Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 19873 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 19873 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da GLYPH · Di NOME COGNOME nata a Cassino il 30/10/1989 avverso la sentenza del 03/06/2024 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 giugno 2024, la Corte di appello di Roma ha parzialmente riformato – escludendo la recidiva, riconoscendo le circostanze attivanti generiche, riducendo la pena a otto mesi di reclusione – la sentenza del Tribunale di Cassino dell’Il settembre 2023, con la quale l’imputata era stata condannata, per il reato di cui all’art. 7, comma 2, del d.l. n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2019, perché, al fine di ottenere
indebitamente il beneficio economico del reddito di cittadinanza, poi effettivamente ottenuto per un ammontare pari ad euro 6.385,85, ometteva di dichiarare, successivamente alla presentazione della domanda per l’ottenimento del beneficio, di essere stata sottoposta a misura cautelare personale in seguito al suo arresto in flagranza in data 18 luglio 2019.
Avverso la sentenza l’imputata, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione basato su un unico motivo di doglianza, lamentando la violazione della disposizione incriminatrice, con riferimento alla configurabilità del reato.
Secondo la prospettazione difensiva, l’obbligo di comunicazione del provvedimento di sospensione del reddito di cittadinanza spetterebbe all’Autorità Giudiziaria che ha provveduto ad emanare il provvedimento di sottoposizione a misura cautelare della beneficiaria, e non a quest’ultima. Nello specifico, l’art. 7, comma 2, richiamato prevederebbe in capo al beneficiario l’obbligo di comunicare all’INPS solo eventuali variazioni suscettibili di essere ricomprese nell’ambito delle informazioni legate a reddito e patrimonio e non anche l’eventuale applicazione di misure cautelari personali.
Inoltre, secondo quanto sostenuto dalla ricorrente, l’obbligo di comunicazione di eventuali condanne o misure cautelari, di cui all’art. 2, comma 1, lettera c-bis), d.l. n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2019, ricorrerebbe solo al momento della richiesta dell’ammissione al beneficio e non anche nella fase successiva, durante la percezione del reddito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
1.1 Preliminarmente, va osservato che la disposizione penale dell’art. 7, richiamato nel capo di imputazione, ha previsto due diversi reati, uno per la fase genetica e l’altro per la fase successiva al riconoscimento del beneficio economico, disponendo che: «1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizz dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni. 2. L’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini del revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all’articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni».
Pertanto, l’accesso e l’erogazione al beneficio sono presidiati dalla legge con apposite sanzioni per le ipotesi di falsità od omissioni rilevanti in sede di
presentazione della domanda o mancato adempimento degli obblighi di aggiornamento imposti dalla disciplina stessa. Trattasi di due reati di condotta e di pericolo, la cui ratio si rinviene nella tutela dell’amministrazione contro affermazioni mendaci o omissioni relative all’effettiva situazione patrimoniale, reddituale e personale dei soggetti che vogliano accedere o abbiano già avuto accesso al reddito di cittadinanza. La disciplina è incardinata nel suo complesso al generale principio antielusivo che si basa sulla capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., la cui ratio risponde al più generale principio di ragionevolezza di cui all’art. 3; e si è precisato che integrano il delitto di cui all’art. 7 le omesse o f indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata ‘a conseguire il reddito di cittadinanza solo se funzionali a ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge. (Sez. U, n. 49686 del 13/07/2023, Rv. 285435).
Ebbene, nel caso di specie, la Corte di appello riconduce il comportamento silente dell’imputata ad una delle omissioni di carattere generale previste dal secondo comma del suddetto articolo, essendo evidente che la circostanza di essere sottoposta a misura cautelare non costituisca una informazione di carattere reddituale e non possa che rientrare nella residuale categoria delle “altre informazioni”.
Chiarito ciò, è necessario evidenziare che nel caso qui prospettato non ci si trovi dinanzi ad una situazione che è causa di revoca o riduzione del beneficio quanto piuttosto ad una situazione di “sospensione del beneficio”, così come disposto dall’art. 7 -ter del medesimo d.I., rubricato “Sospensione del beneficio in caso di condanna o applicazione di misura cautelare personale”. E infatti, in base a quanto disposto dal primo comma del richiamato art. 7 – ter, “nei confronti del beneficiario o del richiedente cui è applicata una misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonché del condannato con sentenza non definitiva per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3, l’erogazione del beneficio di cui all’articolo 1 è sospesa”.
Tanto premesso, sancendo l’effetto sospensivo del beneficio, tale disposizione esclude esplicitamente la possibilità che la relativa omissione rilevi ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, non potendo ricondursi il difetto di tale informazione al novero delle “informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio”.
Inoltre, il legislatore, nel disciplinare la sospensione del beneficio in caso di condanna o applicazione della misura cautelare personale, ha espressamente previsto, ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 7 – ter del d.l. n. 4 del 2019, il dovere in capo al giudice che disponga la misura cautelare di adottare i provvedimenti di sospensione del beneficio, invitando l’indagato, nel primo atto cui è presente, a
dichiarare se goda o meno del reddito di cittadinanza, ma non postulando in capo a quest’ultimo alcun obbligo di comunicazione all’ente erogatore. Si prevede,
altresì, al comma 4, che, “ai fini della loro immediata esecuzione, i provvedimenti di sospensione di cui ai commi 1 e 2 sono comunicati dall’autorità giudiziaria
procedente, entro il termine di quindici giorni dalla loro adozione, all’INPS per l’inserimento nelle piattaforme di cui all’articolo 6 che hanno in carico la posizione
dell’indagato o imputato o condannato”.
2. Alla luce di tali considerazioni, il fatto tipico previsto dalla norm incriminatrice deve essere ritenuto insussistente, perché la condotta di mancata
comunicazione dell’assoggettamento a misura cautelare personale non rientra nel suo ambito di applicazione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio alla sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
Così deciso il 04/02/2025.