Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 36959 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 36959 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a SALERNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/02/2025 della Corte di appello di Salerno Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito il PG, in persona del AVV_NOTAIO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12 aprile 2024 la Corte di appello di Salerno ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Salerno in data 14 febbraio 2023 con la quale NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 perché, essendo stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato con provvedimento del 29 maggio 2018, aveva omesso di comunicare una rilevante variazione del reddito del nucleo familiare intervenuta nell’anno 2018, comunicazione che si era impegnato a compiere (ai sensi dell’art. 79, comma 1, lett. d del citato d.P.R.) entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno dalla data di presentazione dell’istanza.
Per mezzo del proprio difensore, l’imputato ha proposto ricorso contro la sentenza articolando due motivi.
2.1. Col primo motivo, la difesa lamenta violazione di legge e vizi di motivazione per essere stata ritenuta idonea ad integrar t un variazione di reddito rilevante, e tale da far sorgere l’obbligo della comunicazione, la variazione del reddito della madre dell’imputato. In tesi difensiva, le variazioni reddito che devono essere comunicate non sono quelle che riguardano la famiglia anagrafica, ma quelle che derivano dall’esistenza di un rapporto di convivenza effettivo. Pertanto, ai fini della affermazione della penale responsabilità, non era sufficiente prendere atto che la madre di NOME, nell’anno 2018, aveva percepito un reddito tale da far superare al nucleo familiare i limiti previsti dalla legge per l’ammissione al beneficio, ma sarebbe stato necessario provare che, oltre ad essere anagraficamente inseriti nel medesimo nucleo familiare, NOME e la madre fossero effettivamente conviventi.
2.2. Col secondo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per non essere stata ritenuta applicabile la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. Sottolinea a tal fine: che, nel valutare la complessiva offensività del fatto, la Corte di appello non ha tenuto conto che l’omissione potrebbe derivare da semplice negligenza; che la condotta è occasionale; che l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è stata revocata e, pertanto, l’omessa comunicazione della variazione del reddito non ha determinato alcun danno per l’erario.
All’odierna udienza, essendo stata disposta la trattazione orale su richiesta della difesa, il PG ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricor riportandosi alla memoria scritta tempestivamente depositata. Il difensore, pur
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avendo ricevuto regolare notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza, non è comparso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso non superano il vaglio dì ammissibilità.
2. Secondo la ricostruzione dei fatti fornita dai giudici di merito e non contestata dal ricorrente, in data 22 maggio 2018, NOME COGNOME, sottoposto ad indagini in un procedimento penale pendente di fronte al Tribunale di Salerno, depositò un’istanza volta a ottenere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, autocertificando la sussistenza delle condizioni di reddito previste dall’art. 76 d.P.R. n. 115/2002. Ai sensi dell’art. 79, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 115/2002, l’istante si impegnò a comunicare, fino a che il procedimento non fosse definito, «le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, verificatesi nell’anno precedente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno, dalla data di presentazione dell’istanza o della eventuale precedente comunicazione di variazione». Con decreto del 29 maggio 2018, NOME fu ammesso al patrocinio a spese dello Stato. L’ammissione fu revocata con provvedimento in data 8 aprile 2021 perché, accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza ‘ , attestarono che il nucleo familiare del quale il ricorrente faceva parte, nell’anno 2018, aveva percepito un reddito complessivo di C 15.479,00, superiore ai limiti previsti per il mantenimento del beneficio.
Secondo la difesa, ai fini della affermazione della penale responsabilità dell’imputato non sarebbe stato sufficiente tenere conto dei redditi della famiglia anagrafica, essendo necessario verificare la sussistenza di un rapporto di effettiva convivenza tra NOME e la madre, titolare del reddito che, nell’anno 2018, ha comportato il superamento dei limiti di cui all’art. 76 d.P.R. 115/2002.
Poiché formulato in questi termini il motivo è aspecifico. Il difensore, infatti, non ha fornito argomenti dai quali fosse possibile desumere che la composizione dello stato di famiglia risultante all’anagrafe non corrisponde GLYPH alla realtà e che, in concreto, NOME non convive GLYPH con la madre. Dunque, non si è confrontato con la motivazione della sentenza impugnata, secondo la quale il contenuto degli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza documentava la appartenenza di NOME e della madre al medesimo nucleo familiare e il superamento dei limiti di reddito previsti dalla legge per l’ammissione al beneficio.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che, ai sensi dell’art. 76, comma 2, d.P.R. n. 115/2002, nel reddito complessivo dell’istante deve essere computato anche quello delle persone che con lui convivono, ma
non quello dei familiari non conviventi. Si è sottolineato in tal senso che la possibilità di cumulare ai redditi dell’istante quelli conseguiti dai familiari è strettamente collegata alla situazione di convivenza. Come è stato condivisibilmente sostenuto, se si tenesse conto del reddito complessivo del nucleo familiare non-ostante il venir meno della convivenza, non si potrebbe garantire che del reddito percepito dal familiare abbia beneficiato in concreto anche colui che ha chiesto l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (Sez. 4, n. 35674 del 26/06/2019, Rv. 276673, pag. 4 della motivazione). Nella medesima prospettiva si è affermato che, quando fa convivenza si sia protratta per un periodo limitato di tempo, nel valutare i requisiti per l’ammissione ai sensi dell’art. 76 d.P.R. n. 115/2002, non può essere preso in considerazione l’intero reddito prodotto nell’anno dal familiare convivente, ma solo la frazione corrispondente al periodo di effettiva convivenza (Sez. 4, n. 35674 del 26/06/2019, Rv. 276673; Sez. 4, n. 43527 del 4.5.2017, non massimata).
Com’è evidente, l’affermazione di questi principi (che devono essere qui ribaditi) non comporta che, a fronte di una certificazione anagrafica attestante la composizione del nucleo familiare, la persona accusata di non aver comunicato variazioni di reddito rilevanti possa limitarsi ad affermare che tali variazioni riguardano redditi percepiti da persona in realtà non convivente e, per ciò solo, sorga in capo all’accusa l’onere di provare che la certificazione anagrafica corrisponda alla realtà. Si deve allora prendere atto che, nel caso di specie, avendo allegato una situazione di non effettiva convivenza con la madre, il ricorrente non risulta aver speso alcuna argomentazione a sostegno di tale allegazione, né risulta aver prodotto documentazione in tal senso.
Non ha maggior pregio il secondo motivo, col quale la difesa si duole della mancata applicazione della causa di non punibilità dì cui all’art. 131 bis cod. pen. In tesi difensiva, la particolare tenuità del fatto dovrebbe essere desunta: dal fatto che l’omissione potrebbe derivare da semplice negligenza; dal fatto che si tratta di condotta occasionale; dalla constatazione che l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è stata revocata e, di conseguenza, la condotta illecita non ha determinato un danno per l’Erario.
Come (noto, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (cfr., per tutte, Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266590). In breve, come efficacemente chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (pag. 8 della motivazione della sentenza n.13681/2016), si richiede «una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie
concreta; e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto». Ai fini della applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., infatti, «non esiste un’offesa tenue o grave in chiave archetipica. È la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore».
Di recente questa Corte di legittimità si è occupata dell’applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto al delitto di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115/2002 e ha sostenuto che «la rilevanza dell’offesa deve essere apprezzata avuto riguardo alle modalità ingannatorie della condotta falsa od omissiva, ossia alla sua idoneità a trarre in inganno il giudice all’atto della presentazione dell’istanza» (Sez. 4, n. 30042 del 29/05/2024, Rv. 286818).
Il caso oggetto del presente ricorso non riguarda la falsità delle dichiarazioni rese ai fini dell’ammissione al beneficio, ma la mancata comunicazione di variazioni di reddito rilevanti. Si tratta, dunque, di una condotta omissiva. Il reato si perfeziona col decorso del termine entro il quale la variazione avrebbe dovuto essere comunicata ed è un reato istantaneo con effetti perduranti nel tempo. Il pericolo di danno erariale, infatti, si protrae fino al momento in cui, accertata la variazione delle condizioni di reddito che l’interessato ha omesso di denunciare, l’ammissione al beneficio viene revocata. Il danno diviene irreversibile quando siano decorsi cinque anni dalla definizione del processo. In questo caso, infatti (ai sensi dell’art. 112, comma 1, lett. d) d.P.R. 115/2002), la revoca d’ufficio del beneficio non è più possibile anche se risulta provata la mancanza sopravvenuta delle condizioni di reddito.
È coerente con questa impostazione l’argomento, sviluppato dalla Corte di appello, secondo il quale, nel caso di specie, la modesta offensività della condotta deve essere esclusa perché la revoca è intervenuta a seguito di un accertamento della Guardia di Finanza e il mancato danno per l’Erario non è dipeso dal comportamento dell’interessato. Ed invero, poiché l’istanza di ammissione al beneficio fu presentata il 22 maggio 2018 e la variazione di reddito intervenne nel corso del 2018, la comunicazione della variazione avrebbe dovuto avvenire entro il 21 giugno 2019, ma fu omessa, e l’interessato non provvide, neppure in ritardo, a tale doverosa comunicazione, sicché il pericolo di danno erariale si protrasse fino al marzo 2021, quando la Guardia di Finanza accertò che il reddito del nucleo familiare era mutato, consentendo al Tribunale di procedere alla revoca. Le conseguenze della condotta omissiva, pur venute meno a seguito della revoca (che ai sensi dell’art. 114 d.P.R. 115/2002 produce effetti dal momento in cui la comunicazione avrebbe dovuto avvenire) si protrassero, dunque, per più di due anni e mezzo e, in questa situazione, non è illogico aver ritenuto che il fatto, dal quale derivò un perdurante pericolo di danno, non sia particolarmente tenue. Com’è stato autorevolmente sottolineato,
infatti, il reato di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115/2002 «si rapporta, ben ol pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà del singolo verso le istituzi (così, testualmente, Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008, dep. 2009, Rv. 242152, pag. 5 della motivazione).
A queste considerazioni si deve aggiungere che, se l’omissione ascritta all’odierno ricorrente non ebbe conseguenze dannose, ciò non dipese dalla condotta susseguente al reato, sicché il fatto non avrebbe potuto essere valutato tenue neppure alla stregua della formulazione dell’art. 131 bis cod. pen introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150. È appena il caso di ricordare, infin che, come i giudici di merito hanno sottolineato, per ottenere l’ammissione al beneficio, COGNOME si impegnò a comunicare le variazioni di reddito rilevanti e pertanto, tale omessa comunicazione non può essere valutata in termini di mera negligenza.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione dell causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 61 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 9 ottobre 2025
Il Cons