Omessa Dichiarazione IVA: Il Fallimento Scagiona l’Amministratore?
L’omessa dichiarazione IVA rappresenta un reato tributario di notevole gravità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 25622/2024) ha affrontato un caso emblematico, chiarendo la posizione dell’amministratore di una società quando interviene il fallimento. La domanda centrale è: la dichiarazione di fallimento esonera l’ex legale rappresentante dai suoi obblighi fiscali pregressi? La risposta della Suprema Corte è netta e fornisce importanti indicazioni per chiunque ricopra ruoli di responsabilità aziendale.
I Fatti del Caso
Il caso ha origine dal ricorso presentato dall’amministratore di una società, condannato nei gradi di merito per il reato di omessa dichiarazione IVA. La sua difesa si basava su un argomento principale: l’intervenuto fallimento della società avrebbe dovuto esonerarlo da tale adempimento. Secondo l’imputato, la perdita del controllo sulla società a seguito della procedura concorsuale rendeva impossibile la presentazione della dichiarazione fiscale. La Corte d’Appello di Lecce, tuttavia, aveva confermato la sua responsabilità, spingendo l’amministratore a rivolgersi alla Corte di Cassazione.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non solo conferma la condanna dell’amministratore, ma lo obbliga anche al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro. La Corte ha ritenuto che le argomentazioni del ricorrente fossero di natura puramente fattuale e non si confrontassero adeguatamente con i principi giuridici consolidati che regolano la materia, già correttamente applicati dalla corte territoriale.
Omessa Dichiarazione IVA: Le Motivazioni della Corte
Le motivazioni alla base della decisione della Cassazione sono chiare e si fondano su due pilastri giuridici fondamentali.
In primo luogo, la Corte ha ribadito che il fallimento non cancella gli obblighi fiscali sorti prima della sua dichiarazione. Esiste una precisa ripartizione di compiti tra l’amministratore e il curatore fallimentare. Citando un precedente consolidato (Cass. n. 1549/2011), i giudici hanno specificato che:
* L’amministratore (o il legale rappresentante) è tenuto a presentare le dichiarazioni dei redditi e IVA per tutti i periodi d’imposta antecedenti alla dichiarazione di fallimento.
* Il curatore fallimentare è responsabile, invece, della presentazione delle dichiarazioni per i periodi d’imposta successivi, compreso quello in cui è intervenuto il fallimento.
Il fallimento, quindi, non agisce come una causa di non punibilità retroattiva. L’obbligo di dichiarare i redditi e l’IVA maturati durante la gestione societaria rimane in capo a chi ne aveva la responsabilità legale in quel momento.
In secondo luogo, la Corte ha smontato l’argomentazione relativa al termine dilatorio di novanta giorni (previsto dal D.Lgs. 74/2000). Questo termine, che consente di presentare la dichiarazione oltre la scadenza ordinaria, non è una scriminante. Si tratta, come precisato dalla giurisprudenza (Cass. n. 19196/2017), di un mero termine ulteriore per adempiere all’obbligo dichiarativo, non di un elemento che elide la punibilità del reato se la dichiarazione viene comunque omessa.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche per gli Amministratori
L’ordinanza in esame lancia un messaggio inequivocabile agli amministratori di società. La crisi d’impresa e il successivo fallimento non costituiscono uno scudo protettivo contro le responsabilità penali-tributarie pregresse. L’obbligo di presentare le dichiarazioni fiscali è un dovere personale del legale rappresentante, legato al periodo in cui era in carica. Ignorare questo dovere, sperando che la procedura fallimentare possa sanare le omissioni passate, è un errore che può portare a conseguenze penali ed economiche significative. È fondamentale, pertanto, che gli amministratori garantiscano la corretta e tempestiva esecuzione di tutti gli adempimenti fiscali, anche e soprattutto in momenti di difficoltà aziendale, poiché la loro responsabilità non si estingue con la fine della società.
L’amministratore di una società fallita è responsabile per l’omessa dichiarazione IVA relativa al periodo precedente al fallimento?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che l’obbligo di presentare le dichiarazioni fiscali per i periodi d’imposta anteriori alla dichiarazione di fallimento rimane in capo al legale rappresentante della società.
Il termine di novanta giorni concesso per presentare la dichiarazione dopo la scadenza ordinaria è una causa di non punibilità?
No, non è una causa di non punibilità. La Corte ha specificato che si tratta di un termine ulteriore concesso per adempiere all’obbligo dichiarativo, ma la sua violazione non esclude la responsabilità penale.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile e non si ravvisa un’assenza di colpa nel proporlo, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata a 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 25622 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 25622 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a RACALE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/05/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, che eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’affermazione della penale responsabilità, è inammissibile perché fattuale e non scandito dalla necessaria analisi critica delle argomentazioni poste a base della sentenza impugnata, la quale, con un apprezzamento fattuale immune da vizi logici, ha correttamente ribadito che l’intervenuto fallimento della società, di cui era il legale rappresentante, non l esonerava dal presentare la dichiarazione I.v.a. per l’anno d’imposta precedente, e ciò in quanto, per un verso, il termine dilatorio di novanta giorni, concesso al contribuente – ai sensi dell’art. 5, comma secondo, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario, non si configura quale elemento di una causa di non punibilità, ma costituisce un termine ulteriore per adempiere all’obbligo dichiarativo, eventualmente anche in concorso con il nuovo obbligato (Sez. 3, n. 19196 del 24/02/2017, COGNOME, Rv. 269635); per altro verso, in tema di reato di omessa dichiarazione dei redditi, spetta al fallito presentare la dichiarazione dei redditi per periodi di imposta anteriori al fallimento, mentre il curatore deve presentare le dichiarazioni per i periodi di imposta successivi, compreso quello nel corso del quale è intervenuta la dichiarazione di fallimento (Sez. 3, n. 1549 del 01/12/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249351): principi espressamente richiamati dalla sentenza impugnata e con i quali il ricorrente omette di confrontarsi criticamente;
stante l’inammissibilità del ricorso e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 24 maggio 2024.