Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26654 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26654 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME nato a Firenze il 29-01-1964, avverso la sentenza del 12-03-2024 della Corte di appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avv ocato NOME COGNOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente, il quale, anche nella veste di sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento del ricorso .
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15 febbraio 2021, il Tribunale di Firenze condannava NOME COGNOME con i doppi benefici di legge, alla pena di anni 2 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 5 del d. lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritto perché, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE associazione sportiva dilettantistica, al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto, ometteva di presentare, pur essendovi obbligato, la dichiarazione Iva relativa all’anno 2015, per l’importo di eur o 188.784,66, in relazione ai ricavi di natura commerciale; in Firenze il 30 dicembre 2016. Veniva inoltre disposta la confisca dei beni nella disponibilità di COGNOME p er un valore corrispondente all’ importo di euro 188.784,66.
Con sentenza del 12 marzo 2024, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della decisione emessa in primo grado, rideterminava l’importo oggetto di confisca nella misura di euro 130.151,70, essendo stata prodotta documentazione attestante il pagamento delle prime cinque rate scadute del piano di rateizzazione, mentre nel resto la pronuncia del Tribunale veniva confermata.
Avverso la sentenza della Corte di appello toscana, COGNOME tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando sei motivi.
Con il primo, la difesa deduce l’erronea applicazione della normativa concernente il regime fiscale da applicare alle associazioni sportive dilettantistiche (art. 67, comma 1, lett. m, del d.P.R. n. 645 del 1994, 90, comma 18, lett. d del Tuir, legge n. 289 del 2002 in relazione all’art. 9 del Tuir, 10, comma 6, del d. lgs. n. 460 del 1997), richiamando a tal fine la Risoluzione n. 9 del 2007 adottata dall’Agenzia delle Entrate, la quale ha chiarito che non ogni pagamento disposto dalla società in favore dei soci costituirebbe indiretta distribuzione di proventi societari con il conseguente obbligo di presentare la dichiarazione I.V.A., essendo necessario, perché ciò avvenga, o che l’ acquisto di beni o servizi dai soci o dagli amministratori, o il pagamento di canoni di locazione ai soci o agli amministratori dell’associazione siano superiori al valore di mercato di quei beni. Tale conclusione, sostenuta anche dal dott. COGNOME consulente della difesa, è stata tuttavia ignorata dai giudici di merito, non essendo stata esperita, né dal P.M. né dai giudici di merito, alcuna indagine per valutare se il quantum dei proventi societari che si ritiene siano stati distribuiti fosse superiore o meno ai limiti indicati dalla predetta normativa, o per verificare se l’acquisto di beni dei soci o il pagamento dei canoni di locazione a loro favore sia avvenuto per importi superiori a quelli di mercato. Si eccepisce inoltre il vizio di motivazione con riferimento alla prova della presunta distribuzione ai soci, in quanto l’unico elemento probatorio sarebbe rappresentato da ‘ files Excel ‘ rinvenuti sui computer della società, erroneamente considerati come contenenti una sorta di contabilità parallela rispetto a quella ufficiale.
In tal senso non si è tenuto conto, da un lato, che l’acquisizione dei files è avvenuta in violazione delle norme che regolano l’acquisizione dei documenti informatici (art. 254 bis cod. proc. pen.), trattandosi di files estrapolati da un computer in uso non all’imputato , ma a persone che avevano vari contenziosi con la società, senza alcuna verifica della genuinità del dato, della conformità all’originale e della sua immodificabilità e, dall’altro lato, che non vi è alcun elemento per ritenere che i dati riportati nei files fossero veri, non essendo peraltro indicata alcuna causale. La Corte di appello avrebbe inoltre operato un’irragionevole inversione dell’onere della prova, richiedendo alla difesa di provare la natura lecita dei files in questione.
Con il secondo motivo, suddiviso in più capi, si contesta la violazione dell’art. 25, comma 5, della legge n. 133 del 1999, ossia della normativa sull’obbligo di tracciabilità dei pagamenti, avendo il consulente della difesa spiegato che la norma consente il versamento in banca di somme superiori a mille euro, purché ciò avvenga presso un conto corrente della società, come accaduto nel caso di specie. Dunque, non poteva ritenersi applicabile alcuna decadenza del regime fiscale che esonerava la società contribuente dal presentare la dichiarazione iva ordinaria, posto che il citato art. 25, comma 5, della legge n. 133 del 1999 fa riferimento esclusivo ai soli pagamenti a favore di associazioni sportive dilettantistiche e ai versamenti in banca da queste effettuati, non anche ai pagamenti nei confronti dei soci, ossia la condotta per la quale è poi intervenuta condanna . D’altra parte , si evidenzia che l’Age nzia delle Entrate aveva considerato violata la disposizione in esame con riguardo a un fatto diverso, ovvero la presunta irregolarità dei versamenti in banca, che è stata invece ritenuta insussistente dai giudici di merito. Ancora, la difesa ritiene viziata la motivazione laddove essa ha ritenuto provata, apoditticamente, l’inosservanza degli obblighi previsti dall’art. 25, comma 5 della legge n. 133 del 1999, sulla base della documentazione extracontabile rinvenuta nel computer della società , presumendone la conoscenza da parte dell’imputato , essendo emerso pacificamente che quel computer era in uso ad altre persone.
È stata poi censurata la violazione degli art. 2, comma 2, cod. pen. e 5 del d. lgs. 74 del 2000 in relazione agli art. 3 e 27, comma 3 Cost. non avendo i giudici di merito tenuto conto che è stato introdotto l’art. 19 del d.lgs. n. 158 del 2015 che ha eliminato, per chi viola l’art. 25, comma 5 , della legge n. 133 del 1999, la sanzione della decadenza dal regime fiscale agevolato, venendo in rilievo una modifica di una norma integratrice del precetto penale, soggetta al principio di retroattività della legge successiva più favorevole, essendosi in presenza di una ipotesi di abolizione parziale di una sottospecie della fattispecie incriminatrice.
Con il terzo motivo, ci si duole dell’erronea applicazione dell’art. 10 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, avendo i giudici considerato erroneamente commerciali prestazioni che, essendo finalizzate alla
cura della persona e al recupero della forma fisica, avrebbero dovuto essere considerate come istituzionali della società dilettantistica, mancando la prova circa il fatto che queste fossero tutte assoggettabili a ll’Iva e alla medesima aliquota, non potendosi dunque ritenere dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, il superamento della soglia di punibilità della norma incriminatrice.
Con il quarto motivo, oggetto di censura è il giudizio sulla sussistenza del dolo intenzionale o specifico di evasione in capo al ricorrente, dolo sostanzialmente e indebitamente ritenuto in re ipsa dai giudici di merito, non essendosi invece considerato che COGNOME ha tenuto un comportamento del tutto incompatibile con quello del contribuente che si nasconde al Fisco, avendo la società da lui amministrata, con una condotta avallata per anni dal consulente, non solo presentato sempre una dichiarazione fedele ai fini delle imposte dirette, ma anche versato l’Iva rispetto alle operazioni ritenute esenti, sulla base di un prospetto sostanzialmente equiparabile a una dichiarazione.
Con il quinto motivo, la difesa, in via subordinata, sollecita la riqualificazione del fatto nella previsione di cui all’ art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, che sanziona la dichiarazione infedele, per la quale non è stata superata la soglia di rilevanza penale dell’evasione, atteso che dal dibattimento è emerso che, in relazione alle operazioni che si ritengono gravate dagli obblighi in materia di Iva, la società aveva predisposto e presentato un apposito prospetto, solo che non comprendeva, secondo l’accusa recepita dalle sentenze di merito, tutti gli importi che avrebbero dovuto essere inseriti, per cui opererebbe la regula iuris dettata dall’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 74 del 2000, secondo cui non si considera omessa la dichiarazione non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.
Il sesto motivo è infine dedicato al l’eccessività del trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, non avendo i giudici di appello valorizzato né l’atteggiamento collaborativo dell’imputato nei confronti della P.G., che non può considerarsi mero adempimento di un dovere, rientrando nell’esercizio del diritto di difesa anche l’eventuale scelta dell’int eressato di non collaborare con gli operanti, né l’assenza di dolo in capo al ricorrente, né l’avvenuto pagamento delle prime cinque rate del piano di rateizzazione del debito fiscale, per l’importo di euro 58.632 euro, comprensivo anche di pesanti sanzioni amministrative, il che rileva nell’ottica della determinazione della pena ai sensi del nuovo art. 21 ter del d. lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d. lgs. n. 87 del 2024.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Sono infondate le censure doglianze in punto di responsabilità, mentre è meritevole di accoglimento il sesto motivo sul diniego delle attenuanti generiche.
Iniziando dai primi cinque motivi, suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, occorre rilevare che la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato non presenta vizi di legittimità .
E invero le due conformi sentenze di merito, destinate a integrarsi reciprocamente per formare un apparato motivazionale unitario, hanno operato un’adeguata disamina delle risultanze probatorie acquisite, valorizzando gli esiti della verifica fiscale svolta nel 2018 da ll’Agenzia delle Entrate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE sportiva dilettantistica, che aveva tre sedi in Firenze, una in INDIRIZZO, la seconda in INDIRIZZO e la terza in INDIRIZZO.
La società, che dunque era titolare di tre complessi sportivi polivalenti, in cui erano presenti palestre, piscine, campi sportivi, centri benessere ed esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, aveva optato per il regime fiscale di cui a ll’art. 90 della legge n. 289 del 2022, secondo cui le disposizioni della legge 16 dicembre 1991, n. 398 (‘d isposizioni tributarie relative alle associazioni sportive dilettantistiche ‘) , e successive modificazioni, e le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro.
In particolare, in base a tale normativa di settore (art. 2, commi 1-3 della legge n. 398 del 1991 e 74, comma 6, del d.P.R. n. 633 del 1972), la società sportiva dilettantistica è esonerata da taluni obblighi, tra cui quello di presentare la dichiarazione annuale, e beneficia di una forfetizzazione delle detrazioni di imposta, in misura pari al 50% dell’imposta relativa alle operazioni imponibili, operando il regime fiscale di favore in presenza di taluni requisiti previsti in via cumulativi, tra cui il conseguimento, nell’esercizio di attività commerciali, di proventi complessivi non superiori a 250.000 euro annui e l’assenza di fini di lucro .
1.1. Orbene, tali requisiti non sono stati ritenuti configurabili nel caso di specie. In particolare, quanto al primo aspetto, è stato evidenziato dai verificatori, con valutazioni condivise dai giudici di merito, che andavano qualificate come commerciali una serie di attività che la B)Side considerava istituzionali. È infatti emerso che tale società aveva considerato come commerciale solo un valore pari al 10% dell’abbonamento ‘RAGIONE_SOCIALE‘, mentre i verificatori hanno considerato come commerciali tutte le attività svolte dalla società (ad eccezione di talune specifiche iniziative), valorizzando il fatto che, secondo logiche di mercato, gli abbonamenti attribuivano la possibilità di accedere a saune, sale pesi ecc. in assenza di un corrispettivo specifico, essendo in definitiva emerso che la grandissima maggioranza dei proventi era ricollegabile agli abbonamenti forfettari. Quanto al l’ulteriore aspetto dell’ assenza della finalità di lucro, è stato innanzitutto precisato che tale requisito, ai sensi dell’art. 90, comma 18, della legge n. 289 del 2002, nella formulazione vigente all’epoca del fatto, deve essere
obbligatoriamente inserito nello statuto delle società sportive dilettantistiche, al pari della previsione che i proventi delle attività non possono in nessun caso essere divisi fra gli associati, anche in forme indirette, avendo in proposito l’Agenzia delle Entrate chiarito, con la Risoluzione n. 9 del 2007, che il cumulo di più compensi o corrispettivi agli organi amministrativi e di controllo relativi a più incarichi o prestazioni può tradursi in una sostanziale elusione del divieto di distribuzione indiretta dei proventi, la cui violazione va verificata caso per caso.
Tanto premesso, nella vicenda in esame è stato riscontrato che l’assenza della finalità di lucro e l’esclusione di ogni distribuzione tra i soci, anche in forma indiretta, dei proventi delle attività e di utili, fondi e riserve, pur essendo contemplate formalmente nello statuto, non hanno trovato applicazione nei fatti.
1.2. E invero dalla verifica fiscale è emer sa l’omessa contabilizzazione di incassi in contanti per 76.004 euro, somma questa risultante dalla differenza tra le entrate complessive riferite al 2015 (341.746 euro) e il totale dei corrispettivi annotato nel registro relativo alle voci ‘rette’ e ‘didattica’ (265.742 euro) . La ricostruzione delle entrate complessive è stata resa possibile dall’acquisizione, in sede di accesso ispettivo, di documentazione extracontabile costituita in particolare da alcuni files Excel, in cui era specificata la destinazione delle somme incassate in contanti: tali somme erano utilizzate per il pagamento di fatture o, molto più spesso, erano destinate a persone individuabili come gli stessi soci e/o amministratori, come, ad esempio, NOME COGNOME NOME COGNOME e l’imputato NOME COGNOME.
Dunque, somme ingenti di denaro sono uscite dalle casse societarie, in contanti e senza alcuna annotazione nella rendicontazione ufficiale, verso singole persone fisiche, valendo la registrazione di tali operazioni nella documentazione extracontabile a provare che la ripartizione degli incassi in nero era attentamente monitorata dai vertici societari, che evidentemente ne beneficiavano.
Sono stati in tal senso accertati taluni casi di violazione del divieto di distribuzione indiretta degli utili: in primo luogo, è stato ricordato che la B)Side, il 21 luglio 2015, ha pagato senza alcuna giustificazione la fattura n. 2 del 13 luglio 2015 (per l’importo di euro 2.440) emessa dalla società RAGIONE_SOCIALE e relativa a lavori di ristrutturazione eseguiti presso un immobile di NOME COGNOME, essendo ciò avvenuto ben prima che, il 18 ottobre 2015, il Consiglio di Amministrazione della B)Side, composto dal Presidente NOME COGNOME e dai consiglieri NOME COGNOME e NOME COGNOME, deliberasse , con l’astensione di COGNOME, l’acquisto del predetto immobile, ubicato in Firenzuola, acquisto che peraltro non andava in porto, per cui la delibera è stata ritenuta un tentativo, pure grossolano, di coprire la violazione compiuta.
Ancora, è stato evidenziato che, nel gennaio 2014, il Consiglio di Amministrazione della RAGIONE_SOCIALE, composto dal Presidente NOME COGNOME e dai consiglieri NOME COGNOME e NOME COGNOME, deliberava l’acquisto dell’automezzo Pick -up targato
CODICE_FISCALE e dello scooter targato TARGA_VEICOLO di proprietà di COGNOME, al prezzo complessivo di euro 10.000, essendo tuttavia emerso dalle banche dati Aci che, nel 2004, il valore del Pick-up era stato quantificato in euro 1.333, mentre nel 2008, il valore dello scooter era stato quantificato in euro 1.000, per cui, essendo l’acquisto avvenuto diversi anni dopo, quando il valore dei predetti veicoli era scemato grandemente, anche tale operazione è stata ritenuta idonea a trasferire surrettiziamente somme di denaro della società all’odierno ricorrente , essendo altresì emblematico il dato che quest’ultimo negli anni 2014 e 2015 ha dichiarato redditi personali quasi pari a zero, ovvero 10 euro nel 2014 e 21 euro nel 2015.
Ulteriore operazione ‘anomala’ è risultata essere quella relativa del contratto del 3 dicembre 2015, con cui la RAGIONE_SOCIALE concedeva in sub-gestione alla ditta individuale di NOME COGNOME, socia della RAGIONE_SOCIALE fino all’aprile 2015 e moglie di NOME COGNOME, socioamministratore della predetta società, il bar presente all’interno del complesso sportivo di INDIRIZZO al canone di 1.200 euro annui, già comprensivi delle spese relative all’utilizzo degli spazi comuni con il resto della struttura e delle utenze, essendosi al cospetto di un canone di 100 euro al mese, evidentemente del tutto irrisorio in ragione dei valori di mercato dei beni coinvolti.
1.3. Altro profilo di illegittimità del regime adottato dalla B)Side è stato inoltre ravvisato nella violazione dell’obbligo di tracciabilità dei pagamenti, essendo stato in tal senso richiamato l’art. 25, comma 5, della legge n. 133 del 1999, secondo cui i pagamenti a favore di società, enti o associazioni sportive dilettantistiche e i versamenti da questi effettuati sono eseguiti, se di importo superiore a euro 1.000, tramite conti correnti bancari o postali a loro intestati ovvero secondo altre modalità idonee a consentire all ‘A mministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli, essendo previsto inoltre fino al 31 dicembre 2015 che la inosservanza della disposizione citata comportava, oltre all’applicazione delle sanzioni, anche la decadenza delle agevolazioni fiscali ex lege n. 398 del 1991.
Ciò posto, è stato evidenziato che, nel caso di specie, in plurime occasioni (ossia, a titolo esemplificativo, il 7 gennaio, il 22 febbraio, il 4 aprile, il 28 maggio, il 9 giugno e il 31 agosto 2015), sono state prelevate dalle casse della struttura di INDIRIZZO somme in contanti di importo superiore a mille euro, in violazione dell’obbligo sancito dal richiamato art. 25, comma 5, della legge n. 133 del 1999, dovendosi precisare che l’acquisizione dei files Excel non può essere ritenuta illegittima, trattandosi di meri documenti rinvenuti nel corso dell’attività ispettiva dell’Agenzia delle Entrate, rispetto al cui contenuto i verificatori prima e poi i giudici di merito hanno compiuto valutazioni non manifestamente illogiche, fondate su una correlazione razionale con le varie fonti dimostrative disponibili, non potendosi confondere il metodo, del tutto rituale, dell ‘ acquisizione dei predetti files dai computer con il merito dell ‘ interpretazione del loro significato.
Quanto poi all’obiezione difensiva secondo cui, a partire dal 1° gennaio 2016, la violazione dell’obbligo di tracciabilità dei pagamenti non comporta la decadenza del regime fiscale di favore, avendo l’art. 19 del d. lgs. n. 158 del 2015 modificato l ‘ art. 25, comma 5, della legge n. 133 del 1999, è stato replicato in modo pertinente dai giudici di merito (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata e, soprattutto, pag. 13 della decisione di primo grado) che tale circostanza non è destinata a incidere sulla portata del precetto penale, posto che si è in presenza di una modifica di una norma prettamente tributaria che non incide sul regime fiscale valido per il 2015 e che comunque ha lasciato immutati gli elementi costitutivi del reato contestato e la stessa soglia di punibilità, per cui è stato correttamente applicato il principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 5411 del 25/10/2019, dep. 2020, Rv. 278595 e Sez. 3, n. 11520 del 29/01/2019, Rv. 275990), secondo cui tema di successione di leggi penali, la modificazione ‘ in melius ‘ della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso solo se attiene a norma integratrice di quella penale, evenienza questa non configurabile nel caso di specie, stante la circoscritta efficacia della novella tributaria prima indicata.
E ciò senza considerare che, in ogni caso, quello sulla violazione dell’obbligo di tracciabilità dei pagamenti costituisce uno solo degli elementi ostativi posti a fondamento della mancata applicabilità nei confronti della B)Side del regime fiscale di favore, al pari di quelli già esposti (ovvero il conseguimento, nell’esercizio di attività commerciali, di proventi complessivi superiori al limite di 250.000 euro annui, la presenza del fine di lucro e, correlativamente, la violazione del divieto di distribuzione degli utili a soci e amministratori), la cui sussistenza nel caso di specie è stata adeguatamente argomentata in entrambe le sentenze di merito.
1.4. Alla luce delle risultanze della verifica fiscale, è stata quindi ritenuta indebitamente omessa dalla B)Side la dichiarazione annuale Iva ed è stata constatata l’omessa registrazione di operazioni imponibili per un totale di euro 1.763.173,45, per cui, a fronte di un’iva a debito pari a euro 386.028,45, detratte l’iva risultante dalle fatture di acquisto e l’iva versata, l’iva evasa, per il 2015, è stata determinata in euro 188.784,66. È stato così legittimamente ritenuto ravvisabile a carico di COGNOME il reato di cui all’ art. 5 del d. lgs. n. 74 del 2000, non essendovi spazio per la riqualificazione della condotta nella fattispecie ex art. 4 del d. lgs. n. 74 del 2000 invocata dalla difesa, posto che a venire in rilievo nel caso di specie è un’omessa dichiarazione fiscale e non una mera dichiarazione infedele, non potendosi in tal senso equiparare a una dichiarazione fiscale un ‘prospetto’ in materia di Iva, rivelatosi, oltre che incompleto, del tutto generico e informale.
1.5. Parimenti immune da censure risulta altresì il giudizio sull’ascrivibilità all’odierno imputato della condotta illecita oggetto di contestazione.
È stato in tal senso sottolineato che NOME COGNOME nel momento in cui il reato si è perfezionato, ovvero il 31 dicembre 2016, termine ultimo per la presentazione della dichiarazione Iva riferita all’anno di imposta 2015, era già in carica quale rappresentante legale della B)Side da diversi mesi, ovvero dal 4 giugno 2016.
A ciò è stato aggiunto che COGNOME prima di diventare nel 2016 legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, è stato nel 2015 amministratore delegato della predetta società e inoltre è stato in più occasioni diretto beneficiario della distribuzione indiretta degli utili, essendo inoltre titolare, sia personalmente che tramite i congiunti, di una quota rilevante del capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE, pur presentando, come persona fisica, dichiarazioni fiscali in cui indicava come redditi imponibili importi irrisori.
Alla stregua di tali circostanze, indubbiamente pregnanti e rivelatrici dell’intenzione dell’imputato di conseguire un indebito e non esiguo risparmio di spesa attraverso la fruizione di un regime fiscale palesemente non spettante, ha dunque ragionevolmente trovato esito positivo la verifica sulla sussistenza del dolo specifico richiesto ai fini della configurabilità del reato, dolo che, come precisato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 526 del 19/11/2024, dep. 2025 e Sez. 3 n. 44170 del 04/07/2023, Rv. 285221), è integrato non dalla mera consapevolezza dell ‘ entità dell ‘ imposta evasa, ma dal fine di evasione, che nei reati dichiarativi puniti dal d.lgs. n. 74 del 2000 concorre a tipizzare la condotta ed esprime l’autentico disvalore penale della condotta, dovendosi quindi provare , come efficacemente avvenuto nel caso di specie, la volontà di evasione del l’ imposta mediante le specifiche condotte tipizzate dal legislatore penal-tributario.
In definitiva, il giudizio operato nelle due conformi sentenze di merito circa la rilevanza penale del fatto e la sua ascrivibilità a Cinti, in quanto sorretto da considerazioni razionali e coerenti con le convergenti acquisizioni probatorie disponibili, correttamente intese nella loro valenza dimostrativa, non presta il fianco alle censure difensive, che di fatto, pur quando denunciano profili di violazione di legge, sollecitano in realtà differenti apprezzamenti di merito estranei al perimetro del sindacato di legittimità, dovendosi ribadire (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Di qui l’infondatezza delle doglianze in punto di responsabilità.
3 . E’ invece meritevole di accoglimento il sesto motivo, avente ad oggetto il trattamento sanzionatorio e in particolare il diniego delle attenuanti generiche.
A fronte di un’espressa sollecitazione difensiva in tal senso (cfr. pag. 19 dell’atto di appello), invero, la Corte territoriale si è limitata a rimarcare l’irrilevanza della condizione di incensurato dell’imputato e a sottolineare che non era ravvisabile un corretto comportamento processuale di COGNOME, essendosi risolta la consegna della documentazione all’Agenzia delle Entrate nell’adempimento di un dovere ricollegato alla posizione ricoperta nella società, per cui è stato condiviso il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche da parte del primo giudice, che aveva altresì valorizzato a tal fine l’abusiva fruizione per motivi di lucro di un regime di favore delineato dal legislatore per scopi più meritevoli di tutela.
Orbene, il percorso argomentativo della sentenza impugnata relativo alla mancata applicazione dell’art. 62 bis cod. pen. non si sottrae in tal caso alle censure difensive, dovendosi considerare, da un lato, che l’utilizzo illegittimo del regime di favore riservato alle associazioni sportive dilettantistiche costituisce già la ragione essenziale della condotta illecita per cui vi è stata condanna, e, dall’altro, che la condizione di incensurato e l’atteggiamento collaborativo dell’imputato durante la fase investigativa, pur se non dirimenti in quanto tali, rappresentano comunque elementi fattuali suscettibili, almeno potenzialmente, di positivo apprezzamento.
A ciò deve aggiungersi che COGNOME ha provveduto al pagamento delle prime cinque rate del piano di rateizzazione, corrispondendo all’Erario la somma non irrilevante di 58.632 euro, circostanza questa che appare meritevole di considerazione non solo ai fini della riduzione della confis ca, ma anche nell’ottica del trattamento sanzionatorio. Su questo aspetto, tuttavia, la Corte territoriale ha mancato di prendere posizione, ignorando così un dato fattuale di non trascurabile valenza.
Dunque, in ragione delle lacune argomentative in punto di diniego delle attenuanti generiche , si impone l’annullamento della decisione impugnata in parte qua , con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze, occorrendo un adeguato approfondimento in sede di merito in ordine alla verifica dei presupposti per la concessione delle attenuanti generiche, dovendosi a tale fine tenere conto delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall ‘ interessato (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, dep. 2022, Rv. 282693).
Stante l ‘infondatezza delle censure in punto di colpevolezza, rimane invece ferma, ex art. 624 cod. proc. pen., l’irrevocabilità dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputat o in ordine al reato ex art. 5 del d. lgs. n. 74 del 2000.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 18.03.2025