Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5668 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 5668  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 20/01/2023 della Corte di appello di L’Aquila; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20 gennaio 2023, la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la sentenza del 16 marzo 2022, con la quale – per quanto qui rileva il Tribunale di Avezzano ha condannato COGNOME NOME in relazione a reati di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, omesso di presentare, per l’anno di imposta
2015, la prevista dichiarazione ai fini dell’IVA, pur avendo svolto un volume d’affari per 360.622,00 con IVA evasa pari ad euro 78.418,00 (il 30 dicembre 2016), e per avere, nella stessa veste, omesso di presentare per l’anno di imposta 2017 la prevista dichiarazione ai fini dell’IVA, pur avendo svolto un volume d’affari per euro 359.291,00, con IVA evasa pari ad euro 79.044,00 (il 30 dicembre 2018).
 Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione di legge, per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente il fatto in relazione all’anno di impost 2015, senza aver tenuto conto che il ricorrente avrebbe assunto la carica di amministratore della società solamente l’anno successivo (il 21 maggio 2016), non potendo dunque controllare la società stessa tanto da poterne verificare l’andamento e i debiti tributari e, risultando, perciò, sprovvisto, al tempo del fatt della qualifica tipica del reato proprio, in quanto extraneus.
2.2. Con un secondo motivo di doglianza, si censura l’errata applicazione della legge penale, per avere la Corte d’appello ritenuto accertata l’evasione in relazione all’anno 2017, basandosi sulle presunzioni tipiche dell’accertamento induttivo, senza aver tenuto conto che esse non potrebbero avere valore di prova. Mancherebbero ulteriori elementi di riscontro, visti la presunzione di non colpevolezza vigente nel processo penale e i principi, più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’accertamento penale non si identifica con quello presuntivo dell’ordinamento tributario, ma deve considerare la reale posizione dell’imputato.
2.3. In terzo luogo, ci si duole dell’errata applicazione della legge penale, per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente il dolo specifico di evasione, senz avere tenuto conto dell’incompatibilità con tale intenzione della successiva condotta collaborativa tenuta dal ricorrente, consistita nell’aver fornito l documentazione relativa alla propria attività alla Guardia RAGIONE_SOCIALE, permettendo così a quest’ultima la quantificazione del reddito e, dunque, dell’evasione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile. La difesa censura solo formalmente violazioni di legge delle quali non precisa la portata, non indicando le disposizioni rilevanti, ma in realtà sottopone a critica, su un piano sostanziale, la motivazione della sentenza impugnata, rispetto alla quale non individua, neanche in via di mera prospettazione, lacune o profili di contraddittorietà o illogicità censurabili ai se dell’art. 606 cod. proc. pen.
3.1. Tali considerazioni valgono per il primo motivo di doglianza, che deve essere ritenuto in ogni caso manifestamente infondato. La difesa asserisce, senza alcun richiamo né agli atti di causa né alla motivazione della sentenza impugnata, che la condotta non avrebbe potuto essere ascritta all’imputato, in quanto questo aveva assunto la carica di amministratore solo il 21 maggio 2016, e ne fa conseguire, del tutto illogicamente, che egli non avrebbe potuto verificare l’andamento societario e i debiti tributari. Non considera il ricorso che – come bene evidenziato dai giudici di merito – al momento della commissione del reato (il 30 dicembre 2016), l’imputato era pacificamente da tempo il legale rappresentante della società, tenuto per legge alla presentazione delle dichiarazioni fiscali.
3.2. Parimenti assertivo è il secondo motivo di doglianza, riferito, nella sostanza, all’illegittima utilizzazione delle presunzioni tipiche dell’accertamento induttivo, che non avrebbero valore di prova. Neanche in questo caso, la difesa richiama la motivazione del provvedimento impugnato o gli atti di causa, ma dalla sua stessa prospettazione emerge che vi era stata una condotta collaborativa che aveva permesso la ricostruzione del volume di affari e che, in ogni caso, vi erano fatture di vendita e acquisto relative agli anni 2015, 2016, 2017 (terzultima pagina, non numerata, del ricorso), sulle quali l’accertamento si era svolto in concreto, e non mediante il richiamo semplice presunzioni, come ben evidenziato nelle sentenze di primo e secondo grado.
3.3. Analoghe considerazioni valgono per il terzo motivo, riferito al dolo specifico di evasione. La prospettazione difensiva è del tutto astratta, perché non si confronta né con la motivazione della sentenza impugnata, né con l’irrilevanza, sul piano giuridico, della successiva condotta collaborativa tenuta dal ricorrente, la quale non è di per sé incompatibile con il dolo del reato di cui all’art. 5 del d.lg n. 74 del 2000, evidentemente commesso prima di tale condotta collaborativa.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 09/11/2023