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Omessa dichiarazione IVA: quando scatta il reato?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore condannato per omessa dichiarazione IVA. La sentenza chiarisce che la responsabilità penale sorge al momento della scadenza del termine per la presentazione, non durante l’anno d’imposta. Pertanto, chi è amministratore a quella data è responsabile, anche se ha assunto la carica dopo la fine dell’anno fiscale. La successiva collaborazione con le autorità non esclude il dolo di evasione.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Omessa dichiarazione IVA: La Cassazione chiarisce la responsabilità dell’amministratore

L’omessa dichiarazione IVA è uno dei reati tributari più comuni, ma definire il momento esatto in cui sorge la responsabilità penale dell’amministratore di una società può essere complesso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 5668/2024) ha fornito chiarimenti cruciali, dichiarando inammissibile il ricorso di un amministratore e ribadendo principi fondamentali sul momento consumativo del reato e sulla valutazione del dolo.

Il caso in esame: condanna per omessa dichiarazione IVA

La vicenda riguarda l’amministratore di una società cooperativa, condannato in primo e secondo grado per il reato di omessa dichiarazione IVA previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 74/2000. Le omissioni contestate riguardavano due anni d’imposta:

* Anno 2015: con un’imposta evasa di oltre 78.000 euro, la cui dichiarazione andava presentata entro il 30 dicembre 2016.
* Anno 2017: con un’imposta evasa di circa 79.000 euro, con termine di presentazione fissato al 30 dicembre 2018.

L’amministratore, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su tre argomentazioni principali.

I motivi del ricorso: una difesa su tre fronti

La difesa ha tentato di smontare l’impianto accusatorio contestando la responsabilità dell’amministratore sotto diversi profili.

La responsabilità per l’omessa dichiarazione IVA 2015

Il primo motivo di ricorso riguardava l’annualità 2015. L’imputato sosteneva di aver assunto la carica di amministratore solo il 21 maggio 2016, quindi dopo la conclusione dell’anno d’imposta. A suo dire, non avendo gestito la società nel 2015, non poteva avere la qualifica soggettiva richiesta per commettere il reato, configurandosi come un soggetto estraneo (extraneus) alla violazione.

L’accertamento per l’anno 2017

Per l’annualità 2017, la difesa lamentava un’errata applicazione della legge penale. Si sosteneva che la Corte d’Appello avesse basato la condanna su presunzioni tipiche dell’accertamento tributario induttivo, le quali, secondo il ricorrente, non possono costituire prova sufficiente in un processo penale, dove vige la presunzione di non colpevolezza.

Il dolo specifico di evasione

Infine, veniva contestata la sussistenza del dolo specifico di evasione. L’imputato evidenziava di aver tenuto una condotta collaborativa, fornendo alla Guardia di Finanza tutta la documentazione necessaria a ricostruire il volume d’affari. Tale comportamento, secondo la difesa, sarebbe stato incompatibile con l’intenzione di evadere le imposte.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile, giudicando tutti i motivi manifestamente infondati o meramente assertivi. Analizzando punto per punto, i giudici hanno chiarito che:

1. Momento consumativo del reato: Il reato di omessa dichiarazione IVA è un reato omissivo istantaneo. Non si commette durante l’anno d’imposta, ma nel momento esatto in cui scade il termine ultimo per la presentazione della dichiarazione. Per l’anno 2015, la scadenza era il 30 dicembre 2016. A quella data, l’imputato era legalmente in carica come amministratore da oltre sette mesi e, pertanto, era il soggetto legalmente obbligato all’adempimento. La sua argomentazione di essere un extraneus è stata quindi respinta come illogica.

2. Valore delle prove: Il secondo motivo è stato giudicato assertivo. La stessa difesa, infatti, aveva ammesso l’esistenza di una condotta collaborativa e la presenza di fatture di vendita e acquisto per gli anni in questione. Ciò dimostra che l’accertamento non si era basato su mere presunzioni, ma su elementi concreti e documentali che l’imputato stesso aveva contribuito a fornire.

3. Irrilevanza della collaborazione successiva: Anche il terzo motivo è stato respinto. La Corte ha ribadito un principio consolidato: il dolo specifico di evasione deve esistere al momento della commissione del reato. Una condotta collaborativa successiva alla scadenza dei termini non può cancellare l’intenzione evasiva già manifestata con l’omissione. La collaborazione può avere rilevanza in altre sedi (ad esempio, per attenuanti), ma non esclude l’elemento soggettivo del reato già perfezionatosi.

Le conclusioni

La sentenza consolida importanti principi in materia di reati tributari. In primo luogo, la responsabilità per l’omessa dichiarazione IVA ricade su chi riveste la carica di legale rappresentante al momento della scadenza del termine di presentazione, a prescindere da quando sia entrato in carica. In secondo luogo, la successiva collaborazione con le autorità fiscali, pur essendo un comportamento lodevole, non ha efficacia retroattiva e non può eliminare il dolo di un reato già commesso. Questa pronuncia serve da monito per gli amministratori: l’assunzione di una carica comporta l’onere di verificare e adempiere a tutte le scadenze fiscali, anche quelle relative a periodi d’imposta precedenti.

Quando si considera commesso il reato di omessa dichiarazione IVA?
Il reato si perfeziona nel momento in cui scade il termine ultimo previsto dalla legge per la presentazione della dichiarazione fiscale, non durante l’anno d’imposta a cui la dichiarazione si riferisce.

Un amministratore che assume la carica dopo la fine di un anno d’imposta è responsabile per l’omessa dichiarazione relativa a quell’anno?
Sì, è responsabile se al momento della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione egli riveste la carica di legale rappresentante della società. L’obbligo di presentare la dichiarazione ricade su chi è in carica in quel preciso momento.

Una successiva collaborazione con la Guardia di Finanza può escludere il dolo di evasione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la condotta collaborativa tenuta dopo che il reato è stato commesso è irrilevante per valutare il dolo specifico di evasione, il quale deve essere presente al momento della scadenza del termine per la dichiarazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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