquidi a fronte di inadempimenti aventi ad oggetto un facere diversi dal versamento di somme di danaro.
Diventa, conseguentemente, un fuor d’opera invocare la violazione del principio del ragionevole dubbio, che configura la mera codificazione della regola giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell’imputato, qualora, come nel caso di specie, le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e, ancor prima, della logica.
Ad analoga sorte non si sottrae il terzo motivo relativo al diniego delle attenuanti generiche, risolvendosi le dispiegate censure nella mera contestazione di una motivazione che dà pienamente conto degli elementi fondanti il mancato riconoscimento del beneficio e che pertanto costituisce di per sé la compiuta rappresentazione del corretto esercizio del potere discrezionale da parte dei giudici del gravame.
Nel considerare la mitezza della pena già inflitta dal giudice di primo grado in corrispondenza del minimo edittale con aumenti del tutto contenuti ai fini della continuazione, la Corte distrettuale ha valorizzato in termini ostativi al riconoscimento del beneficio l’intensità del dolo implicitamente sottesa alla reiterazione delle condotte criminose e alla conseguente strategia perseguita dal ricorrente nell’evasione delle imposte.
Risponde, del resto, al costante orientamento di questa Corte il principio secondo il quale la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62 bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice di merito con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria
decisione, e quindi anche sui soli elementi ritenuti ostativi alla concessione del beneficio la cui configurabilità preclude la disamina degli altri parametri dell’art.133 c.p. di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (cfr. ex plurinnis Sez. 5, Sentenza n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549), nella specie neppure addotti per essersi il ricorso limitato ad evidenziare le stesse difficoltà economiche finanziarie fatte valere al fine di escludere l’elemento soggettivo dei reati, rimaste secondo i giudici di merito del tutto indimostrate.
3. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Dovendosi individuare il momento consunnativo del delitto di omessa dichiarazione di cui all’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 alla scadenza del termine dilatorio di novanta giorni concesso al contribuente, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del medesimo decreto, per presentare la dichiarazione successivamente alla scadenza del termine ordinario (Sez. 3, Sentenza n. 36387 del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 276884), nessuna prescrizione poteva ritenersi maturata per le omesse dichiarazioni di imposta riferite all’annualità 2013: decorrendo il relativo termine dalla scadenza indicata nel capo di imputazione del 30.12.2014, già comprensiva dei 90 giorni sopra indicati, il termine decennale di prescrizione, calcolato includendo la maggiorazione prevista dall’art. 17 comma 1bis d. Igs. 74/2000, oltre all’aumento di un quarto conseguente all’interruzione ex art. 161 cod. pen., non era affatto decorso al momento della sentenza impugnata pronunciata in data 6.5.2024.
La genetica inidoneità del ricorso, a causa della sua inammissibilità, ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza gravata non consente in ogni caso di prendere in considerazione il computo prescrizionale maturato dopo la statuizione della Corte di appello in pendenza della presente fase di legittimità (cfr. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266).
All’esito del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale del 13 giugno 2000 n.186, nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 16.12.2024