Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35951 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35951 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Riano (Rm) il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza n. 10533/24 della Corte di appello di Roma del 10 ottobre 2024;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
sentito il PM, in persona del AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentito, altresì, per il ricorrente l’AVV_NOTAIO, del foro di Catania, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma ha, in parziale riforma della sentenza emessa in data 3 novembre 2023 dal Tribunale di Civitavecchia, da una parte confermato l’affermazione della penale responsabilità di NOME in ordine al reato di cui all’art. 5 del dlgs n. 74 del 2000, per avere lo stesso, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, omesso di presentare le dichiarazioni fiscali relative agli anni di imposta 2014 e 2015, realizzando in tale modo un’evasione delle imposte dirette e sul valore aggiunto superiore alla soglia di punibilità, ed ha, pertanto, confermato anche la pena in precedenza inflitta al COGNOME nella misura di anni 1 e mesi 2 di reclusione, oltre accessori, mentre, per altra parte, ha previsto, in riforma della sentenza di primo grado, che la confisca per equivalente del profitto del reato di cui sopra sia eseguita in danno del COGNOME solo in quanto non sia stato possibile procedere esaurientemente alla confisca, in forma diretta, del medesimo profitto in danno della RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il COGNOME, tramite il patrocinio del proprio difensore fiduciario, articolando a sostegno di esso 3 motivi di ricorso.
Con il primo motivo è stata lamentata la violazione o l’errata applicazione dell’art. 5 del dlgs n. 74 del 2000, cioè la norma precettiva che si assume essere stata violata dal ricorrente, per avere i giudici del gravame confermato sul punto la sentenza di primo grado anche nella parte in cui l’importo evaso dell’imposta sul valore aggiunto era stato calcolato sulla base della mera sommatoria della somma imponibile, senza operare alcuna sottrazione.
Con il secondo motivo di ricorso è stata censurata la sentenza impugnata nella parte in cui, nella determinazione delle altre imposta evase non si era correttamente tenuto conto dei costi di produzione dell reddito, essendosi tenuto conto, secondo quanto riportato dal ricorrente “solo delle operazioni passive documentate ai fini IVA”.
Il terzo motivo di doglianza riguarda la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione operata in sede di merito delle risultanze rivenienti dalla consulenza tecnica di parte redatta dal perito della ricorrente difesa e per avere omesso di motivare sulla
richiesta di rinnovazione istruttoria articolata in sede di presentazione delle ragioni di gravame a suo tempo sottoposte alla Corte di merito.
In data 14 maggio 2025 il difensore del ricorrente ha fatto pervenitrre una memoria contenente ulteriori considerazioni a sostegno della fondatezza del ricorso, in particolare del primo motivo di impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è risultato inammissibile e, pertanto, come tale lo stesso deve essere ora dichiarato.
In relazione al primo motivo di impugnazione, si rileva che il contenuto di questo appare formulato in maniera non sufficientemente specifica.
Va, infatti, osservato che – in termini indubbiamente condivisibili e convincenti – i giudici del merito hanno evidenziato quale fonte di individuazione della base imponibile le risultanze emergenti dal bilancio societario, trattandosi di dati risultanti da documentazione promanante dalla stessa parte oggi in causa.
Hanno altresì segnalato come non sia stato possibile operare le richieste detrazioni relativamente all’Iva a debito, posto che la omessa presentazione della relativa dichiarazione fiscale non ha consentito di evidenziare l’esistenza di alcun credito Iva di cui si potesse giovare la Società amministrata dal ricorrente.
Non può, a questo punto, aderirsi alla tesi formulata dal ricorrente con il primo motivo di impugnazione secondo la quale nella determinazione dell’importo dell’Iva dovuta i giudici del merito avrebbero dovuto tenere conto, onde operare le opportune detrazioni, di quanto riportato anche solo nei registri Iva da questo conservati; ciò in quanto, in assenza della documentazione costituita dalla fatture che il contribuente ha ricevuto dai suoi fornitori, l’eventuale abbattimento dell’Iva dovuta attraverso il computo dell’Iva versata sarebbe il frutto solo di una ingiustificata “apertura di credito fiduciario” nei confronti del contribuente e non sarebbe sostenuta da un’adeguata copertura formale.
Analoghe considerazioni vanno fatte in relazione al secondo motivo di impugnazione, avente ad oggetto la determinazione dell’evasione fiscale realizzata dal COGNOME relativamente alle imposte dirette.
Infatti, sebbene sia ben vero che i costi deducibili ai fini del calcolo delle imposte dirette costituiscano una platea più ampia di quelli rilevanti allo stesso effetto riguardo all’Iva, non per questo siffatti costi possono non essere oggetto di adeguata documentazione.
Va ricordato, infatti, che nella sentenza impugnata si fa espressamente riferimento a “costi non documentati e comunque richiamati solo genericamente”.
Una tale indicazione per essere efficacemente contestata avrebbe I preteso che il ricorrente avesse segnalato la produzione, operata di fronte al giudice del merito (il quale non ne avrebbe tenuto conto), di documentazione idonea a provare, invece, l’effettività dei costi dichiarati come sostenuti idonei ad abbattere il reddito imponibile, cosa che invece questi non ha fatto, essendosi questo limitato a rimandare a dati di carattere presuntivo (i costi medi della manodopera nel settore commerciale ove la impresa del ricorrente operava) privi della dovuta concretezza.
Quanto al terzo motivo di impugnazione rileva il Collegio come legittimamente la Corte di merito abbia dato credito agli elementi reddituali positivi ricavabili dal contenuto del bilancio della Società amministrata dal ricorrente, mentre non ha considerato i dati ricavabili dal medesimo documento quanto agli elementi passivi di reddito così come invece fatto dal Consulente di parte.
Invero, mentre con riferimenti agli elementi attivi di reddito i dati rivenienti dal bilancio, se sostanzialmente in linea con quelli risultanti dalla verifica contabile operata dalla RAGIONE_SOCIALE, hanno una valenza di carattere sostanzialmente confessorio, tale sia da farli ritenere adeguatamente affidabili sia da consentirne l’utilizzo contra reum, non lo stesso può affermarsi per ciò che attiene agli elementi passivi che, se privi di adeguata documentazione probatoria – non ricavabile dal contenuto del bilancio trattandosi, appunto, di atto proveniente dal soggetto che intende giovarsi del suo contenuto – non possono essere computati ai fini della determinazione del reddito imponibile.
Nessun fondamento ha la doglianza avente ad oggetto la omessa motivazione in relazione alla istanza di rinnovazione istruttoria che il ricorrente avrebbe articolato in sede di formulazione dei motivi di gravame.
Essa – fugacemente introdotta a pag. 5 dell’atto di appello – avrebbe dovuto avere ad oggetto la analitica determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa; al riguardo si osserva, come la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente segnalato che nel giudizio di appello, la rinnovazione di una perizia può essere disposta solo se il giudice ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, ed il rigetto della relativa richiesta, se logicamente e congruamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità, trattandosi di un giudizio di fatto (per tutte: Corte di cassazione, Sezione I penale, 13 marzo 2019, n. 11168, rv 274996); nel caso di specie non può parlarsi, pertanto, di motivazione omessa, posto che la adeguatezza degli argomenti che sono stati spesi dalla Corte di appello per decidere rende manifesto come non vi fosse l’esigenza di ulteriormente integrare gli elementi istruttori, ben potendo essere assunta la decisione allo stato degli atti.
Tali rilievi danno con chiarezza conto delle corrette ragioni che hanno indotto i giudici del merito a non dare corso alla, peraltro del tutto generica, istanza di riapertura dell’istruttoria dibattimentale in grado di appello (sulla adeguatezza motivazionale del rigetto della istanza di rinnovazione istruttoria ove esso si fondi sulla complessiva struttura motivazionale della sentenza di gravame che indichi i sufficienti elementi per la affermazione della responsabilità del prevenuto, si veda: Corte di cassazione, Sezione VI 25 gennaio 2021, n. 2972, rv 280589).
Il ricorso pertanto, deve essere dichiarato nel suo complesso inammissibile ed il ricorrente, visto l’art. 616 cod. proc. pen., va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2025
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Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presi énte