Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30811 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30811 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MILANO il 02/11/1965
avverso la sentenza del 24/10/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che COGNOME NOME – condannato per il reato di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 – ha proposto ricorso per cassazione, lamentando: 1) vizi della motivazione e violazione della disposizione incriminatrice, relativamente all’accertamento dell’elemento soggettivo del reato; 2) vizi della motivazione e violazione dell’art. 12 -bis del d.lgs. n. 74 del 2000 con riferimento alla confisca per equivalente, in assenza di valutazione in ordine alla praticabilità della confisca diretta.
Considerato che il ricorso è inammissibile, perché generico e diretto a sollecitare una rivalutazione del quadro istruttorio sulla base di una rilettura di fatto preclusa al sindacato di questa Corte, non confrontandosi in modo puntuale con le argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata;
che il primo motivo di doglianza – con cui la difesa prospetta che l’elemento soggettivo non sarebbe in alcun modo riconducibile al dolo specifico di evasione, quanto al massimo ad una culpa in vigilando sull’attività del professionista incaricato, sul quale il COGNOME aveva in buona fede fatto affidamento – è inammissibile, in quanto riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi, con corretti argomenti giuridici di merito e non scanditi da specifica critica;
che la Corte di appello valorizza correttamente (pag. 3 del provvedimento) il principio, più volte espresso da questa Corte, per il quale neppure l’affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione;
che, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere e che la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo né da una “culpa in vigilando” sull’operato del professionista, che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento anti-doveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale (ex multis Sez. 3, n. 16469 del 29/05/2020, Rv. 278966; Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, Rv. 265087);
che la prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione di cui all’art. 5, del d.lgs. n. 74 del 2000, può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta (ex plurimis, Sez. 3, n. 18936 del 19/01/2016, Rv. 267022);
che nel caso in esame i giudici di merito – integrandosi reciprocamente le motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado, attesa la natura di doppia
conforme sul punto – hanno sottolineato che non si tratta di una mera culpa in
vigilando, trattandosi di una violazione ripetuta per due annualità consecutive in
concomitanza con una crisi di liquidità che, poi, avrebbe portato l’impresa al fallimento, il che porta a concludere che l’imputato non abbia ottemperato
all’obbligo di rendere la dichiarazione fiscale con la coscienza e la volontà di evadere il dovuto, che superava in modo rilevante, per entrambe le annualità, la
soglia di punibilità, conseguente al volume di affari prodotto di cui egli era consapevole, avendo curato direttamente la gestione dell’attività (pag. 3 del
provvedimento);
che il secondo motivo di doglianza è manifestamente infondato, in quanto riferito a vizi non emergenti dal provvedimento impugnato;
che la Corte di merito ha correttamente ha correttamente confermato la disposta confisca per equivalente, dal momento che la confisca diretta non avrebbe
potuto essere disposta, stante la pacifica situazione di decozione della società, in mancanza di elementi di segno contrario dai quali desumerne la solvibilità;
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibilè il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2025.