Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25941 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25941 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a Massa Lombarda il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del Tribunale di Palmi del 20/09/2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta rassegnata, ai sensi dell’art. 23 d.l. n. 137 del 2020 e succ. modd., del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
letta la memoria del difensore AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Palmi, in composizione monocratica, ha dichiarato NOME COGNOME responsabile dei reati di cui agli artt. 697 cod. pen. (capo A), 17 e 38 R.d. 773/1931 (capo B) accertati in Taurianova il 15 maggio 2018, e riuniti gli stessi sotto il vincolo della continuazione (ritenuto più grave il primo) la ha condannata alla pena di euro 482,00 di ammenda, pena sospesa, disponendo la confisca e la distruzione di quanto in sequestro.
1.1. Le imputazioni riguardavano il reato di cui all’art.697 cod. pen. per avere illegalmente detenuto n.351 cartucce per pistola cal. 22 TARGA_VEICOLO, senza averne fatto denuncia all’Autorità (capo A) ed il reato previsto dagli artt.17 e 38 R.d. 773/1931 (capo B) perché, pur avendo presentato in data 31 dicembre 2008 presso il commissariato di P.S. di Taurianova, la denuncia di detenzione di: – un fucile a pompa cal. 12 Magnum Optima matricola n.147607; – una carabina cal. TARGA_VEICOLO Win. Winchester matricola n.6483 175; -pistola cal. 22 LR Sig Sauer matricola n.NUMERO_DOCUMENTO, – n.40 cartucce cal. 30/30 Win., presso la propria residenza in INDIRIZZO, non la ripresentava, avendone trasferito la detenzione in INDIRIZZO, comune di Taurianova. Fatti accertati il 15 maggio 2018.
1.2. Il Tribunale ha ritenuto dimostrata la penale responsabilità dell’imputata essendo emerso, nel corso del dibattimento, che il giorno 15 maggio 2018 in occasione di un ordinario controllo da parte di personale del commissariato della Polizia di Stato presso l’abitazione di NOME COGNOME sita in INDIRIZZO non veniva riscontrata la presenza delle armi dalla stessa regolarmente denunciate in data 31 dicembre 2008, armi che la stessa imputata dichiarava avere trasferito presso un’altra abitazione sita sempre in Taurianova in INDIRIZZO, dove venivano effettivamente rinvenute, all’interno di una cassaforte chiusa a chiave, unitamente alle 351 cartucce sopra indicate che, invece, non risultavano essere state oggetto di denuncia di detenzione.
Con riferimento alla imputazione di cui alla lettera B) della rubrica, il Tribunale ha ritenuto sussistente il reato di cui all’art.38 R.d. n.773/1931 sanzionato dall’art.17 del medesimo decreto essendo stato provato che le armi (regolarmente denunciate) erano state trasferite da NOME COGNOME in un altro luogo senza il rinnovo della relativa denuncia alla competente autorità di pubblica sicurezza.
Avverso la predetta sentenza l’imputata, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art.173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo l’annullamento del provvedimento impugnato.
2.1 Con il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione ed erronea applicazione dell’art. 58, comma 3, R.d. n.635/1940 ed osserva che la qualificazione giuridica del fatto sub B) è erronea rispetto al tempo di commissione del reato indicato in maniera indeterminata facendo essa riferimento solo alla data dell’accertamento (15 maggio 2018). Pertanto, secondo la ricorrente, non poteva trovare applicazione l’art. 38, comma 5, R.d. 773/1931, introdotto con l’art. 3 del d.lgs. 240/2010, in quanto entrato in vigore il giorno 1 luglio 2011 e, quindi, non applicabile al caso in esame nel quale il trasferimento delle armi è avvenuto tra la data originaria denuncia del 31 dicembre 2008 e prima dell’entrata in vigore della citata disposizione.
2.2. Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt.25, comma 2, e 117 Cost., 2 cod. pen. e 7 Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo poiché la ricorrente è stata riconosciuta colpevole per un fatto (quello di cui alla lettera B della rubrica) non previsto dalla legge come reato al momento in cui è stato commesso.
2.3. Con il terzo motivo l’imputata deduce, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza di motivazione in relazione alla richiesta di applicazione dell’art.131-bis cod. pen. con esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto; in particolare osserva che – a fronte della specifica richiesta avanzata, in via subordinata, dalla difesa – il Tribunale di Palmi ha omesso qualsiasi motivazione sul punto pur sussistendo tutte le condizioni per applicare la disposizione invocata.
2.4. Infine, la ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale degli artt.61.152/1975 e 240 cod. pen. rispetto alla disposta confisca delle armi e delle munizioni in sequestro, per violazione degli artt. 3 e 27 Cost. con riferimento ai canoni di proporzionalità e ragionevolezza. A suo parere, infatti, la obbligatorietà della confisca prevista dal citato art.6 per tutti i reati concernenti le armi costituisce un automatismo sanzionatorio che regola allo stesso modo ed in maniera irragionevole reati di diverso disvalore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato nei limiti appresso indicati.
I primi due motivi (che possono essere trattati congiuntamente per la loro stretta connessione) sono infondati.
Come noto, infatti, la consumazione del reato di omessa denuncia di trasferimento delle armi cessa soltanto con l’eliminazione della situazione antigiuridica per mezzo dell’esecuzione del comportamento prescritto, perché
l’obbligo di denuncia permane sino a quando l’obbligato non abbia comunicato all’Autorità la nuova località ove l’arma è stata trasferita (Sez. 1, Sentenza n. 40173 del 01/10/2009, Rv. 245188 – 01); pertanto, nel caso in esame, il reato sub B) si è consumato nel momento stesso del suo accertamento e del susseguente sequestro delle armi e delle munizioni verificatisi il giorno 15 maggio 2018, di talché non vi è stata la lamentata violazione dell’art.2 cod. pen. poiché legittimamente ha trovato applicazione l’art. 38, comma 5, R.d. 773/1931, introdotto con l’art. 3 del d.lgs. 240/2010, in quanto entrato in vigore il giorno 1 luglio 2011 e quindi prima del fatto in contestazione.
Manifestamente infondata risulta poi la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente rispetto alla quale si è già pronunciata negativamente la Corte costituzionale con la sentenza n.5 del 2023; in particolare, la Consulta ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative alli art. della legge n. 152 del 1975.
3.1. Con il primo gruppo di questioni, il giudice rimettente aveva prospettato censure – in riferimento agli artt. 27, secondo comma, 42, secondo comma, 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in relazione agli artt. 6, paragrafo 2, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, 17 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – al citato art. 6 «nella parte in cui impone al giudice di disporre la confisca delle armi anche in caso di estinzione del reato per oblazione». Con il secondo gruppo di questioni, il rimettente aveva articolato denunce rispetto alla medesima disposizione – per allegato contrasto con gli artt. 3, 27, 42, nonché 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU e agli artt. 17 e 49, paragrafo 3, CDFUE – «nella parte in cui prevede come obbligatoria la confisca delle armi anche in relazione alla contravvenzione di cui dell’art. 38 del r.d. n. 733/1931». L’imputato aveva chiesto pronunciarsi declaratoria di estinzione del reato con restituzione delle armi sequestrate ma il giudice ha osservato che l’istanza di restituzione non poteva essere accolta, ostandovi il disposto del censurato art. 6 della legge n. 152 del 1975, che impone la confisca delle armi in questione, ancorché di valore economico assai superiore alla modesta entità dell’ammenda corrisposta per il reato in contestazione.
3.2. L’art. 6, nel richiamare il primo capoverso dell’art. 240 cod. pen., secondo l’interpretazione elaborata dal diritto vivente (cfr. per tutte, Corte cass. n. 54086 del 2017, Rv. 272085-01) impone la confisca delle cose ivi indicate, pure a fronte della declaratoria di estinzione del reato per oblazione, salve le ipotesi dell’assoluzione nel merito dell’imputato o dell’appartenenza della res a persona estranea al reato. Ad avviso del giudice rimettente, la rilevanza della questione
discendeva dal fatto che la restituzione delle armi sarebbe prospettabile soltanto laddove le questioni fossero accolte e, in punto non manifesta infondatezza, nel caso, l’effetto ablativo del diritto di proprietà dell’imputato si produrrebbe in assenza di accertamento sulla sua responsabilità, se non nei ristretti limiti dell’insussistenza di una evidente causa di assoluzione nel merito, considerate le peculiarità del procedimento per oblazione.
Alla confisca ex art. 6 della legge n. 152 del 1975 disposta in esito all’estinzione del reato per oblazione sarebbero estensibili le considerazioni sviluppate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo concernenti la cosiddetta confisca urbanistica (cfr., per tutte, Grande camera, 28 giugno 2018, RAGIONE_SOCIALE e altri contro Italia), secondo cui una misura ablativa del diritto di proprietà risulta compatibile con gli artt. 6, paragrafo 2, e 7 CEDU e 1 Prot. addiz. CEDU solo se adottata con una sentenza di condanna «o comunque a seguito di un accertamento garantito, non essendo sufficiente una sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato a meno che la stessa non sia stata preceduta, secondo l’ultimo approdo interpretativo condiviso anche dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite (Cass., S.U. 30 gennaio 2020, n. 13539 ), da un accertamento equivalente ad una pronuncia di condanna per la sua latitudine e modalità di formazione, essendo esteso alla sussistenza del fatto e alla responsabilità del reo e formatosi all’esito di un giudizio caratterizzato dalla partecipazione in contraddittorio delle parti».
3.3. Il secondo gruppo di questioni sollevate riguardava, invece, l’art. 6 della legge n. 152 del 1975 nella parte in cui prevede come obbligatoria la confisca anche in relazione alla violazione di cui all’art. 38 T.U.L.P.S., argomentando che l’obbligatorietà della confisca medesima, unita all’assenza di rimedi esperibili dall’imputato (tesi ad evitare il relativo pregiudizio patrimoniale), anche a fronte di una violazione di minima offensività come quella prevista dall’art. 38 TULPS, contrasterebbe con gli artt. 3, 27 e 42 Cost., nonché con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in relazione agli artt. 1 Prot. addiz. CEDU, e 17 e 49 CDFUE, i quali «nel riconoscere e tutelare la proprietà privata, impongono al legislatore di prevedere che le sanzioni, di carattere penale o anche solo amministrativo, che incidono su beni tutelati dall’ordinamento costituzionale o convenzionale siano ragionevoli, individualizzanti e proporzionate in rapporto alla gravità del fatto e alla personalità del reo e che le stesse siano altresì congrue e coerenti rispetto agli scopi perseguiti dal legislatore».
L’art. 6 della legge n. 152 del 1975, prevedendo una confisca obbligatoria in relazione a tutti i reati concernenti le armi, finirebbe per applicarsi a ipotesi criminose di disvalore profondamente diverso e oggettivamente non comparabile, «dai delitti di fabbricazione, introduzione nello Stato, vendita di armi da guerra, porto in luogo pubblico o detenzione di armi illegalmente detenute o addirittura
clandestine alle ben più modeste ipotesi contravvenzionali» tra cui quella in specie contestata all’imputato, di «omesso (o semplicemente ritardato, secondo quanto dedotto nell’istanza di restituzione) obbligo di comunicare all’Autorità di P.S. il trasferimento, dal vecchio al nuovo domicilio, delle armi dallo stesso legalmente denunciate in precedenza e delle quali, dunque, la Pubblica autorità già conosceva tipologia, caratteristiche, numero e soggetto responsabile della detenzione». Si tratterebbe dunque – ad avviso del rimettente – di un’equiparazione ingiustificata e viziata da plurimi profili di irragionevolezza: in primo luogo, l confisca di armi pertinenti a un determinato reato non impedirebbe all’imputato di continuare a detenerne legittimamente altre, «le quali, anche in caso di sequestro, andrebbero necessariamente restituite», ciò che comproverebbe la funzione prevalentemente sanzionatoria della misura in questione; in secondo luogo, la presunzione assoluta di «inaffidabilità» connessa alla confisca obbligatoria conseguirebbe a una violazione puramente formale e di modesta gravità, come si profila quella prevista dall’art. 38 T.U.L.P.S., laddove l’ordinamento prevedrebbe la facoltatività della confisca in ipotesi ben più allarmanti di reati realizza «avvalendosi delle armi», come la minaccia commessa con l’uso di un’arma.
3.4. Ciò premesso, la Corte costituzionale ha affrontato i due differenti ordini di questioni, tra loro in rapporto subordinato, in quanto il secondo gruppo di censure era prospettato per l’ipotesi di mancato riconoscimento della fondatezza del primo gruppo che muove, come si è riferito, dall’assunta natura sostanzialmente “punitiva” della confisca obbligatoria prevista dalla disposizione censurata. I rilievi riguardavano la violazione della presunzione di non colpevolezza, garantita dall’art. 27, secondo comma, Cost., dagli artt. 6, paragrafo 2, CEDU e 48 CDFUE, nonché la lesione del diritto di proprietà, tutelato dagli artt. 42 Cost., 1 Prot. addiz. CEDU e 17 CDFUE, che sarebbe ingiustificatamente inciso dalla misura ablativa all’esame. Anche laddove non si riconoscesse la natura “punitiva” della confisca prevista dalla disposizione censurata e non si ritenesse, pertanto, costituzionalmente illegittima la sua applicazione in sede di declaratoria di estinzione del reato per intervenuta oblazione, ad avviso del rimettente l’obbligo di disporre tale misura ablatoria da parte del giudice nel caso di violazioni dell’art. 38 T.U.L.P.S. si risolverebbe in una irragionevole e sproporzionata limitazione del diritto di proprietà, così come riconosciuto dalle medesime norme nazionali e sovranazionali poc’anzi menzionate, e in una conseguente ulteriore violazione degli artt. 3 e 27 Cost., nonché dell’art. 49, paragrafo 3, CDFUE.
Muovendo dall’imputazione formulata nel giudizio a quo, è stato osservato che la violazione contestata risultava unicamente essere quella di cui al settimo comma dell’art. 38 T.U.L.P.S., che dispone: «la denuncia di detenzione di cui al primo comma deve essere ripresentata ogni qual volta il possessore trasferisca l’arma in
un luogo diverso da quello indicato nella precedente denuncia. Il detentore delle armi deve assicurare che il luogo di custodia offra adeguate garanzie di sicurezza». Tale disposizione, osserva la Consulta, è stata introdotta con decreto legislativo 26 ottobre 2010, n. 204 (Attuazione della direttiva 2008/51/CE, che modifica la direttiva 91/477/CEE relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi); in precedenza, l’obbligo di ripresentare denuncia di detenzione in caso di trasferimento «da una località all’altra del territorio dello Stato» di armi, munizioni e materie esplodenti già denunciati era previsto dall’art. 58, terzo comma, del r.d. n. 635 del 1940.
3.5. In caso di violazione dell’art. 38, settimo comma, T.U.L.P.S., trova applicazione, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, l’art. 17, primo comma, T.U.L.P.S., secondo cui «salvo quanto previsto dall’art. 17-bis, le violazioni alle disposizioni di questo testo unico, per le quali non è stabilita una pena od una sanzione amministrativa ovvero non provvede il codice penale, sono punite con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206» (cfr., per tutte, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenze 16 novembre 2017), cui si applica l’art. 6 della legge n. 152 del 1975, in questa sede censurato, a tenore del quale «il disposto del primo capoverso dell’articolo 240 del codice penale si applica a tutti i reati concernenti le armi, ogni altro oggetto atto ad offendere, nonché le munizioni e gli esplosivi» (cfr., per tutte, Cass, n. 3802 del 2022, Rv. 282541-01, n. 32333 del 2019, non mass.).
La confisca in oggetto – ha osservato la Consulta – va applicata non solo in caso di condanna, ma anche di applicazione della pena su richiesta delle parti (cfr. Corte cass. n. 2738 del 2021, dep. 2022, Rv. 282541), di proscioglimento per particolare tenuità del fatto (Corte Cass. n. 54086 del 2017, Rv. 272085, di archiviazione del procedimento per motivi diversi dall’insussistenza del fatto (Corte cass. n. 20508 del 2016, n. 20508, Rv. 266894 di estinzione del reato per prescrizione (Corte cass. n. 43699 del 2021, non mass.), nonché di estinzione del reato per oblazione (Corte cass. n. 6919 del 2022, non mass.).
3.6. Fatte tali premesse, il Giudice delle leggi ha ritenuto le questioni proposte in via principale infondate. Innanzi tutto, è stato evidenziato che tale confisca riveste una funzione essenzialmente preventiva, anziché punitiva: la natura delle varie forme di confisca deve essere valutata in relazione alla specifica finalità e al peculiare oggetto di ciascuna di esse, nella consapevolezza – emersa già in pronunce assai risalenti della Corte cost. (sentenze n. 46 del 1964 e n. 29 del 1961) – della estrema varietà di disciplina e funzioni che, nell’ordinamento italiano, presentano le confische. Nel caso, secondo la giurisprudenza di legittimità (Corte cass. n. 27895 del 2016, Rv. 267657) la ratio dell’obbligo di comunicare all’autorità di pubblica sicurezza il trasferimento di armi, in precedenza
regolarmente denunciate, risiede nella necessità di garantire che tale autorità abbia in qualsiasi momento contezza del luogo in cui l’arma è detenuta, anche al fine di effettuare i controlli ritenuti opportuni. Si mira, in sintesi, a garantire piena tracciabilità dell’arma medesima, secondo quanto stabilito dal diritto dell’Unione europea, in particolare in ossequio alla direttiva 2021/555/UE (sul controllo dell’acquisizione e della detenzione delle armi).
3.7. Pertanto, il mancato adempimento dell’obbligo di comunicazione del trasferimento – e dunque del luogo in cui l’arma, pur in precedenza legittimamente detenuta, si trova attualmente – frustra l’obiettivo, perseguito dal legislatore italiano in adempimento di un preciso obbligo europeo, di avere contezza in ogni momento dell’ubicazione dell’arma, ciò che crea un potenziale pericolo che la misura ablativa mira ad eliminare.
Secondo la Consulta, la funzione punitiva della confisca assume, nel caso scrutinato, un rilievo secondario rispetto alla descritta attitudine preventiva, così destituendo del necessario fondamento logico l’intero primo gruppo di censure che, muovendo dal contrario presupposto della natura essenzialmente punitiva della confisca in parola, assumono la violazione della presunzione di non colpevolezza (e, in seconda battuta, dello stesso diritto di proprietà). Anche affrontando il secondo gruppo di rilievi, la Corte costituzionale ha concluso in termini analoghi: come premesso, si tratta di censure svolte in ordine logico subordinato, postulando che, anche ove si riconosca alla confisca di cui si tratta natura preventiva e non già punitiva, essa comunque ridonderebbe in una limitazione irragionevole e sproporzionata del diritto di proprietà dell’interessato, con conseguente violazione degli artt. 3, 27 e 42 Cost., nonché degli artt. 1 Prot.
addiz. CEDU e 17 e 49 CDFUE. Ad avviso del rimettente, pure in tale ipotesi, dovrebbe ritenersi la misura ablatoria limitare irragionevolmente, e comunque sproporzionatamente, il diritto di proprietà dell’interessato, con conseguente violazione degli artt. 3, 27 e 42 Cost., nonché degli artt. 1 Prot. addiz. CEDU e 17 e 49 CDFUE. La confisca in parola, obbligatoria nell’ipotesi di inosservanza degli obblighi posti dall’art. 38 TULPS, comma 7, costituirebbe misura irragionevole, finendo per equiparare il trattamento previsto per reati di assai differente disvalore, quali condotte non particolarmente gravi (così, il reato oggetto del procedimento a quo) e delitti molto gravi, come la fabbricazione, la importazione o la vendita illecite di armi da guerra; d’altro canto tale misura non sarebbe invece prevista – di qui, l’ulteriore profilo di irragionevolezza – per violazioni rilevanti, per esempio la minaccia commessa con l’uso di un’arma. Il profilo di irragionevolezza verrebbe altresì in gioco in quanto, contraddittoriamente, l’ordinamento non fa divieto alla persona colpita dal provvedimento ablatorio di detenere altre armi.
3.8. Ciò premesso, la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la censura formulata in relazione all’art. 27 Cost., «che – in difetto di indicazione del comma ritenuto violato – sembra essere stato evocato quale parametro “di rinforzo” rispetto all’allegata violazione del principio di proporzionalità della misura.». Il parametro risulta inconferente, qualora si muova dal presupposto, a base del secondo gruppo di questioni, della natura preventiva, e non punitiva, della misura stessa e della conseguente inoperatività dei principi di personalità della responsabilità penale e di necessaria funzione rieducativa. Analoga ragione osta a ravvisare la fondatezza della censura formulata in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 49, paragrafo 3, CDFUE, inapplicabile a
“intrinseco”.
Con riferimento all’agitata disparità di trattamento tra autori di reati di differente disvalore, la Corte costituzionale ha osservato che, trattandosi di una misura a contenuto preventivo e non già punitivo, ha scarso significato comparare la gravità del reato che ne costituisce il presupposto legale ad altre condotte penalmente illecite, posto che il reato presupposto svolge il ruolo di “occasione”, più che di “causa”, rispetto alla misura ablativa medesima. Quanto al profilo sub b), relativo alla mancata previsione di una confisca obbligatoria nel caso di reato non già «concernente le armi» ai sensi dell’art. 6 della legge n. 152 del 1975 ma posto in essere “a mezzo” di armi (il richiamo riguarda la minaccia commessa con
l’uso di armi), la Consulta ha rilevato che, anche ove si ritenesse irragionevole la mancata inclusione nella disciplina censurata di simili ipotesi, a tale supposta irragionevolezza la Corte medesima non potrebbe certo porre rimedio.
Con riferimento, infine, al rilievo sub c), secondo cui l’essere destinatario di confisca obbligatoria non impedirebbe all’interessato di detenere altre armi, il Giudice delle leggi – sulla base della giurisprudenza amministrativa (tra cui, Cons. Stato, sezione terza, sentenza 13 settembre 2017, n. 4334) – ha ricordato che la violazione delle norme relative alla comunicazione del trasferimento delle armi di cui all’art. 38, settimo comma, T.U.L.P.S. può essere considerata quale indice di scarsa affidabilità soggettiva e pertanto legittimare l’imposizione, da parte del prefetto, di un generale divieto rivolto all’interessato di detenere armi, ai sensi del già menzionato art. 39 T.U.L.P.S.
Risulta, invece, fondato il terzo motivo poiché a fronte della specifica richiesta di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. avanzata (in via subordinata) dal difensore (peraltro riportata tra le conclusioni nella sentenza impugnata), il Tribunale ha omesso di pronunciarsi e non può nemmeno ricavarsi, in via implicita, la relativa motivazione dal tenore complessivo della motivazione.
Come sopra evidenziato nel caso di specie, la mera lettura del provvedimento esaminato fa emergere la carenza assoluta anche di una motivazione implicita sulla richiesta, espressamente formalizzata in sede di discussione, di applicazione (in via subordinata) del citato art. 131-bis.
Ne deriva l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla richiesta di applicazione dell’art.131-bis cod. pen. , con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palmi in diversa persona fisica, affinché – in piena autonomia di giudizio – venga valutata la predetta istanza; il ricorso invece deve essere respinto nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la richiesta di applicazione dell’art.131-bis cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Palmi. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2024.