Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14115 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14115 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMENOME nato a Cutrofiano (Le) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza dell’11/3/2024 della Corte di appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso; lette le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, anche con memoria
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’11/3/2024, la Corte di appello di Lecce confermava la pronuncia emessa il 3/3/2022 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, con la quale NOME COGNOME era stato giudicato colpevole del delitto di cui all’art. 5, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
erronea applicazione dell’art. 5 contestato. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna in forza di presunzioni tributarie semplici, munite di mero valore indiziario e non confermate da ulteriori elementi, anche a fronte della prova – offerta dalla difesa – circa ulteriori costi sostenuti dalla società. La sentenz avrebbe riconosciuto il superamento della soglia di punibilità in contrasto con l’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., così come in ordine all’elemento psicologico del reato; il dolo specifico richiesto dalla norma, infatti, sarebbe stato individuato nell sola condotta omissiva in sé, senza elementi ulteriori, in evidente contrasto con la giurisprudenza di questa Corte che impedisce di identificare tale profilo soggettivo con la “pura e semplice consapevolezza dell’obbligo dichiarativo violato e dell’entità dell’imposta non dichiarata”. L’assenza del dolo specifico, peraltro, emergerebbe dal fatto che il ricorrente avrebbe gestito la società per 18 anni, senza mai in precedenza realizzare alcuna omissione dichiarativa; lo stesso, ancora, avrebbe dismesso la carica nel 2017, dunque tre anni prima dell’accertamento da parte dell’RAGIONE_SOCIALE. Al ricorrente, dunque, potrebbe addebitarsi soltanto un comportamento lassista e colposo, come tale incompatibile con il dolo specifico richiesto dalla norma;
erronea applicazione dell’art. 12-bis, d. Igs. n. 74 del 2000. La sentenza avrebbe confermato la confisca per equivalente a carico del ricorrente, disposta per il caso di incapienza della società, senza individuare in termini affidabili l’entit del presunto profitto; le allegazioni difensive relative all’accertamento dell’imponibile, disattese dalla Corte di appello, apparirebbero peraltro idonee a scardinare le stime presuntive effettuate dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE quanto ai ricavi complessivamente ottenuti dalla società. Ne risulterebbe, dunque, una condizione di obiettiva incertezza sull’entità del profitto, che sarebbe stato quantificato senza operare una distinzione tra le molteplici operazioni di vendita effettuate dalla società, assoggettate ad aliquote fiscali differenti, peraltro con stima dei costi sostenuti compiuta esclusivamente attraverso l’anagrafe tributaria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo alla prima doglianza, in punto di responsabilità, il Collegio osserva che la motivazione della sentenza impugnata – in doppia conforme rispetto a quella di primo grado – non merita censure, in quanto la responsabilità del COGNOME per il delitto di cui all’art. 5, d. Igs. n. 74 del 2000 è stata confermata sulla bas di oggettive evidenze istruttorie, valutate in modo congruo e privo di illogicità manifesta, dunque non censurabile.
4.1. In particolare, accertata la (pacifica) omessa presentazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni sui redditi e sul valore aggiunto da parte della “RAGIONE_SOCIALE“, di cui il ricorrente era legale rappresentante, era risultato che la società era dichiarata cedente di operazioni attive per 432.600 euro, e cessionaria di operazioni per 119.719 euro, a fronte di operazioni ricostruite – in forza dei dati comunicati dai fornitori – per complessivi 111.084 euro. Era stato accertato, ancora, che la società aveva trasmesso 8 certificazioni uniche per lavoro dipendente ed una certificazione per lavoro autonomo, per un importo lordo complessivo di 80.386,98 euro, presentando altresì il modello NUMERO_DOCUMENTO in qualità di sostituto l’imposta. In forza di ciò, erano stati dunque riconosciuti costi per lavoro dipendente per l’importo appena citato, in quanto provenienti da elementi certi e precisi. Ai sensi dell’art. 41, d.P.R. n. 600 del 1973, ancora, era stato accertato un reddito d’impresa di 232.512,02 euro (pari a 432.600-80-368,98-119.719,00), ed un valore di produzione netta ai fini Irap di 312.881 euro.
4.2. A fronte dell’omessa presentazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni fiscali per l’anno 2015, e tenuto conto dei dati comunque forniti dalla società e RAGIONE_SOCIALE verifiche incrociate eseguite con i fornitori, era stato dunque accertato che il ricorrente non aveva dichiarato complessivamente 159.113 euro, di cui 63.941 euro di Ires e 95.172 di Iva.
4.3. Il giudizio di responsabilità, pertanto, non è stato affermato dalle sentenze in forza di presunzioni tributarie semplici non riscontrate, come sostenuto nel ricorso, ma sulla base di una lettura congiunta dei dati forniti dalla stessa società e dai vari soggetti giuridici con i quali questa aveva intrattenuto rapporti commerciali per l’anno di imposta 2015, con riguardo al quale il ricorrente non aveva presentato le dichiarazioni Ires ed Iva.
4.4. Ancora sul punto, si osserva poi che il ricorso risulta del tutto generico nella parte in cui censura la mancata valutazione della “prova positiva” che la difesa avrebbe offerto circa “gli ulteriori costi sostenuti” dalla società, senza alcuna indicazione specifica o richiamo ad eventuali esiti istruttori; analoga genericità, peraltro, è stata riscontrata dalla Corte d’appello con riguardo alla identica annotazione contenuta nel gravame.
4.5. Con riguardo, infine sul punto, all’elemento soggettivo del reato, la motivazione della sentenza risulta ancora non censurabile. Premesso che nessuna questione al riguardo era stata formulata nell’atto di appello, così da non poter trovare ingresso, per la prima volta, in sede di legittimità; tanto premesso, la Corte evidenzia comunque che già il primo Giudice aveva sottolineato che il dolo specifico richiesto dalla norma doveva essere ricavato dalle concrete modalità della condotta, per come adeguatamente descritte, integrata dall’omessa presentazione
di due dichiarazioni (redditi ed Iva) e dallo scostamento non modesto dalla soglia di punibilità.
4.6. La responsabilità del ricorrente per il delitto contestato, dunque, risulta sostenuta da una motivazione adeguata e priva dei vizi denunciati, come tale non censurabile.
Il primo motivo di ricorso, pertanto, è manifestamente infondato.
Alle stesse conclusioni, poi, il Collegio giunge quanto alla seconda censura, con la quale si deduce l’erronea applicazione dell’art. 12-bis, d. Igs. n. 74 del 2000, quanto alla misura della confisca per equivalente.
5.1. Il ricorso, sul punto, si sviluppa in termini generici, sostenendo che la Corte di appello non avrebbe valutato le allegazioni difensive circa i ricavi ottenuti dalla società, il che “sembrerebbe aver prodotto un risultato privo di affidabilità in ordine al calcolo del profitto che sarebbe stato generato dall’azione omissiva dell’imputato”.
5.2. Con espressioni ancora prive di specificità, si afferma poi che il calcolo dell’ammontare RAGIONE_SOCIALE imposte evase sarebbe avvenuto in “condizioni di obiettiva incertezza, anche per la natura tecnica RAGIONE_SOCIALE valutazioni”. Il motivo, al riguardo, sostiene che non sarebbe stata operata “neppure una distinzione tra le molteplici operazioni di vendita” compiute dalla società nell’anno 2015, assoggettate ad aliquote differenti; che i costi sarebbero stati stimati soltanto in base all’anagrafe tributaria; che nell’imponibile Ires non sarebbero state effettuate le “necessarie variazioni in diminuzione previste per gli elementi passivi del reddito di impresa”. Ebbene, come non è specificato se questi dati fossero stati comunque offerti dalla difesa, così non ne è indicata la rilevanza decisiva nell’ottica dell’affermazione di responsabilità, in forza degli argomenti impiegati a fondamento della condanna.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
I .
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del
ammende.
Così deciso in Roma, il 12 marzo 2025
Il Presidente