Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30838 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30838 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 26/07/1980
avverso la sentenza del 03/10/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che NOME ha proposto ricorso per Cassazione avverso la ICC° sentenza del 1’3 (i -i l óvemorei 2024, con la quale la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la sentenza del 20 ottobre 2022, con la quale il Tribunale di Pescara l’aveva condannata, in relazione al reato di cui all’art. 7 del dl. n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2019, per aver omesso di comunicare le variazioni di reddito, nonché le informazioni dovute, ai fini della revoca o della riduzione del reddito di cittadinanza, dopo essere divenuta titolare di reddito da lavoro dipendente per svolgimento di attività lavorativa alle dipendenze l’associazione “RAGIONE_SOCIALE Arcobaleno”;
che, con un primo motivo di doglianza, si censura il vizio di motivazione per avere ritenuto sussistente il reato senza aver tenuto conto che la ricorrente, avendo richiesto il pagamento degli emolumenti a lei spettanti dall’associazione, aveva stipulato con quest’ultima un accordo, risultante dal verbale di conciliazione del 2 dicembre 2020, e che la presenza stessa di un verbale di conciliazione presupponeva che ella non fosse stata pagata, con ciò escludendo ogni eventuale aumento del suo reddito;
che, con un secondo motivo, si lamenta la violazione di legge per avere il giudice ritenuto sussistente il reato a fronte dell’incertezza relativa alla differenza di ammontare del patrimonio della ricorrente, sebbene il reato si concretizzi, non tanto omettendo la comunicazione di un nuovo reddito, quanto omettendo la comunicazione della variazione patrimoniale conseguente all’attività svolta;
che, in terzo luogo, si denunzia la inosservanza dell’articolo 131-bis, cod. pen., per avere il giudice del merito tenuto conto unicamente della somma di euro 4000,00, risultante dal documento conciliativo – e di cui la difesa ritiene incerta la percezione effettiva – senza aver verificato la circostanza se il reddito di cittadinanza percepito dalla ricorrente superasse il tetto stabilito dalla legge di euro 9360,00.
Considerato che i motivi esposti dalla ricorrente non sono consentiti in sede di legittimità, perché riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici di merito e non scanditi da specifiche critiche delle argomentazioni a base della sentenza impugnata, nonché volti a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie, estranea al sindacato di legittimità, e avulsi da pertinente individuazione di specifici travisa menti di emergenze processuali;
che, con riguardo al primo motivo, deve osservarsi che il giudice del merito ha correttamente argomentato, evidenziando che dal verbale conciliativo risultano le cifre pattuite nel loro preciso ammontare, per complessivi euro 6000,00 mensili,
e un TFR pari ad euro 824,00, e che ai fini della consumazione del reato, non occorre l’effettiva percezione di una somma, ma l’omessa dichiarazione dello
svolgimento di un’attività lavorativa, anche irregolare;
che, con riguardo al secondo motivo, fermo che il reato si consuma con l’omessa dichiarazione dell’attività generatrice del reddito, il giudice ha
correttamente argomentato, basandosi sulle dichiarazioni del teste di polizia giudiziaria, che confermava come una pronta comunicazione dell’attività svolta
avrebbe permesso all’INPS una rimodulazione del reddito di cittadinanza.
che il terzo motivo è inammissibile, oltre che per le ragioni sopra esposte, anche perché inerente al trattamento punitivo, il quale è sorretto da sufficiente
motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive;
che il giudice del merito ha esaustivamente argomentato in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità, avendo tenuto conto, ai fini
della valutazione di gravità della condotta tenuta dalla ricorrente, non soltanto della somma percepita grazie all’attività di lavoro dipendente, ma anche del
vantaggio economico ottenuto grazie alla mancata riduzione del reddito di cittadinanza.
Tenuto conto che della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2025.