Omessa Dichiarazione IVA: La Cassazione Conferma la Condanna
L’omessa dichiarazione IVA è uno dei reati tributari più comuni, ma le sue implicazioni procedurali possono essere complesse. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui limiti del ricorso in sede di legittimità, chiarendo perché le contestazioni sui fatti e sulla valutazione delle prove non possono trovare accoglimento. Analizziamo insieme questo caso per capire le ragioni della decisione e le sue conseguenze pratiche per imprenditori e professionisti.
I Fatti del Caso
Un imprenditore è stato condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era di aver omesso la presentazione della dichiarazione IVA per l’anno di imposta 2015, causando un’evasione fiscale pari a 97.865,00 euro. L’imputato, non rassegnandosi alla condanna, ha proposto ricorso per Cassazione, sperando di ottenere l’annullamento della sentenza d’appello.
I Motivi del Ricorso: Una Difesa a Due Punte
La difesa dell’imprenditore si basava su due argomenti principali:
1. Profilo Oggettivo: Si contestava l’affermazione di responsabilità, sostenendo che mancasse un adeguato accertamento giudiziale sul reale superamento della soglia di punibilità prevista dalla legge.
2. Profilo Soggettivo: Si lamentava la carenza del cosiddetto ‘dolo specifico’, ovvero l’intenzione specifica di evadere le imposte. Secondo la difesa, la condanna si basava su una presunzione di colpevolezza senza una prova concreta della volontà evasiva.
La Decisione della Corte sull’omessa dichiarazione IVA
La Suprema Corte ha respinto le argomentazioni dell’imprenditore, dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione significa che i giudici non sono nemmeno entrati nel merito delle questioni sollevate, ritenendole non proponibili in quella sede. Di conseguenza, la condanna è diventata definitiva e l’imprenditore è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro.
Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Stato Ritenuto Inammissibile
La parte più interessante della pronuncia risiede nelle motivazioni che hanno portato alla dichiarazione di inammissibilità. La Corte ha spiegato che entrambi i motivi di ricorso non rientravano nel ‘numerus clausus’ delle censure ammissibili in sede di legittimità. In parole semplici, l’imprenditore stava chiedendo alla Cassazione di fare qualcosa che non le compete: riesaminare i fatti e le prove.
La Corte di Cassazione, infatti, è un giudice di legittimità, il cui compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto, non ricostruire l’accaduto. I giudici hanno sottolineato che la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione ‘congrua, esauriente ed idonea’, basando la sua decisione su una ricostruzione precisa dei fatti e un’analisi approfondita delle risultanze processuali, come le scritture contabili e le fatture.
Inoltre, la Corte ha validato il ragionamento del giudice di merito riguardo al dolo. L’intenzione di evadere non era presunta, ma logicamente dedotta da due elementi cruciali:
* L’entità dello sforamento della soglia di punibilità, che era notevole.
* Il fatto che l’imprenditore avesse omesso la presentazione delle dichiarazioni IVA anche per gli anni 2014 e 2016, dimostrando un comportamento sistematico e non un errore isolato.
Conclusioni: Cosa Impariamo da Questa Ordinanza
Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere le prove. Le doglianze devono riguardare violazioni di legge o vizi logici evidenti nella motivazione della sentenza, non un diverso apprezzamento dei fatti. In secondo luogo, conferma che nel reato di omessa dichiarazione IVA, il dolo specifico di evasione può essere provato anche attraverso elementi indiretti (presunzioni), come l’importo evaso e la serialità del comportamento illecito. Un monito per chi pensa che la mancata presentazione di una dichiarazione possa essere facilmente giustificata come una semplice dimenticanza.
Come viene provata l’intenzione di evadere le tasse nel reato di omessa dichiarazione IVA?
La Corte ha specificato che l’intenzione (dolo) può essere provata attraverso elementi fattuali. In questo caso, è stata desunta dall’importo significativo dell’imposta evasa (quasi 98.000 euro) e dal fatto che l’imprenditore avesse omesso la dichiarazione anche per gli anni 2014 e 2016, indicando un comportamento reiterato e non un errore occasionale.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le questioni sollevate dall’imputato non riguardavano errori di diritto, ma contestavano la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti. Questo tipo di analisi è di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado (giudici di merito), mentre la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, che si limita a verificare la corretta applicazione della legge.
È sufficiente omettere la dichiarazione IVA per essere condannati?
No, non è sufficiente la semplice omissione. Il reato di omessa dichiarazione IVA (art. 5, D.Lgs. 74/2000) richiede che l’imposta evasa superi una specifica soglia di punibilità definita dalla legge. La condanna in questo caso è stata confermata proprio perché l’evasione superava ampiamente tale soglia.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9524 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9524 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 08/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a AVELLINO il 28/04/1977
avverso la sentenza del 01/03/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
NOME COGNOME ric rre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, che ha confermato la condanna del ricorrente per il reato di cui all’art. 5 d.lgs.74/2000 in relazi all’annualità del 2015 con evasione dell’IVA pari a euro 97.865,00, deducendo con il primo motivo, violazione di legge in ordine all’affermazione della responsabilità sotto il pro oggettivo, essendo carente un accertamento giudiziale del superamento dei valori soglia e con il secondo motivo sotto il profilo soggettivo per carenza del dolo specifico.
Il ricorrente ha depositato memoria di replica.
pernsderat3L -trAgntrambe le doglianze non rientrano nel numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzio fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel cas specie, dalle cadenze motivazionali della sentenza d’appello è enucleabile una ricostruzione dei fatti precisa e circostanziata, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzion difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni, in punto di responsabilità, attraverso un disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede, come si desu dalle considerazioni formulate dal giudice a quo, laddove ha affermato che il computo del reddito di impresa è stato effettuato sulla base della documentazione richiamata in sentenza, ovvero le scritture contabili e le fatture di vendita e di acquisto indicate, anche riconoscendo i cost lavoro dipendente e il giudice avendo fatto richiamo, sotto il profilo soggettivo, all’entità sforannento della soglia di punibilità, nonché al fatto che dalla verifica fiscale è emerso ch ricorrente ha omesso la presentazione delle dichiarazioni IVA per gli anni 2014, 2015 e 2016, elemento da cui ha inferito la sussistenza del dolo tipico della fattispecie. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato che, stante l’inammissibilità del ricorso e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pe non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. Sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 08/11/2024
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