Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37932 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37932 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Lagosanto il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 21-04-2023 della Corte di appello di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia del ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21 aprile 2023, la Corte di appello di Bologna confermava la decisione emessa il 18 dicembre 2020 dal Tribunale di Ferrara, con la quale NOME COGNOME era stato condannato, con i doppi benefici di legge, alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 5 del d. lgs. n. 74 del 2000, a lui contestato perché, quale legale rappresentante della società “RAGIONE_SOCIALE” al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto, pur essendovi obbligato, non presentava la dichiarazione annuale Iva relativamente all’anno d’imposta 2015, con un importo di Iva evasa pari a euro 114.349,28; fatto commesso in Codigoro il 29 dicembre 2016.
Veniva parimenti confermata la statuizione con cui era stata disposta la confisca della somma di euro 114.349,28 corrispondente al profitto del reato.
Avverso la sentenza della Corte di appello felsinea, COGNOME, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando cinque motivi.
Con il primo, la difesa deduce l’inosservanza degli art. 484, 420 ter comma 5, 178 lett. c), 179 comma 1 e 180 cod. proc. pen. relativamente all’omessa valutazione, da parte della Corte territoriale, dell’istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore per l’udienza del 21 aprile 2023; si rileva in proposito che, pur avendo il difensore prontamente e ritualmente comunicato, con messaggio spedito tramite p.e.c. il 14 aprile 2023, l’adesione all’astensione delle udienze, la Corte di appello ha ugualmente celebrato il processo nelle forme della trattazione cartolare, senza dare motivazione in sentenza circa il rigetto dell’istanza di legittimo impedimento, peraltro neanche menzionata nel verbale di udienza, precisandosi che il difensore non ha rassegnato le conclusioni perché confidava nell’accoglimento della propria istanza di legittimo impedimento.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è il vizio di motivazione rispetto all’indicazione degli elementi che fonderebbero la sussistenza dell’elemento oggettivo della fattispecie contestata. La difesa rileva come già in primo grado il Tribunale avesse basato la sua decisione su presunzioni legali, ritenendo che fosse onere della difesa introdurre elementi di segno opposto ai dati emergenti dai documenti contabili. La Corte di appello si sarebbe, quindi, limitata a far propria l’impostazione assunta dal primo giudice, richiamandone genericamente le affermazioni, mancando però di indicare gli elementi concreti che potessero portare a un giudizio di condanna, non essendosi in particolare considerato che la verifica fiscale ha avuto ad oggetto esclusivamente l’attività di collegamento tra le fatture e la documentazione rinvenuta, che le scritture contabili erano tenute regolarmente, che non vi è stato alcun riscontro fattuale su quanto accertato in via documentale e che l’accertamento è stato condotto solo su base induttiva.
Con il terzo motivo, si deduce un ulteriore vizio di motivazione, in questo caso relativo al giudizio sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, anche rispettivamente alla prova del superamento delle soglie di punibilità. La Corte territoriale, in particolare, non ha considerato che la difesa, già con l’atto di appello, aveva eccepito come il dolo fosse elemento costitutivo della fattispecie, per cui lo stesso doveva necessariamente comprendere anche il superamento del limite quantitativo di riferimento, né tantomeno si è tenuto conto che l’imputato ha presentato nel febbraio 2016 la comunicazione annuale Iva relativa al 2015, come adempimento propedeutico alla dichiarazione annuale, risultando tale comportamento in contrasto con una finalità evasiva, posto che il prospetto inviato con la comunicazione fornisce all’Amministrazione finanziaria i dati Iva sintetici, da confermare o rettificare con la dichiarazione Iva vera e propria. In definitiva, con il mancato invio della dichiarazione, I contribuente non ha nascosto alcunché all’Erario, perché l’Iva dichiarata a debito nella comunicazione annuale è stata poi confermata dalla Guardia di Finanza in sede di verifica. A ciò si aggiunge che, se l’imputato avesse agito con un fine di evasione, non solo non avrebbe inviato la comunicazione Iva pacificamente corretta, ma avrebbe ripetuto l’omissione anche per le altre annualità oggetto di verifica fiscale, mentre, rispetto alle tre annualità controllate, 2015-2016 e 2017, sono emerse incongruenze solo rispetto al 2015.
Il quarto motivo di ricorso è anch’esso dedicato alla mancanza di motivazione rispetto all’elemento soggettivo del reato, non avendo altresì la Corte di appello considerato che il ricorrente, essendosi affidato a uno studio di commercialisti esperti per l’adempimento relativo alla comunicazione dei dati Iva, non aveva avuto modo di sapere che la dichiarazione non era stata inviata, essendo dipeso il mancato flag sulla schermata di invio telematico della documentazione Iva da una mera dimenticanza dello studio professionale di cui all’imputato era all’oscuro, non potendosi ravvisarsi a carico dell’imputato profili di colpa in eligendo o in vigilando, fermo restando che l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 non è la colpa, ma il dolo specifico, che non può essere ritenuto in re ipsa.
Il quinto motivo di ricorso è infine dedicato alla statuizione della confisca, eccependosi la violazione dell’art. 12 bis del d. lgs. n. 74 del 2000 ed evidenziandosi che il profitto deve corrispondere a un mutamento materiale della situazione patrimoniale del suo beneficiario, attuale e di segno positivo, che sia stato generato dalla commissione del reato. Nel caso di specie, tuttavia, il reato di omessa dichiarazione si consuma in un momento antecedente rispetto al mancato versamento dell’imposta e a prescindere dal fatto che l’imposta verrà o meno corrisposta, per cui il profitto non può coincidere con l’imposta che eventualmente si sarebbe dovuta indicare nella dichiarazione, trattandosi di un vantaggio solo futuro, dovendo a tal fine essere provato anche il successivo omesso versamento.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, occorre richiamare la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 32864 del 15/07/2022, Rv. 283415), secondo cui, in tema di disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid19, ove il giudizio di cassazione si svolga con contraddittorio cartolare per l’assenza di tempestiva richiesta di trattazione orale, non trova applicazione la previsione dell’art. 420 ter cod. proc. pen. in tema di legittimo impedimento a comparire del difensore dell’imputato, non essendo prevista la sua comparizione personale, trovando evidentemente applicazione tale principio anche rispetto al giudizio cartolare di appello celebrato nel vigore della disciplina emergenziale pandemica, rispetto al quale si è parimenti evidenziato (Sez. 6, n. 18483 del 29/03/2022, Rv. 283262) che la richiesta di rinvio per adesione dei difensori all’astensione collettiva dalle udienze proclamata dai competenti organismi di categoria, pervenuta in data successiva alla scadenza del termine per presentare le proprie conclusioni, stabilito dall’art. 23 bis, del decreto legge 28 ottobre 2020 n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, non consente alcun differimento dell’udienza camerale. Nel momento in cui la parte non ha presentato richiesta di trattazione orale, infatti, viene meno il suo diritto di partecipare all’udienza camerale e il contraddittorio si attua solo mediante il deposito delle rispettive richieste e conclusioni delle parti. Alla luce di tale premessa interpretativa, non vi è spazio per accogliere la doglianza difensiva, atteso che l’istanza di adesione all’astensione dalle udienze è stata trasmessa il 14 aprile 2023 in vista dell’udienza del successivo 21 aprile, udienza per la quale la difesa non aveva richiesto in tempo utile la trattazione orale.
Venendo ai motivi in punto di responsabilità, ossia il secondo, il terzo e il quarto, suscettibili di trattazione unitaria, perché tra loro sovrapponibili, occorre evidenziare che la formulazione del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al reato ascrittogli non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
E invero le due conformi sentenze di merito, destinate a integrarsi reciprocamente per formare un apparato motivazionale unitario, hanno operato un’adeguata disamina delle risultanze probatorie acquisite, valorizzando gli esiti della verifica fiscale svolta nel 2018 dagli operanti della Guardia di Finanza di Codigoro, i quali, nel compiere accertamenti presso l’impresa RAGIONE_SOCIALE trasporti RAGIONE_SOCIALE, di cui NOME COGNOME è stato legale rappresentante dal 26 maggio 2011 al 24 giugno 2017, hanno proceduto al confronto tra la documentazione rinvenuta presso la sede aziendale e le dichiarazioni effettuate dalla società negli anni 2015, 2016 e 2017. Dai controlli incrociati è emerso che la società per il 2015 ha presentato una dichiarazione dei redditi per l’importo di 580 euro e per il 2016 per l’importo di un
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euro, mentre nel mese di febbraio 2016 la RAGIONE_SOCIALE ha presentato la comunicazione annuale dei dati Iva, omettendo poi di presentare la dichiarazione Iva 2016 rispetto all’anno 2015, sebbene l’esame delle registrazioni delle fatture attive e passive rispetto al 2015 abbia fatto emergere operazioni attive per euro 1.650.351,45 e operazioni passive per euro 1.404.699,53 per un ammontare di Iva a debito nei confronti dell’Erario pari a 114.349,28 euro, superiore alla soglia di punibilità, soglia non raggiunta rispetto all’infedele dichiarazione dei redditi.
Alla luce dì tali elementi, desunti non da meri dati presuntivi, ma da documenti contabili che non hanno trovato nel corso del procedimento smentita ex adverso, è stata dunque affermata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 5 del d. lgs. n. 74 del 2000, essendo stato sottolineato che l’importo evaso è stato indicato dalla società amministrata da RAGIONE_SOCIALE nella comunicazione annuale dei dati Iva del 26 febbraio 2016, in cui è stata riportata la cifra di 114.350 euro, corrispondente al valore dell’Iva non dichiarata dalla RAGIONE_SOCIALE
Né, rispetto all’omessa dichiarazione dell’Iva, può attribuirsi una sorta di efficacia scriminante alla circostanza dell’avvenuta presentazione della comunicazione annuale, avendo questa Corte chiarito (Sez. 3, n. 7135 del 17/12/2020, dep. 2021, Rv. 281323 e Sez. 3, n. 44433 del 01/10/2013, Rv. 257377), con affermazione condivisa dal Collegio, che è configurabile la responsabilità del contribuente per il delitto di omessa presentazione della dichiarazione annuale Iva, anche quando lo stesso abbia regolarmente provveduto alla comunicazione Iva prevista dall’art. 8 bis del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, poiché si tratta di adempimenti non equipollenti e che rispondono a diverse finalità: la comunicazione prevista dalla disposizione citata è infatti sostitutiva delle dichiarazioni periodiche Iva infrannuali e assolve allo scopo di fornire all’Amministrazione finanziaria i dati Iva sintetici, che costituiscono una prima base di calcolo per la determinazione delle risorse proprie che lo Stato deve versare al bilancio comunitario. Si tratta perciò di una comunicazione che non interferisce affatto con la dichiarazione dei redditi e dell’Iva e la cui presentazione è destinata a non incidere sugli elementi oggettivi e soggettivi previsti dal delitto di cui all’art. 5 del d. lgs. n. 74 del 2000, dovendosi peraltro considerare che il citato art. 8 bis fa salvi gli effetti sanzionatori, tra cui evidentemente quelli penali, comminati per l’omessa dichiarazione.
Quanto all’elemento soggettivo della fattispecie, ossia al dolo di evasione, lo stesso è stato ragionevolmente ritenuto sussistente, essendosi rimarcato, da un lato, il fatto che COGNOME non era di certo un soggetto “alle prime armi”, avendo in precedenza egli, in carica dal 2011, firmato le dichiarazioni annuali previste, e, dall’altro, il dato secondo cui la RAGIONE_SOCIALE non aveva versato l’Iva sin dall’anno precedente, ciò a riprova della preordinazione della condotta, che peraltro non è
stata seguita dalla regolarizzazione della posizione debitoria del contribuente verso l’Erario, ciò anche dopo la formale contestazione dell’addebito all’imputato.
In tal senso, i giudici di merito hanno fatto buon governo del principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 16469 del 28/02/2020, Rv. 278966), secondo cui, in tema di omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte del professionista a ciò incaricato, la prova del dolo specifico in capo al contribuente può desumersi anche dal comportamento successivo del mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, dimostrativo della volontà preordinata di non presentare la dichiarazione. A ciò peraltro è stato aggiunto che alla richiesta di trasmissione dei dati da parte dello studio commerciale ai fini della compilazione della dichiarazione ha fatto seguito l’inerzia di COGNOME, il quale evidentemente non aveva intenzione di adempiere al proprio obbligo dichiarativo. Allo stesso modo, è stata legittimamente ritenuta irrilevante dai giudici di merito la circostanza che l’imputato si sia rivolto a uno studio tecnico per la redazione della dichiarazione fiscale della società, essendosi il Tribunale e la Corte di appello posti in sintonia con la condivisa affermazione della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 9417 del 14/01/2020, Rv. 278421), secondo cui, in tema di reati tributari, l’affidamento a un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione, in quanto la norma tributaria considera come personale e indelegabile il relativo dovere, essendo unicamente delegabile la predisposizione e l’inoltro telematico dell’atto.
2.1. In definitiva, in quanto sorretto da argomentazioni razionali e coerenti sia con le acquisizioni probatoríe che con le coordinate interpretative di riferimento, il giudizio sulla sussistenza e sull’ascrivibilità all’imputato del reato a lui contestato resiste alle censure difensive, con le quali si sollecita sostanzialmente una differente lettura delle acquisizioni probatorie, operazione questa non consentita in sede di legittimità, dovendosi richiamare in proposito la consolidata affermazione della giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex plurimis Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Di qui l’infondatezza delle doglianze in punto di responsabilità.
Parimenti non meritevole di accoglimento è anche l’ultimo motivo di ricorso.
Nel confermare la statuizione della confisca operata dal primo giudice, la Corte territoriale ha correttamente rilevato che la stessa ha avuto ad oggetto il valore corrispondente al profitto derivante dal reato, integrato dal vantaggio patrimoniale conseguito dall’imputato attraverso l’omissione della presentazione della dichiarazione dei redditi, risultando tale impostazione coerente con l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 14696 del 30 gennaio 2023, non mass.), secondo cui la commissione del reato di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 di regola genera un profitto ingiusto pari all’evasione dell’imposta (sui redditi e/o sul valore aggiunto) riferita all’omessa dichiarazione, per cui ben può essere sequestrato e confiscato l’ammontare dell’imposta evasa, in quanto quest’ultima costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, come tale, riconducibile alla nozione di “profitto” del reato in questione, profitto che è costituito dal risparmio economico da cui consegue l’effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia l’agente (cfr. Sez. 3, n. 1199 del 02/12/2011, dep. 2012, Rv. 251893), con la precisazione che il profitto non comprende invece anche le sanzioni (di cui infatti nel caso di specie non risulta si sia tenuto conto) dovute a seguito dell’accertamento del debito, che rappresentano il costo del reato, derivante dalla sua commissione (cfr. Sez. 3, n. 17535 del 06/02/2019, Rv. 275445).
La doglianza difensiva costituisce quindi la riproposizione di una questione che nella sentenza impugnata ha già trovato una sua pertinente risposta.
Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere quindi rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 15.07.2024