Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25750 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25750 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 22/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Marsala 1’8/1/1956
avverso la sentenza del 15/10/2024 della Corte di appello di Palermo
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15 ottobre 2024 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza emessa il 22 luglio 2022 dal Tribunale di Trapani, con cui NOME COGNOME è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di cui agli artt. 341-bis cod. pen., 4 L. n. 110 del 1975 e 612 cod. pen.
l Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge e vizi della motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 341bis cod. pen., non essendo le espressioni ingiuriose state pronunciate anche in presenza di persone diverse dai pubblici ufficiali destinatari dell’aggressione verbale e reattiva dell’agente.
2.2. Violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della condotta di cui all’art. 4 L. n. 110/1975. L’imputato non avrebbe portato il bastone con sé al di fuori della sua abitazione, ma lo avrebbe occasionalmente rinvenuto e prelevato alla vista di NOME COGNOME. Secondo la giurisprudenza di legittimità, però, il mero impossessamento di uno strumento atto ad offendere, casualmente rinvenuto in luogo pubblico e impiegato nell’immediatezza, non integra l’elemento materiale del reato contestato.
2.3. Mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 612 cod. pen. La frase pronunciata non avrebbe avuto idoneità ad incidere sulla capacità del soggetto passivo di autodeterminarsi liberamente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è privo di specificità.
La Corte territoriale ha affermato che l’imputato era entrato nella sede del Consiglio comunale di Trapani e ivi aveva inveito e minacciato NOME COGNOME, Presidente dell’anzidetto Consiglio, nei cui confronti aveva rivendicato un contributo economico, essendo disoccupato. La menzionata Corte ha precisato che alle contumelie dell’imputato avevano assistito il Vicepresidente del Consiglio comunale, il responsabile amministrativo della Presidenza, un dipendente comunale e tre consigliere.
Contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, quindi, le frasi offensive sono state pronunciate dall’imputato alla presenza di persone non destinatarie delle offese e presenti in quel determinato contesto spazio-temporale non per lo stesso motivo in relazione al quale la condotta oltraggiosa era stata posta in essere dall’agente, così che può dirsi sussistente l’elemento costitutivo del reato, rappresentato dalla presenza di una pluralità di persone al momento del fatto.
Il Collegio di appello, quindi, ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, secondo cui, in tema di oltraggio, l’offesa all’onore e al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di almeno due persone, tra le quali non possono computarsi quei soggetti che, pur non direttamente attinti dall’offesa, assistano alla stessa nello svolgimento delle loro funzioni, essendo integrato il requisito della pluralità di persone unicamente da persone estranee alla pubblica amministrazione (ossia dai “civili”), ovvero da persone che, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, siano presenti in quel determinato contesto spazio-temporale non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente (Sez. 6, n. 6604 del 18/01/2022, COGNOME, Rv. 282999 – 01).
Riguardo al secondo motivo, va premesso che, ove il collegio di appello abbia esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni prese da quest’ultimo, le motivazioni delle sentenze di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione della pronuncia impugnata (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615 -01).
Ne discende, nel caso in esame, che la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata isolatamente ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con quella di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti.
Va allora rilevato che nella pronuncia di primo grado, condivisa dalla Corte di appello, si afferma che il bastone era stato prelevato dall’imputato da una fioriera e «quasi sicuramente il bastone, per come si evince dall’istruttoria, era stato posato da lui stesso poco prima, considerato che detta arma impropria non era una componente della fioriera stessa».
La censura, quindi, è manifestamente infondata a fronte delle logiche argomentazioni sopra evidenziate, ancorate all’istruttoria svolta.
Il terzo motivo, con cui il ricorrente ha dedotto che le frasi pronunciate non avrebbero avuto idoneità ad incidere sulla capacità del soggetto passivo di autodeterminarsi liberamente, è manifestamente infondato.
Va rilevato che la Corte di appello ha ritenuto integrato il reato di minaccia aggravata di cui al capo C), avendo l’imputato, brandendo un bastone,
pronunciato le seguenti frasi: “Ti vengo a prendere sotto casa, vengo qui e ti faccio vedere io”.
Siffatta conclusione resiste ai rilievi censori del ricorrente, atteso che le espressioni utilizzate, valutate nel complesso della situazione, connotata anche
dalla detenzione di un bastone, hanno oggettiva valenza intimidatoria.
Al riguardo, va ricordato che, secondo il costante orientamento di questa
Corte, elemento essenziale del reato di minaccia è la limitazione della libertà
psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato
di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta intimorire e irrilevante l’indeterminatezza del male
minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente (Sez. 5, n. 6756 dell’11/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278740 –
01; Sez. 5, n. 21601 del 12/05/2010, Pmt in proc. Pagano, Rv. 247762 – 01).
5. La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22 maggio 2025
Il Consigliere estensore
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Il Presid te