Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30257 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30257 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 426/2025
– Relatore –
COGNOME NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza del 13/06/2024 della Corte d’appello di Firenze
RAGIONE_SOCIALE – Onlus
Comune do Calci, Ente Locale
Comune di Vicopisano, Ente Locale
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
l’avvocato NOME COGNOME per la parte civile Comune di Calci, ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte, depositate unitamente alla nota spese, chiedendo il rigetto del ricorso,
Con la sentenza in epigrafe, emessa il 13 giugno 2024, la Corte di appello di Firenze ha parzialmente riformato la decisione resa, a seguito di dibattimento, dal Tribunale di Pisa il 17 settembre 2019, con cui NOME COGNOME – imputato del delitto di incendio boschivo aggravato, per aver causato un danno grave, esteso e persistente all’ambiente capo 1) e del delitto di disastro ambientale (capo 2) a lui contestati come commessi in Calci, tra il 24 e 25 settembre 2018 – era stato dichiarato colpevole dei reati a lui ascritti, avvinti in continuazione, ed era stato condannato alla pena di anni dodici di reclusione, oltre alle pene accessorie, nonchØ al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, ad eccezione del Comune di Buti, con liquidazione rimessa alla separata sede civile e con assegnazione di provvisionali di euro 250.000,00 in favore del Comune di Calci, euro
L’incendio aveva interessato una superficie complessiva di circa 1.200 ettari, essendosi man mano esteso anche nel territorio dei comuni limitrofi di Buti, Vicopisano oltre che, in misura minore, Cascina e San Giuliano Terme.
Ulteriore elemento aggravante era rappresentato dall’esposizione del versante in cui il rogo poi aveva avuto origine, trattandosi di quello maggiormente soggetto all’insolazione diurna: ciò comportava, in quel periodo, un preriscaldamento naturale del materiale vegetale, rendendolo particolarmente vulnerabile all’innesco di focolai.
Indi, COGNOME era stato escusso in qualità di persona informata sui fatti in tre diverse occasioni: il 3 novembre, il 4 dicembre e, infine, il 18 dicembre 2018, data in cui egli era stato formalmente sottoposto a fermo e iscritto nel registro degli indagati.
L’esito delle corrispondenti verifiche Ł andato univocamente nel senso della conferma della capacità di intendere e di volere dell’imputato. Entrambi i giudici del merito, infatti, hanno ritenuto da disattendersi le conclusioni formulate dal consulente della difesa (dott. COGNOME, le cui considerazioni cliniche sono state raffrontate con quelle, di diverso segno, del consulente tecnico del Pubblico ministero (dott. COGNOME, nonchØ riguardate alla stregua degli altri elementi di carattere documentale, in primo luogo sanitario, e testimoniale.
Il Tribunale aveva reputato che l’imponente incendio boschivo fosse tale da integrare entrambi i reati di cui alla rubrica, segnatamente sia l’ipotesi dell’incendio boschivo aggravato dal danno grave, esteso e persistente all’ambiente e dal pericolo per gli edifici, oltre al danno ad aree protette, sia quella del disastro ambientale.
Poi, e in sintesi, i giudici di appello hanno osservato che la differenza tra l’evento delineato dall’art. 423bis , quarto comma, cod. pen. e quello previsto dall’art. 452quater , primo comma, nn. 2 e 3, cod. pen. si esaurisce, in ultima analisi, in un ambito meramente terminologico: si tratta, per la Corte territoriale, di concetti espressi con formulazioni linguistiche diverse, ma sostanzialmente coincidenti sotto il profilo semantico e sostanziale, tanto da non giustificare la configurazione di un concorso formale di reati e il conseguente aggravamento del trattamento sanzionatorio.
A tal proposito, la difesa – preso atto che il principale elemento addotto a conforto delle dichiarazioni auto-indizianti Ł stato individuato nel passaggio, alle ore 19:49, di un’autovettura Fiat Panda di colore ‘azzurro settimo cielo’ sotto la telecamera di sorveglianza di Ponte INDIRIZZO (auto che, secondo i giudici del merito, si presenta come perfettamente identica a quella ripresa la notte precedente alle ore 01:49, elemento da cui si Ł desunto che COGNOME fosse alla guida anche nel secondo passaggio, in discesa dal Monte Serra) – fa notare che questa deduzione non trova riscontro negli ulteriori indizi emersi nel corso del dibattimento: in particolare, si erano rilevate alcune differenze tra l’autovettura che si assume essere di proprietà della madre dell’imputato, transitata sotto la telecamera di Ponte Grande alle ore 19:49 del 24 settembre 2018, e quella ritratta in una fotografia scattata dalla polizia giudiziaria il 22 giugno 2020, certamente riconducibile alla famiglia COGNOME grazie al numero di targa, giacchØ, in quest’ultima immagine, si distinguono chiaramente un coprisedile, un adesivo porta disco orario e un ciondolo appeso allo specchietto retrovisore, elementi del tutto assenti nelle immagini dell’autovettura ripresa alle ore 19:49 del 24 settembre 2018.
Infine, si richiama un ulteriore elemento (anch’esso evidenziato nell’atto di appello ma non adeguatamente considerato nella sentenza impugnata): nel corso dell’esame dibattimentale del colonnello COGNOME Ł emerso che NOME COGNOME – proprietario del ristorante ‘Le Porte’, situato nei pressi dell’omonimo tornante – aveva dichiarato di non aver incontrato alcuna persona nel tratto percorso tra le ore 19:00 e le ore 19:30 circa del 24 settembre 2018, mentre si recava al proprio locale sul Monte COGNOME; orbene, se davvero l’imputato si fosse trovato in quella zona tra le ore 19:02 e le ore 19:49, sarebbe quantomeno anomalo il fatto che egli non fosse stato visto, nØ incrociato da COGNOME proprio in quella ristretta finestra temporale. Questa circostanza viene evidenziata come ulteriore elemento di dubbio che avrebbe dovuto essere considerato nella valutazione del quadro probatorio.
Un’ulteriore criticità Ł, per il ricorrente, l’individuazione della modalità di innesco dell’incendio: si ripete che l’ipotesi dell’innesco a tempo, inizialmente esclusa dagli inquirenti, Ł stata sostenuta solo in un secondo momento, sulla scorta delle dichiarazioni del consulente del Pubblico ministero, contrastanti con le dichiarazioni dell’imputato del 18 dicembre 2018, da tale circostanza essendo discesa l’esigenza argomentativa di far riferimento a dispositivi idonei a giustificare un’ipotesi di innesco ritardato; e si segnala che, in concomitanza con la trasmissione al Pubblico ministero della relazione redatta dal
Fra gli elementi suscettibili di ingenerare un ragionevole dubbio, si richiamano, oltre alle dichiarazioni rese al colonnello COGNOME dal teste COGNOME la valutazione inizialmente espressa dagli inquirenti circa l’improbabilità dell’utilizzo di un innesco a tempo e il dato del transito di ben 211 autovetture sotto la telecamera di Ponte Grande nella sera del 24 settembre 2018; tale ultima circostanza si ritiene tale da smentire l’assunto sostenuto nella sentenza impugnata secondo cui quella sera i passaggi sarebbero stati scarsissimi: a questo dato viene annesso particolare significato, giacchØ, non essendo stato materialmente accertato se a cagionare l’incendio fosse stato un innesco diretto o a tempo, non poteva escludersi che una delle auto transitate tra le 20:00 e le 22:50 avesse a bordo gli autori dell’incendio, tanto piø che il tornante Le INDIRIZZO, luogo da cui era partito l’incendio, era accessibile sia da strade asfaltate che da percorsi forestali non presidiati da telecamere, con la possibilità di provenienza da Calci o da Buti o dalla frazione di Pieve di Compito.
La difesa dell’imputato ha concluso come da ricorso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte ritiene che il ricorso si connoti per l’infondatezza, nella parte in cui esse non sono inammissibili, delle due doglianze articolate e vada, di conseguenza, rigettato.
Le censure articolate con il primo motivo non pervengono a porre in crisi la solidità del complessivo insieme di elementi valutati dai giudici di merito e ritenuti dimostrativi della penale responsabilità di COGNOME, siccome formanti un quadro completo e coerente, dotato, anche nella parte indiziaria di esso, dei connotati della gravità, precisione e concordanza.
La motivazione resa dalla Corte territoriale contiene congrue risposte a tutte le questioni dotate di un qualche rilievo sollevate dalla difesa con l’atto di appello, sicchØ non merita di essere condivisa la prospettazione del ricorrente in merito al mancato riscontro, nella sentenza impugnata, di un adeguato tessuto argomentativo alla base della confermata sussistenza della sua penale responsabilità.
2.1. Con riferimento alle dichiarazioni risultate decisivamente ammissive delle circostanze di fatto determinanti per il suddetto accertamento di responsabilità rese dall’imputato il 18 dicembre 2018, anche i giudici di appello hanno spiegato le ragioni per le quali esse sono state rese da soggetto certamente in possesso delle sue piene facoltà mentali, hanno reso chiara la carenza di credibilità alla base della posizione ritrattante poi assunta, in merito alle corrispondenti affermazioni, dall’imputato in tempo successivo e hanno evidenziato la parte di esse risultata veritiera, identificando in quali snodi non Ł emersa una ricostruzione interamente coerente delle condotte poste in essere da COGNOME la sera del 24 settembre 2018.
¨ pacifico, invero, che l’imputato non aveva formulato una confessione esplicita anche in ordine all’avvenuto innesco volontario dell’incendio, ma aveva comunque dato chiaramente atto di essere stato sul luogo di innesco dell’incendio la sera in cui esso era stato appiccato, di avere usato l’accendino in quella circostanza per una finalità diversa e di ‘poter presumere’ che il fuoco fosse stato innescato dal foglio di carta da lui bruciato, pur assumendo di non esserne sicuro.
I giudici di appello hanno individuato in modo argomentato nelle dichiarazioni notevolmente ammissive dell’imputato – rese, con le garanzie difensive, in un momento in cui, a cagione della presa d’atto che i tracciati elaborati sul suo telefono cellulare avevano reso noto agli operanti che nella data del 24 settembre 2018 egli era stato sul luogo dell’incendio – il dato di natura probatoria e di portata basilare, in quanto dotato di efficacia confessoria, della sua presenza sul luogo del fatto nel momento cruciale e dell’integrazione da parte sua di una condotta idonea all’appiccamento del fuoco, verificando nel loro ambito la parte di quelle dichiarazioni veritiera, risultata corroborata da elementi di riscontro e comunque perfettamente conciliabile con gli altri elementi emersi, e la parte di esse in cui erano stati inseriti riferimenti non veritieri.
Appurato ciò, il carattere di mendacità di una specifica parte di tali dichiarazioni,
tuttavia, non ha escluso la rilevanza probatoria della parte veritiera di esse, poichØ le medesime si sono dimostrate univocamente rivelatrici di fatti aventi indubbio rilievo probatorio.
In particolare, Ł stato evidenziato nelle sentenze di merito che COGNOME ha ammesso di essersi recato sul Monte Serra in un orario risultato compatibile con la condotta incendiaria e lo ha fatto fornendo dettagli che solo lui poteva conoscere, dando atto del possesso e dell’utilizzo di un accendino: comportamento ritenuto, non illogicamente, incompatibile con l’assenza di volontà di appiccamento del fuoco, data anche la particolare consuetudine dell’imputato con situazioni di quel tipo, quale sperimentato volontario antincendio.
Nel prosieguo si esporranno le ragioni per le quali Ł da ritenere che la valutazione di ininfluenza liberatoria della susseguente ritrattazione messa in atto dall’imputato sia stata formulata dai giudici di merito in modo non illogico e non censurabile in questa sede.
Quel che, però, appare importante sottolineare ora Ł che, per tale parte, il compendio probatorio risulta dotato di efficacia dimostrativa autonoma: e rispetto a esso le argomentazioni sviluppate dalla difesa – e peraltro dirette in senso critico soprattutto in direzione delle circostanze afferenti al contorno indiziario – non riescono, pure nella parte in cui non si risolvono in considerazioni rivalutative, a incrinare la tenuta della motivazione.
2.2. Intanto, merita evidenziare l’infondatezza della prospettazione di una tardiva e, in qualche misura, arbitraria scoperta da parte degli inquirenti dell’elemento della natura – di innesco a tempo – del mezzo usato per l’appiccamento del fuoco generatore dell’incendio.
La tesi secondo cui esso sarebbe stato introdotto soltanto in un secondo momento in modo da rendere praticabile la pista investigativa che conduceva a Franceschi, siccome questi di fatto non era piø presente sul luogo di appiccamento tra le 21:45 e le 22:00 (ora a cui Ł stato fatto risalire, tenuto conto di varie testimonianze, l’inizio dell’incendio), Ł stata smentita dai giudici del merito, i quali hanno osservato che gli inquirenti erano pervenuti alla verifica di quel modo di innesco sulla scorta di deduzioni logiche basate sulle massime di esperienza e dalle dichiarazioni rese da esperti inquirenti intervenuti nell’immediatezza dell’evento (fra cui COGNOME, COGNOME e COGNOME).
Gli elementi forniti da queste qualificate fonti militano concordemente per l’esclusione della praticabilità dell’innesco diretto, considerate le particolari condizioni meteorologiche di quella sera, che avrebbero posto lo stesso piromane in una immediata e chiara situazione di grave e irragionevole pericolo per la propria incolumità.
Anche le dichiarazioni rese dai testimoni presenti sul Monte la sera del 24 settembre hanno corroborato la tesi della condotta certamente dolosa e, secondo la motivata analisi della Corte di merito, risultano pienamente compatibili con la collocazione nel luogo del fatto dell’innesco a tempo: poi, la brevità dell’intervallo temporale tra l’accertata assenza delle fiamme (ore 21:44) e il primo avvistamento certo (ore 22:00), unitamente all’assenza di movimenti di terzi nell’area interessata e alle condizioni climatiche eccezionali, hanno logicamente condotto alla ragionevole certezza della impossibilità dell’alternativo innesco diretto.
2.3. Risulta incensurabile, inoltre, il ragionamento sviluppato dalla Corte territoriale con riferimento all’ulteriore dato di rilevante valore indiziario rappresentato dal transito, alle ore 19:49 del 24 settembre 2018, dell’autovettura Fiat Panda colore ‘azzurro settimo cielo’, risultata nella disponibilità di COGNOME, sotto la telecamera di sorveglianza di Ponte Grande.
La verifica certosina effettuata dagli inquirenti con riferimento alle altre autovetture di
marca, tipo e colore identici circolanti nella zona, in relazione alle concrete circostanze di tempo e di luogo, ivi inclusa la disamina delle caratteristiche specifiche del veicolo, hanno condotto la Corte territoriale a confermare la valutazione di ragionevole certezza dell’identificazione del veicolo effigiato dalla suddetta telecamera con quella in uso a Franceschi (e, come pure Ł stato precisato, solo a Franceschi nelle ore serali), essendo stata congruamente valutata anche l’ulteriore, non irrilevante circostanza – emersa al relativo controllo dopo che NOME COGNOME, compagna di COGNOME, aveva segnalato il fatto che alle ore 01:49 dello stesso 24 settembre la medesima autovettura con a bordo l’imputato e la suddetta COGNOME era transitata nello spettro della medesima telecamera: l’identità del veicolo nelle due immagini Ł stata considerata evidente in modo macroscopico.
NØ integra un’obiezione consistente la contestazione difensiva relativa al raffronto tra le immagini dell’autovettura ripresa il 18 settembre 2018 e quelle, estratte nel giugno 2020, che ritraggono la madre di COGNOME alla guida del medesimo veicolo; le differenze evidenziate non incidono sulla tenuta logica della ricostruzione giudiziaria: l’immagine contestata Ł, infatti, di molto successiva ai fatti oggetto di contestazione, con tutte le possibilità di modifica e variazione riconnesse al suddetto iato temporale, ed Ł stata ritenuta, di conseguenza, inidonea a compromettere la ricostruzione fatta propria anche dai giudici di appello, del resto basata anche sugli esiti delle consulenze tecniche acquisite.
2.4. Adeguata analisi e conseguente confutazione ha ricevuto l’assunto difensivo secondo cui non vi sarebbe alcuna certezza che l’auto transitata sotto la telecamera alle 19:49 provenisse effettivamente dal tornante ‘INDIRIZZO‘, non essendo escluso che provenisse da altri accessi intermedi.
Questa ipotesi era stata espressamente considerata e rigettata nella sentenza di primo grado e le corrispondenti conclusioni, non adeguatamente confutate dall’imputato, sono state avallate dalla Corte territoriale: Ł stato, in particolare, evidenziato che la prospettata alternativa appartiene alle eventualità assolutamente residue ed escluse da un vaglio fondato sulla verifica delle cause collocate nell’alveo illuminato dall’elevato grado di credibilità razionale, in quanto la sua concretizzazione richiede di ipotizzare che, in una sera caratterizzata da marcata allerta meteo, con forti raffiche di vento, un soggetto non residente nella zona e alla guida di un’autovettura identica a quella in uso a Franceschi avesse deciso di percorrere una strada montana impervia – anzichØ l’ordinario collegamento tra Lucca e Pisa – per poi transitare, alle 19:49, davanti alla telecamera in direzione Calci.
Si Ł incensurabilmente concluso che questa prospettazione afferisce a una ricostruzione meramente astratta, in quanto essa non possiede coerenza logica e la sua consistenza non Ł in alcun modo comparabile alla versione accolta dai giudici.
Assodato ciò, che l’autovettura in uso a COGNOME e da lui in quel frangente condotta non fosse, a quell’ora, proveniente dal Monte Serra non ha potuto costituire un’ipotesi alternativa suscettibile di essere presa in concreta considerazione dai giudici del merito anche perchØ l’essere stato sul Monte Serra aveva costituito la base delle dichiarazioni ammissive rese dall’imputato, avendo l’elemento di verifica suindicato determinato soltanto ma irrefutabilmente – la fissazione temporale di un momento del suo viaggio di ritorno.
2.5. Circa, poi, l’avvenuta pretermissione delle indicazioni fornite dal ristoratore NOME COGNOME il fatto che la Corte territoriale non abbia dedicato una trattazione specifica al punto non si profila indice rivelatore di una determinante carenza motivazionale.
La difesa, invero, si Ł doluta della mancata considerazione della circostanza per cui (non il diretto interessato, bensì) il colonnello COGNOME avrebbe riferito che il suddetto COGNOME – proprietario del ristorante ‘Le INDIRIZZO‘, situato nei pressi dell’omonimo
tornante – aveva detto di non aver incontrato alcuna persona nel tratto percorso tra le ore 19:00 e le ore 19:30 circa del 24 settembre 2018, mentre si recava al proprio locale sul Monte Serra, dato che si sostiene essere in contrasto con la conclusione che l’imputato si era trovato in quella zona tra le ore 19:02 e le ore 19:49.
Risulta che nell’atto di appello era stato fatto riferimento a quanto COGNOME aveva detto di aver appreso dal ristoratore COGNOME, senza però nessuna analisi della testimonianza resa direttamente da NOME COGNOME nel corso del dibattimento: ciò nonostante il Tribunale avesse, nella parte narrativa della sentenza di primo grado, dato atto che quest’ultimo era stato esaminato all’udienza dell’11.09.2019.
¨, quindi, evidente che la censura, per essere argomentata, avrebbe dovuto farsi carico di muovere dalla diretta deposizione del teste COGNOME, eventualmente ponendone il contenuto in relazione con la deposizione dell’inquirente COGNOME: ma questo iter argomentativo non era stato articolato nell’atto di appello.
Medesimo rilievo Ł a farsi con riguardo al contenuto del ricorso per cassazione: il ricorrente non ha discorso della testimonianza del suddetto ristoratore, nØ, fra gli allegati indicati in chiusura dell’atto di impugnazione, ha inserito il verbale delle dichiarazioni di COGNOME.
Peraltro, gli allegati ora richiamati sono stati riferiti a singole pagine dei verbali di altre deposizioni, in specie di quelle degli inquirenti COGNOME COGNOME e COGNOME, laddove per l’autosufficienza inerente alla corrispondente doglianza – sussumibile nella figura del travisamento della prova per omissione – sarebbe stato conseguente allegare, anzitutto, il verbale dell’atto istruttorio principale nella sua integralità e in pari tempo riferire il vizio alla prova testimoniale di cui si Ł lamentata la pretermissione valutativa, ossia quella costituita dall’esame del suddetto COGNOME.
SicchØ, a parte la carenza di decisività dell’addotta obliterazione (come Ł evidente desumere dalla non perfetta coincidenza della fasce orarie di riferimento e dal carattere non piø che possibilistico del dedotto elemento ostativo), il Collegio non può considerare dimostrata la lamentata mancanza di motivazione sulla corrispondente circostanza.
In effetti, Ł da ribadire che l’obbligo di motivazione del giudice dell’impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell’atto di impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio: pertanto, allorquando ricorra tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell’appello e incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260841 – 01).
In tal senso, dunque, la denuncia del vizio di motivazione imperniata sulla carenza argomentativa della sentenza rispetto a un tema contenuto nell’atto di impugnazione può essere utilmente posta alla base del ricorso per cassazione soltanto quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano carattere di decisività (Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, COGNOME Rv. 267723 – 01).
Il richiamato e condiviso orientamento Ł consequenziale al, pure affermato, principio di diritto secondo cui la stessa rilevazione dell’omesso esame di un motivo di appello da parte del giudice dell’impugnazione non dà luogo a un vizio di motivazione rilevante a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen. quando, pur in mancanza di espressa
disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente assorbito e disatteso dalle spiegazioni svolte nella motivazione, in quanto esso Ł incompatibile con la struttura e con l’impianto della stessa nonchØ con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi posta a fondamento della sentenza (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593 – 01).
2.6. In ordine al rinvenimento dei pezzi di zampirone nella sede del GVA in tempo successivo al fatto, i giudici di appello hanno circoscritto al requisito della concordanza la valenza del fatto stesso, siccome trattasi di circostanza confermativa dell’utilizzo da parte dell’imputato di un innesco a tempo, innesco che si era stabilito dagli inquirenti essere stato formato, in altri eventi, con l’impiego proprio con le parti di zampirone.
Del pari, l’avere – dopo la valutazione delle considerazioni del consulente del Pubblico ministero (COGNOME e di quelle del consulente della difesa (COGNOME – stabilito, quanto all’uso del telefono cellulare di COGNOME, che esso, nell’arco orario di interesse, era risultato acceso, ma lasciato a lungo inutilizzato, ha costituito un dato che la Corte di appello, senza enfatizzarlo, ha considerato oggettivamente compatibile con la commissione del fatto da parte dell’imputato: non essendo emersi elementi certi per stabilire dove si trovasse il telefono nell’arco di tempo fra le ore 19:10 e le ore 20:10, nØ essendo escluso che l’apparecchio fosse stato lasciato in casa, acceso, senza traffico, il rilievo di quell’elemento in ogni caso Ł risultato non contrastante con la ricostruzione accettata dai giudici del merito.
2.7. Con riferimento al falso alibi, occorre svolgere una necessaria puntualizzazione.
I giudici di merito hanno concordemente ritenuto mendaci le dichiarazioni rese in sede dibattimentale dall’imputato, specificamente nella parte in cui esse sono state volte a modificare quanto COGNOME aveva chiaramente ammesso nel corso delle indagini circa la sua presenza e la sua condotta sul luogo del fatto nella sera in cui si era propagato l’incendio, con conseguente contestazione nel corso del dibattimento del suo contributo narrativo reso in precedenza, in modo garantito, per l’effetto di cui all’art. 503, comma 5, cod. proc. pen.
Per tale parte dichiarativa, prima oggetto di affermazioni di natura confessoria nel corso dell’interrogatorio svoltosi alla presenza del difensore durante le indagini preliminari e poi della ritrattazione nel corso dell’esame dibattimentale, i giudici di merito – con una motivazione congrua e coerente, esito di un’analisi dettagliata delle circostanze in cui le affermazioni erano state fatte e della personalità del soggetto che le aveva pronunciate hanno dato argomentata preminenza alle prime.
Di tanto la critica sviluppata dal ricorrente non ha tenuto adeguato conto essendosi concentrata nel contrapporre alle prime dichiarazioni quelle dibattimentali, dalla difesa reputate di spessore preminente, ma in modo rivalutativo e, comunque, senza la prospettazione di nessun elemento idoneo a infirmare la ricostruzione fatta propria dai giudici di merito.
Sul tema, va considerato che gli elementi di prova aventi natura confessoria possono essere posti a base del giudizio di colpevolezza dell’imputato anche in caso di ritrattazione, quando il giudice – apprezzando favorevolmente la veridicità, la genuinità e l’attendibilità del corrispondente contributo dichiarativo – fornisca ragione dei motivi per i quali debba respingersi ogni sospetto di intendimento autocalunniatorio o di intervenuta costrizione sul soggetto e, quindi, la successiva ritrattazione debba considerarsi inverosimile (Sez. 1, n. 34356 del 20/06/2024, T., Rv. 286996 – 01).
In questa opera, poi, il giudice di merito, in base al principio della scindibilità delle dichiarazioni, ben può ritenere veridica solo una parte della confessione resa dall’imputato, e
nel contempo disattenderne altre parti, allorchØ si tratti di circostanze tra loro non interferenti sul piano logico e fattuale e sempre che giustifichi la scelta con adeguata motivazione (Sez. 1, n. 7792 del 16/12/2020, dep. 2021, Messina, Rv. 280502 – 01; Sez. 5, n. 47602 del 26/05/2014, Cabitza, Rv. 261014 – 01).
In siffatta prospettiva, le dichiarazioni rese in dibattimento, nella parte in cui l’imputato, assumendo di aver recuperato la memoria, aveva affermato di essere restato nella sua abitazione dalle ore 19:00 fino a quando non era uscito per compiere il giro perlustrativo del centro di Calci con la sua autovettura, sono state ritenute certamente non veridiche, siccome smentite dalle acquisizioni delle immagini della telecamera situata a Ponte Grande, attestanti il passaggio della Fiat Panda in uso a COGNOME alle ore 19:49, e sono state valutate, in modo logicamente corretto, come il vano tentativo dell’imputato di collocarsi all’interno dell’abitazione di famiglia nel momento in cui si erano verificati i fatti contestati.
Non può, pertanto, negarsi al netto cambiamento di versione operato dall’imputato il connotato della ritrattazione, peraltro smentita anche dall’altro importante elemento emerso dalle suindicate immagini.
Fatta questa puntualizzazione, Ł da aggiungere che i giudici di merito, valutata l’inidoneità delle nuove dichiarazioni – e delle indicazioni tese alla dimostrazione delle circostanze coordinate alle stesse (quali, in particolare, le ragioni addotte per giustificare il possesso dell’accendino, poi asseritamente buttato o smarrito, e l’assunto del suo iniziale stato confusionale, contrastato già dalla prima sentenza con l’analisi degli elementi riferiti da COGNOME e del contenuto delle intercettazioni ambientali) – a ascalfire le precedenti dichiarazioni di contenuto anche confessorio, sono pervenuti all’individuazione nella loro formulazione, riferita a fatto poi apprezzato come l’esito di una costruzione mendace in modo preordinato, di un alibi falso, siccome volto a dimostrare il diverso svolgimento del fatto idoneo, in ipotesi, a paralizzare la portata accusatoria di quello indotto dall’accusa.
La difesa – non contestando l’inquadramento dell’elemento valutato nella figura giuridica indicata – ha concentrato la sua censura sulla prova che i giudici del merito hanno considerato importante nella loro analisi per ritenere falsificata la ricostruzione prospettata in dibattimento dall’imputato, ossia sulle risultanze della già richiamata telecamera di Ponte Grande.
Questa soltanto essendo la sostanza della critica mossa, non può non rilevarsi che su tale versante la censura si espone alle determinanti obiezioni dinanzi svolte, anche con riguardo a quelle che hanno evidenziato l’inanità del riferimento alle dichiarazioni di COGNOME come elemento scardinante la motivazione offerta dalla Corte territoriale a sostegno della conclusione raggiunta.
2.8. Quanto alla censura difensiva inerente alla valutazione del movente compiuta dai giudici del merito, si rileva che essa si Ł limitata a riproporre argomentazioni già svolte in appello circa la presunta genericità della motivazione.
Sul punto, la Corte di appello ha richiamato il giudizio espresso dal Tribunale e lo ha condiviso riportandosi a quel giudizio che aveva evidenziato gli elementi di dettaglio (emersi soprattutto analizzando il profilo Facebook dell’imputato) da cui era stata tratta la conclusione della rilevanza in tale direzione che, oltre a una certa predilezione per il fuoco, aveva, quale situazione di base predisponente, la ricerca continua di riconoscimento sociale e della connessa gratificazione per lo svolgimento in modo assiduo dell’attività antincendio che si era impadronita di COGNOME giacchØ essa aveva raggiunto livelli tali da costituire il concreto movente per la causazione di situazioni di incendio, a cui poi far seguire la sua partecipazione alle attività di contrasto, da lui vissuta come unico sbocco realizzativo di vita,
essendo il medesimo soggetto privo di ogni altro impiego.
Peraltro, la considerazione, in tale circoscritto senso, del rilievo del movente non si profila aver condotto la Corte territoriale a esorbitare dal principio di diritto, qui riaffermato, secondo il quale, nella piø generale valutazione della causale di un delitto, essa – valutata in relazione a processo di natura puramente indiziaria – in tanto può fungere da fatto catalizzatore e rafforzativo della valenza degli indizi posti a fondamento di un giudizio di responsabilità, in quanto essi, all’esito dell’apprezzamento analitico e nel quadro di una valutazione globale di insieme, si presentino, certo anche in virtø della chiave di lettura offerta dal movente, chiari, precisi e convergenti per la loro univoca significazione (fra le altre, Sez. 1, n. 12217 del 30/01/2025, COGNOME, Rv. 287695 – 01; Sez. 1, n. 813 del 19/10/2016, dep. 2017, Lin, Rv. 269287 – 01, nel solco segnato da Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226094 – 01).
Nel caso al vaglio, l’accertamento della penale responsabilità dell’imputato, come si Ł visto, si Ł fondato sulle dichiarazioni, aventi forza dimostrativa autonoma, fatte direttamente da COGNOME, primariamente considerate dai giudici del merito, rispetto alla valutazione delle quali il ricorrente non Ł riuscito a muovere alcun rilievo dotato di decisiva forza scardinante.
In questo quadro, essendo risultata vana la prospettazione volta a destrutturare le circostanze indicate come riscontro ulteriore – in particolare, le indicate immagini della Fiat Panda – alle dichiarazioni di COGNOME, la valorizzazione nella stessa direzione degli elementi di contorno e, conclusivamente, dell’individuato movente, da un lato, non si profila illogica e, dall’altro, concorre a disattendere l’impostazione difensiva volta, per tale via, a ridimensionare la portata del compendio emerso a carico dell’imputato.
2.9. La Corte territoriale ha, infine, svolto ulteriori e non illogiche considerazioni sulla totale astrattezza e sulla conseguente irrilevanza delle ipotesi alternative formulate in sede di appello, tutte congetturali, in quanto non sorrette da alcun elemento di fatto dotato di concretezza e specificità.
Trascorrendo, sull’abbrivio costituito dalla conclusione appena riferita, all’esame del secondo motivo, poi approfondito dalla difesa con la citata memoria, la Corte ritiene che anch’esso non possa ricevere condivisione.
Invero, non può ritenersi dimostrato in alcun punto che la sentenza impugnata abbia operato forzature interpretative che abbiano determinato la diversione del suo esito valutativo dallo standard di piena adeguatezza e coerenza.
Il complesso di elementi accertato dai giudici di merito ha integrato, secondo la congrua e coerente ponderazione fattane nella sentenza impugnata, per come esposta nella corrispondente motivazione, un quadro di dati univoco e coerente, tale escludere la lamentata violazione del canone dettato dall’art. 533 cod. proc. pen.
Sull’argomento, si condivide il concetto per cui il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio enuncia sia una regola di giudizio, che definisce lo standard probatorio necessario per pervenire alla condanna dell’imputato, sia un metodo legale di accertamento del fatto, che obbliga il giudice a sottoporre, nella valutazione delle prove, la tesi accusatoria alle confutazioni costituite dalle ricostruzioni antagoniste prospettate dalle difese: di conseguenza, la violazione di tali parametri rende la motivazione della sentenza manifestamente illogica (Sez. 6, n. 45506 del 27/04/2023, COGNOME, Rv. 285548 – 15).
Tuttavia, va nel contempo ribadito che l’introduzione nel disposto dell’art. 533 cod. proc. pen. del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio (ad opera dell’art. 5 legge 20 febbraio 2006, n. 46) non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla
motivazione della sentenza, sicchØ la mera duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, segnalata dalla difesa, non integra un vizio di motivazione se sia stata oggetto di disamina da parte del giudice di merito (Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME Rv. 285801 – 01). In effetti, affinchØ possa ravvisarsi la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., Ł necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall’imputato – che intenda far valere l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di un’ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, giacchØ il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato, nei suoi elementi oggettivo e soggettivo, deve far riferimento a elementi sostenibili, ossia desunti dai dati acquisiti al processo, non meramente ipotetici o congetturali, seppur plausibili (Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278237 – 01).
Posto ciò, tutte i punti indicati, con lo sviluppo di questa doglianza, quali snodi sintomatici dell’inosservanza dell’invocato canone accertativo e decisorio afferiscono, invece, a questioni scrutinate dalla Corte di appello in modo adeguato e senza cesure di natura logica.
3.1. In particolare, la contestazione sollevata dalla difesa circa l’addotta incertezza sull’effettiva provenienza dell’autovettura ripresa dalla telecamera di Ponte Grande e sull’identità del conducente Ł stata concordemente smentita dalla complessiva analisi che si trae dalle conformi considerazioni dei giudici di merito.
Anche nella sentenza impugnata risulta ribadito, con articolato ragionamento, come sia restata confinata su un piano del tutto astratto e comunque avulso dalle concrete evenienze l’eventualità che il passaggio registrato a Ponte Grande avesse riguardato un’altra Fiat Panda, dello stesso tipo e colore, con caratteristiche assolutamente identiche a quella di proprietà della madre di COGNOME, in uso a quest’ultimo.
Si ricorda che Ł stato chiarito dai giudici del merito che i certosini e scrupolosi accertamenti eseguiti dalla polizia giudiziaria (in merito ai quali aveva riferito il teste COGNOME) hanno consentito di escludere, su un piano di concreti riscontri (che la testimonianza del capofficina della concessionaria di Firenze, Pesci, ha elencati in modo analitico) e di assoluta razionalità, che un autoveicolo uguale a quello in uso all’imputato stesse circolando in quel frangente nel territorio di Calci passando dinanzi alle telecamera, in corrispondenza della fase di innesco dell’incendio.
Si tratta, pertanto, di una questione esplicitamente affrontata dalla Corte di appello, la quale ha ritenuto insussistente l’incertezza prospettata dalla difesa e ha motivatamente relegato la suddetta eventualità nel novero delle ipotesi soltanto e assolutamente teoriche, di guisa che, sul piano processuale, la sua prospettazione non Ł risultata tale da poter introdurre dubbi ragionevoli.
3.2. Egualmente, in merito all’elemento dell’innesco dell’incendio a tempo, la conclusione relativa alla sua verificazione Ł stata validamente sostenuta – non semplicemente e non primariamente dal rinvenimento dei frammenti di zampirone nella sede dei Volontari RAGIONE_SOCIALE, bensì – da ulteriori elementi, quali le testimonianze oculari, le dichiarazioni rese da esperti intervenuti nell’immediatezza dell’evento e le massime di esperienza, a cui i giudici di merito, sulla scorta dei dati forniti dalle fonti specifiche (analiticamente richiamate nella sentenza di primo grado), hanno operato argomentato riferimento, che ne hanno confermato la verosimiglianza di grado elevato e la chiara preminenza logica rispetto alla contraria ipotesi dell’innesco diretto, sicchØ hanno riconnesso alta credibilità razionale alla scaturigine dell’innesco a tempo rispetto alla situazione in
concreto verificata.
A tal proposito mette conto specificare che il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio, quale regola di giudizio che conforma la valutazione degli indizi e il metodo di accertamento del fatto, Ł da ritenersi rispettato anche nel caso in cui i comportamenti umani e le conseguenze da essi derivanti vengono giudicati sulla base di regole di esperienza, laddove essi non siano espressivi di una relazione di mera verosimiglianza e plausibilità, ma abbiano una base razionale, seppur presuntiva, così da pervenire all’accertamento del fatto in quanto rispondente a uno standard di certezza o di alto grado di probabilità (Sez. 1, n. 34032 del 01/07/2022, COGNOME, Rv. 283987 – 01).
3.3. Per il resto, si Ł già constatato come il riferimento alla lamentata obliterazione dell’apporto del contributo del ristoratore COGNOME si sia risolto in una deduzione generica, certamente non idonea a ingenerare quel ragionevole dubbio prospettato dal ricorrente come misconosciuto in modo illogico nel tessuto argomentativo posto a fondamento della pronuncia in verifica.
Oltre a quest’ultimo, anche gli ulteriori riferimenti a snodi valutativi che hanno contrassegnato il lineare iter giustificativo offerto dalla Corte territoriale non riescono a superare il vaglio di ammissibilità, in quanto essi sollecitano inevitabilmente la rilettura delle risultanze di merito in senso difforme rispetto a quello congruo e coerente – dunque, non censurabile in questa sede – fatto proprio dalla Corte di appello.
Corollario delle considerazioni svolte Ł il rigetto dell’impugnazione, nel suo complesso.
Segue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Questa conclusione determina la conseguenza – quanto al regolamento delle spese del grado relative alla posizione della parte civile Comune di Calci, che ha svolto attività processuale in questa sede partecipando alla discussione orale – che le stesse vanno poste a carico dell’imputato ricorrente, anche qui soccombente rispetto all’azione civile proposta nei suoi confronti.
Dette spese sono da liquidarsi nell’opportuna misura di euro 4.500,00, calcolata (ex artt. 12 e 16 d.m. 10 marzo 2014, n. 55, come successivamente modificato, anche dal d.m. 13 agosto 2022, n. 147) in relazione alle voci precisate nella nota depositata, tenuto conto dell’attività effettivamente svolta e delle questioni trattate.
Ai suddetti compensi professionali non va aggiunto alcun ristoro di spese borsuali, non richiesto.
Spettano alla difesa della parte civile gli accessori di legge, ossia (ex art. 2 d.m. cit.) il rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15%, oltre all’IVA e al contributo per la Cassa Previdenziale, da computarsi sull’imponibile.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, Comune di Calci, che liquida in complessivi euro 4.500,00, oltre accessori di legge.
Così Ł deciso, 12/06/2025