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Omessa dichiarazione IVA: il credito conta sempre

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per omessa dichiarazione IVA, stabilendo un principio fondamentale: per verificare il superamento della soglia di punibilità, il giudice penale deve calcolare l’imposta evasa in modo effettivo e non meramente formale. Devono essere considerati tutti gli elementi di prova disponibili, come i crediti IVA risultanti da dichiarazioni precedenti e i dati provenienti dal cosiddetto ‘spesometro’, anche in assenza delle fatture passive. L’obiettivo è accertare la reale evasione, privilegiando la sostanza sulla forma.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Omessa Dichiarazione IVA: Il Calcolo dell’Imposta Evasa Deve Essere Effettivo

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 46244/2024 affronta un tema cruciale per imprenditori e professionisti: il reato di omessa dichiarazione IVA. La pronuncia chiarisce che, per stabilire la rilevanza penale della condotta, il calcolo dell’imposta evasa non può basarsi su criteri meramente formali. Al contrario, il giudice deve procedere a una valutazione sostanziale, tenendo conto di tutti gli elementi che possono ridurre il debito d’imposta, inclusi i crediti pregressi e i costi desumibili da strumenti come lo ‘spesometro’.

Il caso: una condanna per omessa dichiarazione IVA

Un imprenditore, legale rappresentante di una S.r.l., veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di omessa dichiarazione IVA per l’anno d’imposta 2015. L’accusa contestava un’evasione di circa 71.000 euro, importo superiore alla soglia di punibilità prevista dalla legge. La difesa dell’imprenditore, tuttavia, sosteneva che tale importo fosse errato, poiché non teneva conto di importanti elementi a credito.

I motivi del ricorso: Crediti IVA non considerati

L’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione lamentando che i giudici di merito non avessero considerato due fattori determinanti:
1. Un credito IVA di oltre 42.000 euro, maturato nell’anno d’imposta precedente (2014) e regolarmente indicato nella relativa dichiarazione. Se portato in compensazione, questo credito avrebbe ridotto significativamente il debito per il 2015.
2. L’IVA detraibile sui costi sostenuti nel 2015, i cui dati erano presenti nelle banche dati dell’Agenzia delle Entrate tramite il sistema dello ‘spesometro’.

La Corte d’Appello aveva respinto queste argomentazioni, sostenendo che l’imputato non avesse fornito una documentazione adeguata a provare l’effettività e l’inerenza di tali costi e crediti.

La decisione della Cassazione sulla omessa dichiarazione IVA

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la sentenza di condanna e rinviando il caso a una nuova sezione della Corte d’Appello. La decisione si fonda su un principio cardine del diritto penale tributario: la necessità di accertare l’imposta effettivamente evasa.

Il principio della determinazione ‘reale’ dell’imposta

I giudici hanno ribadito che il giudice penale ha il dovere di determinare l’ammontare dell’imposta evasa privilegiando il dato fattuale e reale rispetto a criteri puramente formali. Il processo penale ha finalità diverse da quello tributario e non può basarsi su presunzioni, ma deve fondarsi su prove concrete che dimostrino, oltre ogni ragionevole dubbio, il superamento della soglia di punibilità.

Il valore probatorio dello ‘Spesometro’ e delle dichiarazioni precedenti

La Corte ha specificato che elementi come la dichiarazione IVA dell’anno precedente, non contestata dall’Ufficio tributario, e i dati emergenti dallo ‘spesometro’ (che riporta le fatture emesse dai fornitori) costituiscono elementi documentali validi. Questi strumenti, anche in assenza di tutte le fatture passive, possono fornire una base ragionevole per riconoscere l’esistenza di costi e di IVA a credito, contribuendo a determinare il debito d’imposta reale.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Cassazione si concentrano sulla distinzione tra l’accertamento fiscale e quello penale. Mentre nel primo possono valere criteri presuntivi, nel secondo è necessaria una prova rigorosa della colpevolezza e dell’effettivo danno all’erario. Trascurare elementi documentali come una dichiarazione precedente o i dati dello ‘spesometro’ equivale a un’errata applicazione della legge penale. La Corte d’Appello, secondo i giudici di legittimità, avrebbe dovuto approfondire questi aspetti, invece di rigettare le argomentazioni della difesa basandosi unicamente sulla mancata produzione di tutte le fatture. Il giudice penale deve operare una ricostruzione completa dei fatti, utilizzando tutti gli strumenti a sua disposizione per accertare se l’imposta evasa superi effettivamente la soglia che fa scattare il reato.

Le Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un’importante garanzia per il contribuente. Afferma che non si può essere condannati per omessa dichiarazione IVA se esistono prove concrete, anche se non formalmente perfette come le singole fatture, che indicano un’imposta evasa inferiore alla soglia di legge. La decisione impone ai giudici di merito un’analisi più approfondita e sostanziale, valorizzando tutti gli elementi documentali disponibili per calcolare il reale debito IVA e stabilire, di conseguenza, la sussistenza o meno del reato.

Ai fini del reato di omessa dichiarazione IVA, un credito IVA dell’anno precedente può essere usato per ridurre l’imposta evasa?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che un credito IVA emergente da una dichiarazione regolarmente presentata per l’anno precedente, e non contestata dall’ufficio tributario, è un elemento documentale che deve essere considerato per determinare l’effettiva imposta evasa nell’anno successivo.

Se mancano le fatture, come può un imprenditore dimostrare i costi sostenuti per abbattere l’IVA dovuta?
Secondo la sentenza, anche in assenza delle singole fatture, i dati provenienti dal cosiddetto ‘spesometro’ (che contiene le informazioni sulle fatture emesse dai fornitori) possono essere utilizzati come elementi di prova per dimostrare l’esistenza di costi e della relativa IVA detraibile.

Qual è il ruolo del giudice penale nell’accertare l’imposta evasa?
Il giudice penale non è vincolato ai criteri formali dell’accertamento fiscale. Ha il dovere di determinare l’imposta evasa in modo sostanziale e reale, basandosi su prove concrete e non su presunzioni. Deve quindi considerare tutti gli elementi documentali disponibili (dichiarazioni precedenti, dati dello ‘spesometro’, ecc.) per stabilire se la soglia di punibilità sia stata effettivamente superata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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