Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1468 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1468 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Catanzaro il 15/03/1982
avverso la sentenza del 14/12/2022 della Corte di appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza, in ordine al mancato riconoscimento della scriminante di cui all’art. 393-bis, cod. pen., e per l’inammissibilità del ricorso nel resto; lette le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME attraverso il proprio difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Catanzaro che ne ha confermato la condanna per il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341-bis, cod. pen.), per aver offeso, in presenza di altre persone, la comandante della polizia municipale del Comune di Petilia Policastro, NOME COGNOME mentre era impegnata, nell’esercizio delle sue
funzioni istituzionali, nell’esecuzione di un’ordinanza di sgombero di un terreno di proprietà comunale occupato dalla famiglia dello stesso COGNOME.
Nello specifico – si legge in sentenza – l’imputato (ivi erroneamente indicato con il prenome di suo padre, NOME, ma inequivocamente individuato come «il figlio del COGNOME») si sarebbe rivolto alla predetta comandante ed al tecnico comunale che la coadiuvava con le espressioni: «fate imbrogli con le carte, noi li abbiamo tutti, andate a fare il vostro dovere, come avete avuto questo posto, chi ve l’ha dato».
2. Il ricorso è sostenuto da tre motivi.
2.1. Il primo denuncia la mancanza di motivazione sul reato addebitato al ricorrente, essendosi la sentenza soffermata soltanto sul distinto delitto di resistenza a pubblico ufficiale, contestato però esclusivamente a suo padre. Più in generale, si deduce che la struttura motivazionale della decisione non consente di comprendere quali siano gli addebiti rispettivamente mossi agli imputati, con evidente violazione dell’art. 546, comma 1, lett. c), cod. proc. pen..
2.2. Il secondo consiste nella violazione dell’art. 341-bis, cit., poiché mancherebbero i requisiti tipici della fattispecie, in quanto: a) la condotta si è svolta all’interno di un terreno privato; b) le frasi contestate sono del tutto generiche e non erano riferite ad alcun soggetto individuato (secondo la comandante, infatti, erano rivolte essenzialmente al tecnico comunale, mentre quest’ultimo ha escluso che a pronunciarle sia stato il ricorrente); c) entrambi gli ipotetici destinatari delle offese erano impegnati nella medesima attività d’ufficio, non avendosi perciò la presenza di più persone; d) dette frasi hanno rappresentato un legittimo esercizio del diritto di critica dell’operato del pubblico funzionario, che scaturiva dall’ingiustizia del provvedimento da eseguire.
2.3. Tal ultimo aspetto è sviluppato nel terzo motivo di ricorso, con il quale si adducono violazione di legge e vizi della motivazione, nella parte in cui è stata esclusa la scriminante dell’art. 393-bis, cod. pen..
Si rappresenta, in proposito, che l’ordinanza di sgombero in questione era stata già ritenuta nulla dal giudice amministrativo, perché emessa in carenza assoluta di potere, e che tale circostanza fosse nota alla comandante COGNOME, secondo quanto dalla stessa dichiarato in dibattimento: donde l’illegittimità, e quindi l’arbitrarietà, del relativo atto di esecuzione.
Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l’annullamento con rinvio della sentenza, in ordine al mancato riconoscimento della scriminante, e per l’inammissibilità del ricorso nel resto.
Ha depositato motivate conclusioni scritte la difesa ricorrente, insistendo per l’accoglimento dell’impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il 2 agosto 2023, nelle more della presente impugnazione, è interamente decorso il termine di prescrizione massimo del reato, benché prorogato, pari a sette anni e sei mesi dalla data della sua commissione, ovvero dal 2 febbraio 2016, per cui il reato si è estinto.
Pertanto, pur quando non dedotta con i motivi di ricorso o – se maturata successivamente – in sede di conclusioni, la causa di estinzione del reato, al pari di ogni altra ragione di proscioglimento immediato di cui all’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., qualora sopravvenga al provvedimento impugnato, è rilevabile d’ufficio dalla Corte di cassazione, non implicando la necessità di accertamenti in fatto o di valutazioni di merito, incompatibili con i limiti del giudizio di legittimi (Sez. U, n. 8413 del 20/12/2007, Cassa, Rv. 238467, proprio in tema di prescrizione).
Ciò vale, a meno che tutti i motivi del ricorso proposto siano inammissibili, anche soltanto per manifesta infondatezza, poiché tale situazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità, a norma dell’art. 129, cit. cod. proc. pen. (così, sempre con precipuo riferimento alla prescrizione, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266).
Per altro verso, la presenza di tale causa di estinzione del reato fa sì che, in sede di legittimità, non siano rilevabili eventuali nullità di ordine generale né vizi di motivazione della sentenza impugnata, in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244275).
Ciò premesso, poiché nessuno dei motivi di ricorso è all’evidenza fondato, e perciò tale da condurre ad un’immediata assoluzione dell’imputato, ma, ad un tempo, non tutti sono manifestamente infondati od altrimenti inammissibili, la Corte non può far altro che annullare la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Sono sufficienti, perciò, le seguenti osservazioni.
2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La sentenza si presenta obiettivamente confusa e concentrata per lo più sul delitto di resistenza ascritto al padre del Lerose, ma, in ogni caso, anche la condotta del ricorrente viene specificamente descritta.
Inoltre, tra gli elementi essenziali della sentenza, la cui mancanza o incompletezza ne determina la nullità, a norma dell’art. 546, comma 3, cod. proc. pen., non è previsto il capo di imputazione, posto che l’enunciazione dei fatti e delle circostanze ascritte all’imputato ben possono desumersi dal complessivo contenuto della decisione, tenendo conto delle sentenze di primo e secondo grado, che si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile (tra molte altre: Sez. 3, n. 48348 del 29/09/2017, COGNOME, Rv. 271882);
2.2. Il secondo motivo è complessivamente infondato.
2.2.1. Prive di qualsiasi pregio sono le prime due censure, perché; a) non rileva la proprietà, pubblica o privata, del luogo dove si verifica il fatto, ma la sua esposizione al pubblico, qual era il terreno in questione, almeno per quanto risulta dalla sentenza, il cui accertamento di fatto non è sindacabile in questa sede; b) le frasi erano comunque rivolte ai pubblici funzionari operanti ed avevano contenuto oggettivamente offensivo, accusando costoro addirittura di fatti costituenti reato («imbrogli con le carte», violazione di doveri d’ufficio, illazioni sulla legittimità della loro assunzione).
2.2.2. La terza obiezione avrebbe meritato una motivazione, se non anche un accertamento, supplementare.
Dalla ricostruzione degli accadimenti contenuta nella sentenza d’appello, risulterebbero essere stati presenti nel frangente, oltre alla comandante della polizia municipale ed al tecnico comunale, il padre del ricorrente e gli operai impegnati nella materiale attività di sgombero. Sarebbe stato necessario, perciò, accertare se questi ultimi appartenessero anch’essi all’amministrazione comunale od avessero un rapporto di stabile dipendenza funzionale, ancorché non gerarchica, dai predetti pubblici ufficiali, oppure se fossero dei soggetti estranei a quell’amministrazione ed incaricati delle relative operazioni sulla base di un contratto d’opera o, comunque, di altra deliberazione ad hoc. Deve ricordarsi, infatti, che, in tema di oltraggio a pubblico ufficiale, tra le “più persone” presenti alla condotta offensiva non possono computarsi quei soggetti che, pur non direttamente attinti dall’offesa, assistano alla stessa nello svolgimento delle loro funzioni, essendo integrato il requisito della pluralità di persone unicamente da persone estranee alla pubblica amministrazione, ovvero da persone che, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, siano presenti in quel determinato contesto spazio-temporale non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente (Sez. 6, n. 6604 del 18/01/2022, COGNOME, Rv. 282999).
2.3. Complessivamente infondato, infine, è pure il terzo motivo di ricorso, in tema di legittimità della reazione e di configurabilità della scriminante dell’atto arbitrario del pubblico ufficiale.
Se è vero che l’arbitrarietà della condotta del pubblico ufficiale non richiede un quid pluris rispetto all’eccesso dalle attribuzioni, tuttavia la reazione del privato può dirsi giustificata solo se messa in atto a fronte di un comportamento oggettivamente illegittimo del pubblico agente, che si presenti disfunzionale rispetto al fine per cui il potere è conferito, anche solo per le modalità scorrette, incivili e sconvenienti di attuazione (Sez. 6, n. 7255 del 26/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282906.
Nel caso in esame, invece, non risulta essersi verificato alcun comportamento dei pubblici ufficiali eccentrico rispetto allo scopo istituzionale del loro intervento, né la loro attività poteva ritenersi illegittima, poiché l’atto amministrativo non era stato dichiarato nullo, e dunque, formalmente, esso era suscettibile di esecuzione (risulta dalla sentenza, infatti, che il Tribunale amministrativo si fosse pronunciato sul ricorso dei Lerose, dichiarandolo inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sebbene sul presupposto della riconducibilità del terreno al patrimonio disponibile dell’ente e, quindi, della impossibilità, da parte di quest’ultimo, di avvalersi dei poteri autoritativi pubblici per la relativa tutela).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2023.