Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 3733 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 3733 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato·a Frattamaggiore il 07/08/1969, avverso la sentenza del 14/02/2024 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 febbraio 2024, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del 16 gennaio 2023 del Tribunale di Cassino, con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di un anno di reclusione, per il reato di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 perché, in qualità di titolare dell’omonim ditta individuale, al fine di evadere le imposte sui redditi, non presentava, pur essendovi obbligato, la dichiarazione annuale per l’anno 2012, omettendo di dichiarare un importo pari a C 197.691,00, con un’IRPEF evasa pari ad C 78.177,00.
Avverso la sentenza l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. In primo luogo, si eccepisce l’erronea applicazione degli artt. 161 e 129 cod. proc. pen., sul rilievo che il reato avrebbe dovuto essere dichiarato prescritto prima della pronuncia della sentenza di appello, essendo decorso il relativo termine il 30 settembre 2023.
Anche a voler aggiungere i periodi di sospensione dei termini di prescrizione, pari a giorni 124, lo stesso sarebbe stato comunque prescritto il 3 gennaio 2024, prima della pronuncia della sentenza di appello.
2.2. Con un secondo motivo di doglianza, si censurano la violazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. ed il connesso vizio motivazionale e, conseguentemente, l’inutilizzabilità, ai fini processuali, del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza.
A parere della difesa, le dichiarazioni autoindizianti rese dall’imputato e contenute nel processo verbale di contestazione, sulle quali si fonda l’intero impianto accusatorio, non possono assurgere al rango di prova, in quanto prive di contraddittorio, perché, nel momento in cui sono sorti gli indizi dì reità, sarebbe stato necessario che l’imputato fosse messo a conoscenza della possibilità di farsi assistere da un difensore, di non rendere dichiarazioni autoaccusatorie e di ogni altra garanzia processuale prevista dall’ordinamento, pena l’inutilizzabilità nel processo penale della parte del documento redatta successivamente all’emersione dei profili di reità.
2.3. In terzo luogo, si denunciano la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato.
Per la difesa, difetta l’elemento oggettivo del reato, poiché l’importo dell’imposta evasa, al di sopra della soglia di punibilità di soli 709,00 euro, è stato calcolato mediante presunzioni.
Sostiene la difesa che, nella ricostruzione dei redditi per il calcolo dell’imponibile, sono stati aggiunti i redditi derivanti da contratto di gestione partecipazione, in virtù del quale all’odierno ricorrente sarebbe spettato il 25% degli utili ante imposte percepiti dalla società “RAGIONE_SOCIALE“, senza l’espletamento di alcun accertamento sull’effettiva ripartizione degli utili. Per ricorrente, se si decurtassero tali utili, l’importo dell’imposta evasa non supererebbe la soglia della rilevanza penale, pari ad euro 77.468,53. Ad avviso della difesa, sarebbe insussistente anche l’elemento soggettivo, da escludersi per l’atteggiamento collaborativo dell’imputato e per l’effettuazione di movimenti tracciati e tracciabili.
2.4. Con un’ultima doglianza, si denuncia, l’inosservanza dell’art. 131-bis cod. pen., non applicato nel caso di specie, nonostante l’esiguità dell’imposta asseritamente evasa, di soli euro 709,00 al di sopra della soglia di punibilità, l’occasionalità della condotta, la lontananza dei fatti nel tempo e il comportamento dell’imputato contemporaneo e successivo ai fatti.
La difesa ha depositato memorie, con le quali ribadisce quanto già dedotto, replicando alla requisitoria scritta del pubblico ministero, formulata nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo di doglianza, con cui si eccepisce che la prescrizione del reato sarebbe intervenuta il 3 gennaio 2024, considerati i periodi di sospensione, è manifestamente infondato.
Deve richiamarsi, sul punto, la giurisprudenza di legittimità, la quale evidenzia che, in materia di reati tributari, il momento consumativo del delitto di omessa dichiarazione da parte del sostituto d’imposta cui all’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, va fissato alla scadenza del termine dilatorio di novanta giorni concesso al contribuente, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del medesimo decreto, per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario (Sez. 3, Sentenza n. 36387 del 12/06/2019 Rv. 276884).
Dunque, se al termine ordinario per la presentazione della dichiarazione, ovvero il 30 settembre 2013, si aggiungono i 90 giorni concessi al contribuente, si giunge alla data del 30 dicembre 2013.
Tale data è da individuarsi quale momento consumativo del reato.
Ebbene, per il reato di omessa dichiarazione, previsto dall’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, commesso il 30 dicembre 2013, trova applicazione, ai sensi degli artt. 157 e 161, cod. pen., e 17, comma 1-bis, del d.lgs. n. 74 del 2000, il termine complessivo di dieci anni, cui devono aggiungersi i periodi di sospensione intervenuti nel giudizio, per complessivi 124 giorni (dal 18.03.2020 al 5.10 2020, in applicazione della normativa emergenziale COVID-19: 64 giorni; dal 6.12.2021 al 12.09.2022, per legittimo impedimento: 60 giorni); che hanno portato il termine prescrizionale a scadere solo il 2 maggio 2024, successivamente alla pronuncia della sentenza della Corte di appello.
Può dunque applicarsi il principio secondo cui l’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo dell’eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la
costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità e preclude l’apprezzamento di un’eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (ex plurimis, Sez. U., n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Rv. 268966; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rv. 261616; Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Rv. 256463; Sez. U., n. 19601 del 28/02/2008, Rv. 239400; Sez. U., n. 23428 del 02/03/2005, Rv. 231164; Sez. U., n. 32 del 22/10/2000, Rv. 217266).
1.2. Anche il secondo motivo di censura – riferito all’inutilizzabilità, ai f processuali, del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza – è inammissibile.
Giova premettere che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, a norma dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergano indizi di reato, gli att necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale devono essere compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice. Quanto al processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, quale atto amministrativo extraprocessuale, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità previste dall’art. 220 disp. att., giacché altrimenti la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile (Sez. 3, n. 15372 del 10/02/2010, COGNOME, Rv. 246599; Sez. 3, n. 6881 del 18/11/2008, Rv. 242523). Ne consegue che la parte di documento compilata prima dell’insorgere degli indizi, ha sempre efficacia probatoria ed è utilizzabile, mentre non è tale quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di rito. Il presupposto per l’operatività dell’art. 22 richiamato, cui segue il sorgere dell’obbligo di osservare le disposizioni del codice di procedura penale per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire ai fini dell’applicazione della legge penale, è costituito dalla sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. 3, n. 15372 del 10/02/2010, COGNOME, Rv. 246599; Sez. Un., 28.11.2004, n. 45477, COGNOME, Rv 220291; Sez. 2, 13/12/2005, n. 2601, COGNOME, Rv. 233330). Non di meno, come già affermato da questa Corte (Sez. 3, n. 54379 del 23/10/2018, Rv. 274131 – 01), la violazione dell’art. 220 disp.att. cod. proc. pen. non determina automaticamente l’inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti nell’ambito attività ispettive o di vigilanza, ma è necessario che l’inutilizzabilità o la null dell’atto sia autonomamente prevista dalle norme del codice di rito a cui l’art. 220 disp. att. rimanda (Sez. 3, n. 6594 del 26/10/2016, COGNOME, Rv. 269299). Ne Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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consegue che può essere dedotta la generica violazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., bensì occorre la specifica indicazione della violazione codicistica che avrebbe determinato l’inutilizzabilità con riguardo ai singoli atti compiuti dalla Guardia di Finanza e riportati nel processo verbale di constatazione redatto dalla medesima.
Occorre ulteriormente premettere il consolidato principio secondo cui, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità d elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’ident convincimento (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 20/02/2017, La Gumina, Rv. 269218; in senso conforme Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, dep. 16/06/2017, COGNOME, Rv. 270303).
Ebbene, nel caso di specie, va rilevata l’inammissibilità del motivo di ricorso nella misura in cui il ricorrente si limita a censurare genericamente l’inutilizzabili del contenuto del processo verbale di contestazione sulla violazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., senza specificare le norme codicistiche violate e integranti la ritenuta inutilizzabilità e senza indicare in concreto l’incidenz determinante dell’eventuale eliminazione degli atti concretamente assunti contra legem nel fondare la valutazione di penale responsabilità. Né la difesa contrasta l’affermazione dei giudici di merito, secondo cui la ditta era consapevolmente amministrata nell’assenza di scritture contabili.
1.3. Il terzo motivo di ricorso, con il quale si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato, è generico e comunque manifestamente infondato nel merito.
Occorre preliminarmente rilevare che tali doglianze sono inammissibili siccome seguono a motivo di appello generico e, quindi, geneticamente inammissibile, sicché la Corte territoriale poteva non prenderle in considerazione, trattandosi di un’ipotesi riconducibile ad una causa di inammissibilità originaria del gravame di merito. I motivi generici, infatti, restano colpiti dalla sanzione d inammissibilità anche quando la sentenza del giudice dell’impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione, donde il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi così viziati in radice non può essere oggetto, a pena di inammissibilità, di ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014).
Nel caso che ci occupa, la Corte territoriale si è comunque pronunciata nel merito e, con un apprezzamento fattuale immune da vizi logici, ha correttamente ribadito la sussistenza dei presupposti del reato.
Invero, il ricorrente lamenta il mancato accertamento, nella ricostruzione dei redditi per il calcolo dell’imponibile, dell’effettiva ripartizione degli utili e sos che, se si decurtassero tali utili, l’importo dell’imposta evasa non supererebbe la soglia della rilevanza penale, che – secondo la difesa – è pari ad euro 77.468,53. Trattasi, ancora una volta, di mere affermazioni del tutto sganciate da un esame analitico degli atti di causa, oltre che basate su un presupposto di diritto scorretto, in quanto la soglia di punibilità per il reato in questione era, al momento della sua commissione, quella introdotta dal d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, pari ad euro 30.000,00; mentre successivamente tale soglia è stata elevata a euro 50.000,00, a partire dal 22 ottobre 2015 (d.lgs. n 158 del 2015, art. 5) ed è rimasta tale anche a seguito delle successive modifiche normative. Ne discende che il superamento della soglia si verificherebbe comunque, anche se si decurtasse per intero l’importo degli asseriti redditi derivanti da contratto di gestione in partecipazione, in virtù de quale all’odierno ricorrente sarebbe spettato il 25% degli utili ante imposte.
Quanto all’elemento soggettivo, la Corte territoriale, con un apprezzamento immune da vizi logici, ha congruamente argomentato in ordine alla sussistenza, in capo a NOME COGNOME NOME, dell’obbligo di presentare la dichiarazione – valorizzando in senso negativo, anche la assoluta illegalità della gestione aziendale, in mancanza di scritture contabili – ed ha fatto buon governo del principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione, può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta (Sez. 3, n. 18936 del 19/01/2016, V., Rv. 267022 – 01).
1.4. Il quarto motivo di doglianza, con cui il ricorrente censua la mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., è inammissibile, trattandosi di motivo nuovo, non dedotto con l’appello, perciò non sottoponibile al vaglio del presente giudizio di legittimità. Nel caso di specie trova applicazione il consolidato principio per cui non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (così, tra le altre: Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316-
01; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745-01; Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, COGNOME, Rv. 255577-01).
Anche a prescindere da tale assorbente, considerazione, deve comunque rilevarsi che l’applicabilità della disposizione è meramente asserita dalla prospettazione difensive, la quale non tiene conto del significativo superamento della soglia di punibilità, di oltre il 50%.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22/10/2024