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Oltraggio: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per oltraggio a pubblico ufficiale. L’ordinanza chiarisce che la mera possibilità di percezione dell’offesa da parte di più persone è sufficiente a configurare il reato e che la sede di legittimità non consente una rilettura delle prove già valutate nel merito. Confermato il rigetto della richiesta di applicazione della particolare tenuità del fatto e la condanna al pagamento delle spese processuali.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Oltraggio a Pubblico Ufficiale: la Cassazione fissa i paletti per l’ammissibilità del ricorso

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce importanti chiarimenti sui limiti del ricorso per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile l’impugnazione di una condannata, ribadendo principi fondamentali sia sul merito della fattispecie criminosa sia sugli aspetti procedurali che regolano il giudizio di legittimità.

I fatti del processo e la decisione della Corte d’Appello

Il caso trae origine dalla condanna di una donna per il reato di cui all’art. 341-bis del codice penale, per aver offeso l’onore e il prestigio di un pubblico ufficiale durante lo svolgimento delle sue funzioni. La sentenza di condanna, emessa in primo grado, era stata successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Bari.

Contro questa decisione, la difesa dell’imputata ha proposto ricorso per Cassazione, articolando la propria impugnazione su tre motivi principali, ritenuti cruciali per ribaltare l’esito del giudizio.

I motivi del ricorso: tra prove e sanzioni

La difesa ha contestato la sentenza d’appello su tre fronti:

1. La presenza di più persone: Secondo il ricorrente, non era stata adeguatamente provata la presenza di più persone al momento del fatto, requisito essenziale per la configurazione del reato di oltraggio.
2. La particolare tenuità del fatto: Si lamentava la mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p., sostenendo che la condotta, per la sua offensività, dovesse essere considerata di lieve entità e quindi non punibile.
3. Il trattamento sanzionatorio: Infine, venivano mosse critiche alla pena inflitta, ritenuta eccessiva e non adeguatamente motivata dalla Corte di merito.

Le motivazioni della Cassazione: un ricorso manifestamente infondato

La Corte di Cassazione ha respinto in toto le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. L’analisi della Suprema Corte è stata netta e precisa su ogni punto.

Sul primo motivo, relativo alla presenza di più persone, i giudici hanno chiarito che il ricorso proponeva censure manifestamente infondate e, soprattutto, una inammissibile rilettura del materiale probatorio. La Corte ha sottolineato come i giudici di merito avessero già vagliato adeguatamente le circostanze di luogo e le modalità della condotta, concludendo che da esse emergeva la prova logica della mera possibilità di percezione dell’offesa da parte di più persone. Questo elemento, secondo l’orientamento consolidato, è sufficiente per integrare il requisito richiesto dalla norma sull’oltraggio a pubblico ufficiale.

Anche il secondo motivo, sulla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, è stato giudicato infondato. La Cassazione ha evidenziato che la Corte d’Appello aveva valutato in modo congruo e corretto l’offensività della condotta in relazione al bene giuridico protetto, ovvero il prestigio della Pubblica Amministrazione, escludendo motivatamente la lieve entità del fatto.

Infine, per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, la Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza impugnata sufficiente, logica e basata su un adeguato esame delle argomentazioni difensive. Tentare di rimettere in discussione tali valutazioni di merito non è consentito in sede di legittimità.

Conclusioni: cosa impariamo da questa ordinanza

L’ordinanza in esame è un’importante lezione su due livelli. Sul piano sostanziale, ribadisce che per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale non è necessaria la prova che più persone abbiano effettivamente udito le frasi offensive, ma è sufficiente che sussistesse la concreta possibilità che ciò accadesse. Sul piano processuale, la decisione riafferma un principio cardine del giudizio di Cassazione: la Suprema Corte è un giudice di legittimità, non un terzo grado di merito. Non può, quindi, rivalutare le prove o sostituire il proprio apprezzamento a quello dei giudici dei gradi precedenti, se la motivazione di questi ultimi è logica e completa. La conseguenza di un ricorso che viola questi principi è la sua inammissibilità, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Per configurare il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, è necessario che più persone abbiano effettivamente sentito l’offesa?
No, secondo la Corte di Cassazione è sufficiente la mera possibilità che l’offesa sia percepita da più persone. La valutazione si basa sulle circostanze di luogo e sulle modalità della condotta, che devono costituire la prova logica di tale possibilità.

Perché un ricorso può essere dichiarato inammissibile senza che la Corte esamini nuovamente le prove?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando i motivi proposti non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o le prove (compito dei giudici di primo e secondo grado), ma solo verificare la corretta applicazione della legge. Proporre una rilettura delle prove è un motivo non consentito.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso penale?
La dichiarazione di inammissibilità rende definitiva la sentenza di condanna impugnata. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come sanzione per aver intrapreso un’azione legale ritenuta infondata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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