Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31170 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31170 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nata a Palermo il DATA_NASCITA avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 06/04/2023;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria scritta depositata dal difensore dell’imputata, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Palermo con sentenza del 6 aprile 2023 (motivazione depositata il successivo 11 aprile) ha confermato quella di primo grado che, in sede di giudizio abbreviato, ha condannato COGNOME NOME alla pena di anni tre di reclusione ed euro 10.000 di multa per il reato di concorso in detenzione illecita di sostanze stupefacenti (complessivi gr. 1.574 di hashish e marijuana).
Avverso tale sentenza l’imputata ha proposto, a mezzo del proprio difensore, ricorso deducendo tre motivi.
2.1. Con il primo eccepisce vizio di motivazione in riferimento all’affermazione di penale responsabilità a titolo di concorso nell’illecita detenzione, atteso che il borsone con all’interno lo stupefacente è stato rinvenuto in uno spazio sottostante il balcone dell’abitazione in uso – non alla ricorrente, ma – a COGNOME NOME (sua cognata e coimputata per la detenzione), senza elementi significativi indizianti il concorso a suo carico.
2.2. Con il secondo e il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito, rispettivamente, al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla dosimetria della pena.
Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8, dl. n. 137 del 2020, convertito dalla I. n. 176 del 2020, e le parti hanno depositato le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo del ricorso è fondato, con conseguente assorbimento delle ulteriori censure.
La Corte territoriale ha confermato la penale responsabilità della COGNOME, fondandola – oltre che sul “contesto”, risultante dalle indagini che hanno determinato l’ordinanza custodiale applicata all’imputata – sulla circostanza che nella abitazione da lei condivisa con il marito è stata rinvenuta, nella camera del figlio (NOME), una chiave che ha aperto una cassetta di metallo,
custodita nell’abitazione di COGNOME NOME, con all’interno la somma di euro 9.714, suddivisa in banconote di piccolo taglio, all’interno di separati borselli, e ritenuta provento dell’attività di spaccio dello stupefacente.
2.1. Dal quel che risulta dalle sentenze di merito, il borsone (con all’interno oltre alla droga, suddivisa in dieci tavolette e centodieci bustine, un bilancino di precisione ed un coltello con punta biforcuta impregnato di sostanza stupefacente) è stato gettato dal balcone dell’abitazione della COGNOME – sorella del marito dell’imputata e anch’essa giudicata, separatamente, per l’illecita detenzione – che è stata riconosciuta come colei che “faceva precipitoso rientro” all’interno dell’abitazione subito dopo il lancio. Al contrario, la finestra dell’abitazione occupata dai coniugi COGNOME rimaneva chiusa durante tutta l’operazione di polizia giudiziaria (di tal che non sono stati individuati elementi per ritenere che la predetta abbia partecipato all’operazione volta a disfarsi della droga).
2.2. La sentenza di primo grado, per dimostrare il “compossesso” della droga e dell’altro materiale all’interno del borsone da parte della COGNOME si diffonde nel descrivere le modalità operative del sodalizio finalizzato alla commissione di delitti in materia di stupefacenti, nell’ambito del quale l’imputata aveva un ruolo dirigenziale, riportando stralci di intercettazioni riferite però ad episodi risalenti a periodi precedenti il fatto per cui è processo – dai quali si evince il modus operandi della predetta (che teneva la “cassa” dell’organizzazione e si avvaleva di una rete di complici anche per la custodia della droga).
A tale ragionamento si rifà la sentenza di appello che preliminarmente esclude, in accoglimento di un motivo di gravame, la utilizzabilità delle dichiarazioni rese dagli imputati nell’immediatezza dei fatti in quanto non verbalizzate; si tratta – secondo quanto riportato nella sentenza di primo grado, pag. 3 – di quanto riferito dalla COGNOME NOME e dal di lei marito che “si dichiaravano estranei relativamente a quanto contenuto nella cassetta atteso che a loro dire la chiave per aprirla era in possesso di COGNOME NOME. Effettivamente, poco dopo, la chiave in argomento veniva rinvenuta nella disponibilità del figlio della COGNOME …”.
Ciò premesso, rileva il Collegio che, essendo in sede di giudizio abbreviato, le intercettazioni telefoniche e comunque gli elementi che possono
trarsi dal procedimento “madre” sono certamente utilizzabili. Peraltro, la motivazione delle sentenze di merito non risulta idonea a giustificare “oltre ogni ragionevole dubbio” l’affermazione di penale responsabilità della COGNOME.
Invero, si è precisato che «il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio”, quale regola di giudizio che conforma la valutazione degli indizi e il metodo di accertamento del fatto, è da ritenersi rispettato anche nel caso in cui i comportamenti umani e le conseguenze da essi derivanti sono giudicati sulla base di regole di esperienza, quando non sono espressivi di una relazione di mera verosimiglianza e plausibilità, ma hanno una base razionale, seppur presuntiva» (Sez. 1, n. 34032 del 01/07/2022, COGNOME, Rv. 283987 – 01).
Nel caso di specie, una volta esclusa l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai coimputati, andava dimostrato, in modo adeguato, che dalla circostanza che la chiave del cofanetto nel quale era custodito il denaro si trovava nell’abitazione della COGNOME (in particolare nella stanza del figlio) possa inferirsi razionalmente che la predetta avesse il compossesso dello stupefacente sequestrato (lanciato dal balcone dell’abitazione della COGNOME). La sentenza impugnata (e anche quella di primo grado) non è connotata da tale requisito, basandosi su ragionamenti presuntivi che, per quanto non implausibili, non risultano superare il limite del “ragionevole dubbio”. Invero, la circostanza che il denaro fosse provento di spaccio non risulta idonea a dimostrare che lo stupefacente rinvenuto fosse (anche) nella disponibilità della COGNOME, atteso che il dato probatorio ritenuto certo dai Giudici di merito (disponibilità del denaro provento della vendita della droga) si correla logicamente a precedenti cessioni ma non anche allo stupefacente gettato dalla COGNOME dal proprio balcone.
Per tali ragioni, si impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte territoriale per nuovo giudizio sul punto. Gli ulteriori motivi del ricorso risultano allo stato assorbiti.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo.
Ilsigliere stensore “3-i
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Così deciso il 21 maggio 2024
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