Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7235 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7235 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Pisa il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 20-03-2023 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto d ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia del ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20 marzo 2023, la Corte di appello di Roma confermava la decisione del 15 novembre 2021, con la quale il Tribunale di Roma aveva condannato NOME COGNOME alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 5 del d. Igs. n. 74 del 2000, lui contestato perché, quale legale rappresentante della società “RAGIONE_SOCIALE“, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, pur essendovi obbligato, non presentava le dichiarazioni relative ai redditi prodotti nell’anno di imposta 2013, omettendo in particolare di dichiarare redditi imponibili realizzati per euro 1.196.535 derivanti dalla cessione di immobili avvenuta nel 2013, con ires evasa pari a euro 329.047 e iva evasa pari a euro 144.000.
Veniva parimenti confermata la statuizione con cui era stata disposta la confisca della somma di euro 198.342, corrispondente al profitto del reato.
Avverso la sentenza della Corte di appello capitolina, COGNOME, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando sei motivi.
Con il primo, la difesa deduce l’inosservanza dell’art. 159 cod. proc. pen. e RAGIONE_SOCIALE norme processuali in tema di emissione del decreto di irreperibilità da parte del P.M., evidenziando che nel corso del giudizio di primo grado, all’udienza del 6 novembre 2019, era stato eccepito che le ricerche svolte erano state del tutto insufficienti e irrituali, posto che, durante le stesse, era emerso che presso l’ultima residenza dell’imputato, sita in Guidonia l alla INDIRIZZO, gli operanti della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE avevano appreso da tale NOME COGNOME che la famiglia COGNOME non viveva più in quell’indirizzo, essendosi trasferita negli Stati Uniti di America, mentre l’immobile de quo era stato ceduto nel marzo 2015. Peraltro, la difesa sottolinea come fosse illogico che l’imputato fosse sconosciuto anche presso la sede lavorativa, ubicata in INDIRIZZO, essendo l’intero stabile riconducibile alla moglie e al fratello di NOME, per cui il rigetto da parte dei giudici di merito dell’eccezione difensiva doveva ritenersi illegittimo, essendo facilmente individuabili la dimora e il luogo di lavor dell’imputato, titolare di un visto e di diverse attività imprenditoriali in Florida.
Con il secondo motivo, si censura l’inosservanza degli art. 550 e 4 cod. , Ak Lco; proc. pen. in relazione all’art. 99 1 commaYZ cod. pen., rilevandosi che l’aumento della metà della pena in virtù della contestata recidiva reiterata avrebbe imposto la celebrazione dell’udienza preliminare, stante il superamento del limite di 4 anni previsto dall’art. 550 cod. proc. pen., con conseguente nullità del decreto di citazione diretta, incidendo la recidiva qualificata sulla determinazione della pena edittale, mentre non sarebbe pertinente il richiamo dei giudici di merito all’art. 278 cod. proc. pen., che attiene alle misure cautelari ed è ispirato dal favor
libertatis, non potendo l’art. 4 cod. proc. pen. che interpretarsi in maniera estensiva, atteso che la celebrazione dell’udienza preliminare è sinonimo di maggiore garanzia per l’imputato; diversamente, la difesa prospetta una questione di legittimità costituzionale degli art. 4 e 550 cod. proc. pen., in relazione agli art. 3, 24 e 111 Cost., posto che secondo la interpretazione restrittiva dell’art. 4 cod. proc. pen., l’imputato si troverebbe a essere tratto giudizio con citazione diretta sebbene, in virtù della recidiva qualificata, la pena potrebbe essere aumentata della metà, quindi in misura potenzialmente maggiore di altra aggravante a effetto speciale che, viceversa, garantirebbe un vaglio più rigoroso per l’esercizio dell’azione penale mediante richiesta di rinvio a giudizio e conseguente filtro dell’udienza preliminare.
In definitiva, essendo la recidiva qualificata un’aggravante a effetto speciale, si palesa una irragionevole disparità di trattamento a scapito dell’imputato recidivo qualificato, sebbene l’aumento della pena sia della metà e non di un terzo e un giorno, come avviene per le altre circostanze a effetto speciale ritenute rilevanti ai fini della individuazione della pena edittale alla luce dell’art. 4 cod. proc. pen.
Con il terzo motivo, la difesa contesta la conferma del giudizio di colpevolezza di COGNOMECOGNOME con particolare riferimento al mancato superamento della soglia di punibilità per ciascuna imposta, osservando che i giudici di merito non Cc rnto hanno tenutov’dei costi generatori dei ricavi e dei costi di acquisto di tutti g immobili poi alienati, che avrebbero determinato addirittura una perdita di bilancio, con conseguente irrilevanza penale dell’omessa dichiarazione. Del resto, la realizzazione di un ricavo prevede necessariamente il sostenimento di costi di produzione che, nel caso di specie, trattandosi di ruderi demoliti e ricostruiti, dovevano individuarsi nei costi RAGIONE_SOCIALE materie prime, nell’affitto dei macchinari, . ‘, ,..3-mt. GLYPH · e GLYPH estranze ecc., essendo provato che, nell’anno di imposta contestato, la RAGIONE_SOCIALE ha demolito e ristrutturato almeno sei villini, per cui, alla luce RAGIONE_SOCIALE puntuali considerazioni del consulente tecnico della difesa, sintetizzate nel ricorso, l’ires evasa sarebbe pari a 39.000 euro, mentre l’importo dell’iva evasa, tenendo conto esclusivamente degli atti notarili, sarebbe pari o a 68.400 euro, o al diverso importo di 18.400 euro, tenuto conto dei pagamenti sostenuti nel 2013, riverberandosi ciò anche sull’ammontare della confisca.
Con il quarto motivo, oggetto di doglianza sono il giudizio sulla sussistenza dell’elemento soggettivo e la mancata assunzione di una prova decisiva, rilevandosi, quanto al primo aspetto, come sia stato provato che NOME era stato vittima di una truffa da parte del fratello NOME, il quale, approfittand della sua permanenza negli Stati Uniti, si era impossessato di tutti i suoi beni, non ottemperando al pagamento dei compendi immobiliari venduti dalla RAGIONE_SOCIALE, il cui profitto determinerebbe l’evasione oggetto della contestazione.
In ordine al secondo profilo, si contesta la decisione della Corte di appello di non acquisire la sentenza resa il 29 novembre 2022 dal Tribunale di Roma, con la quale NOME COGNOME era stato condannato in ordine ai reati a lui ascritti, a nulla rilevando la circostanza che non si tratti di sentenza passata in giudicato, risultando quindi illogica e contraddittoria l’affermazione secondo cui la truffa subita dal ricorrente era un’affermazione sfornita di idoneo conforto probatorio.
Il quinto motivo è dedicato all’erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. p- róci pen., avendo la Corte di appello indebitamente escluso la particolare tenuità del fatto basandosi su dati assolutamente contraddittori rispetto a quelli emersi durante l’istruttoria dibattimentale, nel senso che l’unica imposta sopra soglia sarebbe in realtà l’iva per 68.400 euro e non per il più elevato importo di 198.342 euro, come erroneamente ipotizzato in sentenza.
Con il sesto motivo, infine, è stata eccepita l’inosservanza dell’art. 545.bis cod. proc. pen., introdotto dal d. Igs. n. 150 del 2022, in relazione al mancato avviso alle parti della ricorrenza RAGIONE_SOCIALE condizioni per la sostituzione della pena ai sensi degli art. 53 ss. della legge n. 689 del 1981, prevedendo la norma introdotta nel 2022 non una facoltà, ma un obbligo di avvisare le parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Il primo motivo non è meritevole di accoglimento, dovendosi innanzitutto rilevare che le censure circa la ritualità dell’emissione del decreto di irreperibili sono ridimensionate dal rilievo che l’imputato, inizialmente dichiarato irreperibile, è poi comparso nel giudizio di primo grado, essendo stato presente alle udienze del 12 novembre 2020, del 13 maggio 2021 e del 15 novembre 2021, data in cui è stata emessa la sentenza di primo grado. Anche nel giudizio di secondo grado il rapporto giuridico processuale è stato correttamente instaurato nei confronti di COGNOME, per cui l’ambito di valutazione RAGIONE_SOCIALE doglianze concerne unicamente la limitata fase in cui è stato emesso il decreto di irreperibilità, posto che nell sviluppo del procedimento l’imputato ha preso parte al processo nelle forme consentite, esercitando compiutamente le sue prerogative difensive.
Ciò posto, deve escludersi che il decreto di irreperibilità sia stato irritualment emesso, essendo state svolte le ricerche previste dall’art. 159 cod. proc. pen., che hanno avuto esito negativo, come attestato dai verbali acquisiti (in particolare con riferimento al luogo in cui si assume che egli dimorasse con la compagna), mentre del tutto generiche erano nella fase investigative le informazioni circa il presunto trasferimento all’estero (a Miami o in Messico) di COGNOME, per cui sono state legittimamente ritenute sufficienti le ricerche svolte in
Italia, dovendosi in tal senso ribadire l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 35867 del 21/09/2021, Rv. 281977), secondo cui, in tema di notificazioni di atti all’imputato, l’obbligo di effettuare nuove ricerche nei luoghi indicati dall’a 159, comma 1, cod. proc. pen., al fine di emettere il decreto di irreperibilità, è condizionato all’oggettiva praticabilità degli accertamenti, quale limite logico di ogni garanzia processuale, essendosi altresì precisato (Sez. 3, n. 16708 del 16/02/2018, Rv. 272634) che, ai fini della validità del decreto di irreperibilità, l completezza RAGIONE_SOCIALE ricerche va valutata con riferimento agli elementi, conosciuti o conoscibili, risultanti dagli atti al momento in cui vengono eseguite, senza che eventuali notizie successive possano avere incidenza “ex post” sulla legittimità della procedura, a ciò correlandosi l’ulteriore principio secondo cui, ai fini della emissione del decreto di irreperibilità, l’obbligo di disporre le ricerche all’estero sorge soltanto se quelle svolte nel territorio dello Stato consentono di individuare la località ove l’imputato dimora o esercita abitualmente la sua attività e in cui, quindi, può utilmente effettuarsi la ricerca per l’accertamento di un esatto indirizzo (cfr. Sez. 6, n. 29147 del 03/06/2015, Rv. 264104).
Di qui l’infondatezza della doglianza difensiva.
Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al secondo motivo.
Nel confrontarsi con l’eccezione difensiva concernente la mancata celebrazione dell’udienza preliminare, i giudici di merito hanno infatti rimarcato che, avuto riguardo al massimo edittale previsto per il reato contestato (anni 4 di reclusione), correttamente è stata esercitata l’azione penale con decreto di citazione diretta e non tramite la richiesta di rinvio a giudizio, non essendo dirimente la contestazione all’imputato della recidiva, ciò in forza della chiara previsione di cui all’art. 4 cod. proc. pen., secondo cui per determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato, senza tenere conto della continuazione, della recidiva e RAGIONE_SOCIALE circostanze del reato, fatta eccezione per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di quelle a effetto speciale.
Tale impostazione appare immune da censure, dovendosi considerare che, come osservato in modo pertinente dalla Corte di appello, il dato testuale dell’art. 4 cod. proc. pen. non lascia adito a dubbi interpretativi, individuando una disciplina che peraltro si ripropone anche in materia cautelare con l’art. 278 cod. proc. pen., secondo cui, agli effetti dell’applicazione RAGIONE_SOCIALE misure, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato, consumato o tentato, senza tenere conto della continuazione, appunto della recidiva, oltre che RAGIONE_SOCIALE circostanze del reato, a parte quelle specificamente richiamate nella citata norma processuale.
Né, rispetto a tale assetto normativo, che esclude la rilevanza della contestazione della recidiva ai fini della determinazione della competenza del giudice, appaiono configurabili i dubbi di costituzionalità evocati dalla difesa.
Quella legislativa costituisce invero un’opzione non irragionevole o contraria ai principi costituzionali, soprattutto ove si consideri che la recidiva, anche quando si delinea come circostanza a effetto speciale, costituisce pur sempre un’aggravante peculiare inerente la persona del colpevole (art. 70 cod. pen.), per cui la stessa può legittimamente essere destinata a riverberarsi, se ritenuta applicabile, sul solo trattamento sanzionatorio e non anche sull’accertamento della competenza o della individuazione della pena ai fini cautelari, venendo in rilievo in tal caso criteri che prescindono dalla biografia criminale dell’indagato. Ne consegue che la doglianza difensiva non può essere accolta.
3. Venendo al terzo motivo, se ne deve parimenti rimarcare l’infondatezza. Nel determinare l’imposta evasa, il Tribunale (pag. 3 ss. della sentenza di primo grado), con valutazione condivisa dalla Corte territoriale (pag. 7-8 della decisione impugnata), ha in primo luogo richiamato gli esiti della verifica fiscale compiuta dall’RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, da cui è emerso che la MA.SU. ha conseguito, per effetto della stipula, tra il 1° marzo e il 18 ottobre 2013, di quattro contratti di vendita, un valore imponibile complessivo di euro 1.196.535, a fronte del quale non sono state presentate né la dichiarazione dei redditi, né la dichiarazione iva, per cui, detratti dalla base imponibile i cos quantificati in euro 724.019, corrispondenti ai prezzi di acquisto degli immobili venduti, è stato accertato un reddito di impresa pari a euro 472.516, venendo quantificate in euro 129.942 l’ires evasa e in euro 144.400 l’iva evasa.
Nel confrontarsi con i rilievi del consulente tecnico di parte, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, i giudici di merito hanno poi osservato che NOME, sia a seguito dell’accertamento fiscale sia successivamente, non ha prodotto fatture, libri contabili o altri documenti utili ai fini della ricostruzione dei costi effettivame sostenuti, per cui l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE hanno correttamente detratto i soli costi certi rappresentati dai prezzi di acquisto dei compendi immobiliari oggetto di vendita, nella misura appunto di euro 724.019.
L’unico punto su cui sono state accolte le obiezioni del consulente della difesa concerne l’importo dell’iva evasa, posto che l’aliquota da applicare avrebbe dovuto essere non quella del 22%, come ritenuto dall’RAGIONE_SOCIALE, ma quella del 10%, trattandosi di immobili non di lusso, con la conseguenza che l’iva evasa andava rideterminata in euro 68.400, importo comunque superiore a quello di euro 50.0000 fissato come soglia di punibilità del reato contestato.
Orbene, l’impostazione seguita dai giudici di merito appare immune da censure, in quanto coerente con l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 17214 del
14/03/2023, Rv. 284554 e Sez. 3, n. 8700 del 16/01/2019, Rv. 275856), secondo cui, in tema di reati tributari, il giudice, per determinare l’ammontare della imposta evasa, è tenuto a operare una verifica che, pur non potendo prescindere dai criteri di accertamento dell’imponibile stabiliti dalla legislazione fiscale, soffre RAGIONE_SOCIALE limitazioni che derivano dalla diversa finalit dell’accertamento penale e dalle regole che lo governano, sicché, nel caso in cui i ricavi non indicati nelle dichiarazioni fiscali obbligatorie siano individuati sul base non di presunzioni, ma di precisi elementi documentali, quali le entrate registrate nella contabilità o nei conti correnti bancari, i correlativi costi posson essere riconosciuti solo in presenza di allegazioni fattuali da cui desumere la certezza o, comunque, il ragionevole dubbio della loro esistenza.
Non vi è dunque spazio per l’accoglimento RAGIONE_SOCIALE censure difensive, che sollecitano differenti apprezzamenti di merito non consentiti in questa sede, a fronte di un apparato argomentativo scevro da profili di irrazionalità.
4. Parimenti infondato è il quinto motivo di ricorso.
L’elemento soggettivo del reato, invero, è stato ragionevolmente ancorato dai giudici di merito alla veste di amministratore di diritto della società ricoperta da COGNOME e all’effettività del ruolo ricoperto nell’anno di imposta cui si riferisc l’omissione dichiarativa, non potendosi sottacere che le censure difensive circa i comportamenti truffaldini subiti dal ricorrente ad opera del fratello NOME attengono a vicende relative alle vendite degli immobili e non al trasferimento RAGIONE_SOCIALE incombenze fiscali connesse al ruolo di legale rappresentante della società, per cui il contenzioso tra i fratelli circa l’impossessamento dei beni immobiliari è destinato a rimanere sulla sfondo rispetto al dato in forza del quale era in ogni caso sul ricorrente che gravava l’onere di presentare le dichiarazioni fiscali.
Sotto tale profilo non può quindi ritenersi illegittima la decisione della Corte territoriale di acquisire la sentenza di condanna, all’epoca non definitiva, emessa a carico di NOME COGNOME, trattandosi di elemento probatorio non decisivo rispetto alla condotta contestata in questa sede, e ciò a prescindere dalla mancata irrevocabilità della sentenza, dovendosi in tal senso richiamare il consolidato principio affermato da questa Corte (cfr. Sez. Un. n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266820), secondo cui la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. A ciò resta solo da aggiungere che, all’odierna udienza, la richiesta difensiva di acquisizione di altra sentenza è stata parimenti disattesa, risolvendosi la stessa in una sostanziale sollecitazione a compiere valutazioni di merito che esulano dal perimetro del giudizio di legittimità.
Anche il quinto motivo, riguardante il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, non è meritevole di accoglimento. Sul punto deve infatti richiamarsi la condivisa affermazione di questa Corte ( Sez. 3, n. 16599 del 20/02/2020, Rv. 278946), secondo cui, in tema di omess presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini di evasione RAGIONE_SOCIALE impos causa di non punibilità prevista dall’art. 131bbis cod. pen. è applicabile ladd omissione abbia riguardato un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilit fissata ad euro 50.000 dall’art. 5 del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, in ragio fatto che il grado di offensività che fonda il reato è stato valutato dal leg nella determinazione della soglia di rilevanza penale (nella fattispecie di cu massima riportata è stata esclusa l’applicazione della causa di non punibilità riferimento a una evasione di imposta eccedente la soglia di legge per ammontare di euro 5.825,21, superiore all’il% dell’importo della soglia stess
Dunque, alla luce di tale premessa interpretativa, legittimamente è stata esc dalla Corte di appello l’operatività dell’art. 131.bis cod. pen., posto che, seguire il più favorevole criterio di accertamento dell’iva non versata se (peraltro con motivazione non illogica) dal Tribunale, l’ammontare dell’impos evasa risulta pari a euro 68.400, per cui si è comunque in presenza di un val significativamente distante dalla soglia di punibilità (di circa il 36%), tale consentire una valutazione di particolare tenuità della condotta illecita.
Il sesto motivo è infine inammissibile, dovendosi evidenziare che, ne giudizio di appello, non risulta che il ricorrente abbia sollecitato l’eser parte del giudice di secondo grado, dei poteri di sostituzione RAGIONE_SOCIALE pene dete di cui all’art. 545Nbis cod. proc. pen., per cui trova applicazione nella vicenda il principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 43848 del 29/09/2023, 285412 – 02 e Sez. 6, n. 46013 del 28/09/2023, Rv. 285491), secondo cui, i tema di pene sostitutive RAGIONE_SOCIALE pene detentive brevi, la disposizione di cui a 545-bis cod. proc. pen., è applicabile, nei limiti del principio devolutivo, an giudizio di appello, nel senso che le sanzioni sostitutive possono tro applicazione solo se il relativo tema sia stato specificamente devoluto nei mo di appello, da ciò discendendo che, se il difensore, nelle conclusioni o richiesta formulata subito dopo la lettura del dispositivo, non abbia solle l’esercizio, da parte del giudice, dei poteri di sostituzione RAGIONE_SOCIALE pene de non può poi, in sede di impugnazione, dolersi del fatto che non gli sia stato l’avviso previsto dal comma 1 dell’art. 545 -sbis cod. proc. pen.
Alla stregua di tali considerazioni, stante la complessiva infondatezza de doglianze sollevate, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve e quindi rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’a cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processual Così deciso il 27/10/2023